2024-04-18
La Meloni in Tunisia consolida l’intesa per mettere un freno all’immigrazione
Giorgia Meloni e Kais Saied (Ansa)
Rafforzata la cooperazione contro gli sbarchi di clandestini Nel Mediterraneo l’Italia mira a scalzare Francia, Russia e Cina.L’Italia ha rafforzato la sponda con la Tunisia. Ieri, accompagnata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e da quello dell’Università Anna Maria Bernini, Giorgia Meloni si è recata nel Paese nordafricano, dove ha avuto un bilaterale con il presidente tunisino Kais Saied.«La collaborazione con la Tunisia è per l’Italia assolutamente una priorità da molti punti di vista ed è anche un tassello del lavoro che l’Italia sta portando avanti con il piano Mattei, per costruire con le nazioni del continente africano una cooperazione su base paritaria e che sia finalmente vantaggiosa per tutti», ha detto l’inquilina di Palazzo Chigi, che ha anche annunciato tre intese: un accordo diretto al bilancio tunisino nel settore delle rinnovabili da 50 milioni di euro, una linea di credito da 55 milioni per le piccole e medie imprese tunisine e un protocollo d’intesa per la cooperazione nel campo universitario.Il nostro premier ha inoltre affrontato la questione migratoria. «Noi sappiamo che la Tunisia non può diventare il Paese di arrivo dei migranti, su questo va rafforzata la cooperazione, vogliamo coinvolgere le organizzazioni internazionali, lavorare sui rimpatri ma soprattutto sui flussi regolari: come abbiamo fatto con il decreto flussi che consente a circa 12.000 cittadini tunisini formati di poter venire legalmente in Italia», ha affermato, per poi aggiungere: «Sul fronte della migrazione legale credo si possa fare molto più da parte dell’Italia, ma è fondamentale che insieme lavoriamo per continuare a combattere gli schiavisti del terzo millennio, le organizzazioni della mafia che per fare soldi facili sfruttano le legittime aspirazioni di chi vorrebbe una vita migliore». Piantedosi, dal canto suo, ha incontrato l’omologo tunisino Kamel Fekih, invocando una «strategia regionale che richieda anche una continua collaborazione con i principali Paesi di origine dei flussi».Ovviamente la questione degli sbarchi va inserita in un quadro di carattere geopolitico. Non a caso, il viaggio tunisino della Meloni ha avuto una dimensione significativamente connessa alle dinamiche geopolitiche del Nord Africa e del Medio Oriente. Da questo punto di vista, l’importanza del piano Mattei è centrale per evitare che la Tunisia continui ad avvicinarsi all’asse sino-russo. A gennaio, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, si è recato nel Paese nordafricano e, incontrando Saied, ha sostenuto che «la Cina è disposta a rafforzare il coordinamento con la Tunisia». Non solo. Nei primi dieci mesi del 2023, le importazioni della Tunisia dalla Russia sono aumentate nel 67% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: si parla soprattutto di prodotti come greggio, fertilizzanti, gas e cereali.Questa preoccupante situazione è anche frutto della rigidità dell’amministrazione Biden, che ha di fatto tirato il freno a mano rispetto all’ormai famoso prestito che Tunisi aveva negoziato con il Fmi. In un simile quadro, il piano Mattei potrebbe rivelarsi utile non solo per irrobustire i legami tra Italia e Tunisia ma anche per avviare una strategia geopolitica di ampio respiro in Africa: un progetto che, inaugurando rapporti paritetici con i Paesi dell’area, si riveli capace di soppiantare tanto l’arroganza postcoloniale francese quanto il terzomondismo ipocrita di Mosca e Pechino. Il soft power italiano può trarre beneficio da tutto ciò.D’altronde, chi critica la Meloni per la sua sponda con Saied non coglie dei punti fondamentali. In primis, è senz’altro vero che il presidente tunisino è un leader controverso e che deve essere per questo monitorato. Tuttavia, va anche rammentato che l’alternativa al suo potere è rappresentata da Ennahda: un movimento gravitante attorno ai Fratelli musulmani, che intrattiene anche dei rapporti con Hamas. Non stiamo quindi parlando di una garanzia di liberaldemocrazia e stabilità. In secondo luogo, Roma gioca un ruolo centrale nel progetto Elmed: il cavo sottomarino che collegherà la Tunisia alla Sicilia. In terzo luogo, Saied ha assunto una posizione interessante su Israele. Pur non avendo risparmiato critiche allo Stato ebraico e pur avendo detto di escludere di volerlo riconoscere formalmente, a novembre si è opposto a un disegno di legge del parlamento tunisino che puntava a criminalizzare la normalizzazione dei rapporti con Israele. Non solo. Nel corso del 2023, la Tunisia ha rafforzato i legami con l’Arabia Saudita: a dicembre, i due Paesi hanno firmato sette memorandum d’intesa in vari settori, tra cui cooperazione industriale e ricerca scientifica agricola. Inoltre, a luglio Riad ha concesso a Tunisi un prestito agevolato dal valore di 500 milioni di dollari.Ebbene, dopo l’attacco iraniano di sabato contro Israele, l’Arabia Saudita ha mostrato un parziale raffreddamento dei rapporti con Teheran. Riad teme l’aggressività, i proxy e soprattutto le ambizioni nucleari del regime khomeinista: un elemento che la sta riavvicinando allo Stato ebraico. I sauditi vogliono quindi ripristinare la logica degli Accordi di Abramo e, da questo punto di vista, stanno scommettendo sulla vittoria di Donald Trump a novembre. Se il candidato repubblicano dovesse farcela, riesumerebbe la logica di quegli accordi e la Tunisia potrebbe farne parte. Già nel 2022 il think tank conservatore americano Heritage Foundation auspicava che Tunisi potesse normalizzare le sue relazioni con Israele. Insomma, i rapporti della Meloni con il presidente tunisino potrebbero portare l’Italia a giocare un ruolo di primo piano, qualora Trump tornasse alla Casa Bianca.
Andrea Sempio, nel riquadro il padre Giuseppe (Ansa)