Il docente di organizzazione aziendale e i fenomeni criminali Maurizio Catino: «La 'ndrangheta è quella che meglio sa adattarsi al business».La mafia all'università. Parliamo però dell'analisi e dello studio della criminalità organizzata, in Italia e nel mondo, che oggi viene studiata nelle facoltà di sociologia di diversi atenei del nostro Paese. Le domande che gli studiosi della criminalità, storica ed emergente, si possono così riassumere: come funzionano le mafie, in che modo conducono i loro affari, come risolvono i conflitti interni i diversi clan e «famiglie», come ricorrono alla violenza, perché elaborano un sistema così complesso di rituali, regole e codici di condotta, quali sono le differenze fra le diverse mafie. Aggiungiamo: perché negli ultimi anni le mafie «producono» meno omicidi del passato? Ora, questi e altri interrogativi, non sono solo oggetto di studio di magistrati, avvocati penalisti, criminologi, storici, politici, ma anche di sociologi dell'organizzazione. Il caso recente più noto è quello del professor Maurizio Catino, che insegna sociologia dell'organizzazione all'Università di Milano Bicocca. Il docente, oltre ai suoi studi classici di sociologia aziendale, ha deciso di estendere e approfondire i suoi studi all'organizzazione delle aziende criminali. Proprio su questi temi intrattiene un corso per gli studenti. Finora questa tema era stato sfiorato, anche da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e più recentemente da Nicola Gratteri e da altri magistrati. Mancava però un vero e proprio focus sull'organizzazione dei clan mafiose. L'ampio saggio (474 pagine) di Maurizio Catino colma sicuramente un vuoto, anche se la letteratura sulle mafie negli ultimi anni è stata molto ampia. Il saggio (Le Organizzazioni mafiose - La Mano visibile dell'Impresa criminale, edito da Il Mulino) analizza a fondo le tre principali mafie italiane (Cosa nostra siciliana, camorra, 'ndrangheta ), Cosa nostra americana, Yakuza giapponese, Triadi cinesi e mafia russa. Naturalmente questo elenco non esaurisce il numero delle organizzazioni criminali. Da non trascurare infatti la mafia nigeriana, quelle dei narcos sudamericani, l'albanese, la pugliese, eccetera.Perché professor Catino questo suo interesse per le mafie? «Come sociologo dell'organizzazione mi occupo di mafie dal 1997. Sulla mafia è stata scritta una grande quantità di opere, mancava però uno studio organico sull'organizzazione delle imprese extralegali. È su questo che ho concentrato i miei studi: le mafie non sono onnipotenti in grado di fare ciò che vogliono, ma per combatterle più efficacemente bisogna studiare a fondo anche la loro organizzazione».Ci hanno già pensato Falcone, Borsellino e altri magistrati, con la collaborazione di molti pentiti. Non è bastato? «Quelli citati sono stati contributi di grande importanza. Il mondo di oggi è però cambiato, così come le organizzazioni criminali che si sono trasformate, anche profondamente».Tra le mafie chi ha dimostrato i cambiamenti più marcati negli ultimi anni? «Le mafie non hanno uffici, indirizzi (ad eccezione della Yakuza: è considerata semilegale in Giappone; i soci hanno delle business card e la loro presenza è tollerata, a meno che non commettano azioni illegali), bilanci depositati. Sono organizzazioni segrete e quindi lasciano poche tracce della loro presenza».E quindi? «Penso che, almeno in Italia, è la 'ndrangheta quella che cambia più rapidamente, adattandosi ai territori dove opera e al tipo di business. Forse è anche per questa ragione che è diventata la più potente tra le mafie del nostro Paese, sostituendo anche Cosa nostra siciliana nel traffico internazionale di stupefacenti, stabilendo una relazione privilegiata con i grandi fornitori di cocaina del Sud America e del Messico. Non solo, ma la mafia calabrese si è distinta per la sua grande capacità di penetrazione nelle altre regioni italiane e perché riesce a infiltrarsi nelle istituzioni. Questo significa crescenti investimenti in economia, riciclaggio di capitali, con tassi elevati di illegalità».Si sono verificati anche casi di penetrazione mafiosa anche nel fronte antimafia? «Sì, si sono registrati alcuni casi di imprenditori, per fortuna scoperti e neutralizzati dalle autorità».Cosa nostra siciliana appare oggi molto debole? «Si è indebolita negli ultimi anni a causa della forte repressione degli organi dello Stato. Non è però sconfitta, si è solo fermata. Ricordiamo che dopo l'incessante attività repressiva, dal 1982 al 2017, sono state arrestate 17.391 persone per reati connessi ad attività mafiose; più di 450 persone sono state condannate all'ergastolo per omicidi di mafia nel solo distretto di Palermo, dal 1992 al 2006. Erano soltanto 9 nel primo maxiprocesso e circa una decina nei 100 anni precedenti. Aggiungiamo che più di 200 consigli comunali e provinciali sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Vi sono molti tentativi di boss per farla ripartire, ricostituendo la Commissione, il massimo organo centrale di Cosa nostra, sia quello del distretto di Palermo, che quello regionale. Le forze dell'ordine, finora, sono state molto vigili: non appena vengono ricostituiti questi organi i loro membri individuati e arrestati. Si tratta della più grave crisi di Cosa nostra nella sua storia di oltre 160 anni».C'è sempre il rischio di una rinascita mafiosa, anche a causa delle nuove generazioni di criminali? «Potrebbe accadere. Dopo l'uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992 e la fine di Cosa nostra “corleonese" e, come si è detto, la forte repressione da parte dello Stato, non si sono più registrati negli ultimi vent'anni uccisioni di persone di alto profilo (magistrati, politici, imprenditori, giornalisti, poliziotti, ecc.), ma se viene a mancare il contributo importante dei collaboratori di giustizia Cosa nostra potrebbe rialzare la testa. Dobbiamo quindi continuare con la massima attenzione nel controllare il fenomeno criminale». Anche perché il grande latitante, Matteo Messina Denaro, è sempre presente: dà ordini ai clan, che possono continuare il loro lavoro.«È vero, questo boss - e non solo lui - continua a promuovere investimenti fuori dalla Sicilia allo scopo di ridurre la conflittualità tra e dentro i clan, cercando anche di rendere meno visibili le attività criminali. In Sicilia non c'è in questo momento una “cupola", quindi è probabile viva altrove: forse in America Latina».Dunque i clan sono senza direttive degli organi centrali, col vertice senza cupola. E in caso di conflitti interni o con mafie straniere come si comporteranno? «Questo è il vero problema. Ovviamente non si possono rivolgere agli organi dello Stato. Devono necessariamente autogestirsi, come hanno fatto finora. È un problema analogo a quello della camorra, che non ha organi centrali per dirimere le controversie. Le mafie, italiane e straniere, anche se diverse (per storia, comportamenti, codici e riti), hanno molte cose in comune. Vi sono clan con piena autonomia, altri con semi autonomia, altre ancora sono filiazioni dirette del vertice. Tutti però, clan e federazioni di clan, sono tenute a rispettare le regole organizzative imposte dai vertici».Le mafie come aziende quindi? «Per semplicità diciamo pure così. Bisogna distinguere però tra coloro che appartengono all'organizzazione - chiamati “membri fatti" - e quelli che stanno al di fuori. Questi ultimi favoriscono le attività criminali in cambio di cospicui vantaggi economici».Come i «professionisti», chiamati anche zona grigia o area grigia? «Vengono menzionati anche “colletti bianchi". Si tratta di persone, al di fuori delle organizzazioni criminali, che collaborano attivamente con esse».E come vengono scelti questi professionisti? «Sono loro stessi che offrono i loro servizi: si tratta di commercialisti, legali, esperti fiscali, diritto del lavoro, amministrazione privata e pubblica, politiche creditizie e finanziarie. Sono particolarmente richiesti gli esperti di società fittizie perché le mafie ne creano moltissime, in Italia e all'estero».Soprattutto per aggirare gli ostacoli del crescente sequestro dei beni? «È stata questa una felice intuizione del giudice Falcone, poi realizzata con successo, e che ha rappresentato un'arma micidiale nella lotta alle mafie».Non è però ancora del tutto definita la destinazione dei beni sequestrati: proprietà immobiliari, terreni agricoli, aziende industriali, attività commerciali, ecc. Si dovrebbero vendere sul mercato, ma non tutti sono d'accordo. Si tratta di molte decine di miliardi di euro e spesso sono un peso per lo Stato perché deve finanziare la loro sopravvivenza…«Penso che si debbano solo vendere. Sappiamo che le attività industriali e commerciali avevano un mercato separato, sostenuto dai clan: ora non sono più competitive e non producono quindi profitti. Vanno quindi vendute a prezzi di mercato, senza preoccuparsi che la mafia possa rientrare nel possesso riacquistando questi beni. Se questo dovesse avvenire lo Stato può sempre tornare a sequestrarli.»Nel suo saggio non si è occupato del ruolo delle donne nelle strutture della mafia.«Le donne - mogli, madri, sorelle e fidanzate - non hanno mai avuto un ruolo importante nella gestione delle attività criminali. Solo da pochi anni diverse donne si sono prestate a gestire, come sostitute dei loro mariti o figli in carcere, le attività mafiose. È avvenuto nei clan della camorra e, in misura minore, in quelli siciliani. Le donne non hanno mai avuto ruoli di rappresentanza ai vertici delle organizzazioni e non sono mai state vincolate a sottoporsi a riti mafiosi. Le mafie rimangono quindi una prerogativa maschile e le donne sono sempre relegate a ruoli di supporto, di assistenza e quindi sempre subordinate. Anche nelle mafie straniere i comportamenti dei mafiosi sono molto simili».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.