2021-07-04
E' arrivato il momento di riscrivere la nostra legge sull'export delle armi
Le recenti frizioni con emiratini e sauditi, con tanto di commesse a rischio, non sono solo il frutto degli errori di Luigi Di Maio: è l'intera norma 185 che va rivista, creando una struttura collegiale adeguata pure alle sfide cyberGli Emirati arabi e l'Arabia Saudita sono stati storici partner dell'Italia. Sono interlocutori sunniti di primo livello. Interlocutori dai quali non si può prescindere se si vuole avere un ruolo nel Mediterraneo, dal Libano alla Libia, e nel Medioriente, Iraq compreso. Soprattutto sono importanti clienti della nostra industria della Difesa. Nel prossimo decennio i due Paesi contano di spendere 68 miliardi di dollari in sistemi di difesa e soprattutto in upgrade tecnologici. Forse non parteciperemo alla partita. Dopo la visita ufficiale a Riad del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il 29 gennaio l'Uama, l'unità per l'autorizzazione dei materiali e l'armamento, (che dipende dalla Farnesina) ha bloccato l'export di bombe verso Abu Dhabi e Riad motivandolo con presunte interferenze in Yemen. Al di là che la guerra in quell'area è sotto l'egida dell'Onu, la presa di posizione del dipartimento della Farnesina nasce da una motivazione politica tutta interna. Da un lato è servita per rimarcare la posizione dei 5 stelle nel solco del finto pacifismo e dall'altro per seguire l'alveo della politica dalemiana che ha colto l'occasione per dare una stoccata all'avversario Matteo Renzi. Reo di essere stato in visita in Arabia Saudita e aver fatto da influencer al principe Mohammad bin Salman. Al di là delle motivazioni di politica interna, solo uno sciocco potrebbe pensare che il blocco dell'export abbia una valenza tecnica. Poco importa che sia circoscritto a una tipologia di bombe assemblate in Sardegna da una ditta per metà tedesca. Lo stop assume una valenza geopolitica. Tant'è che emiratini e sauditi l'hanno interpretata nel modo più ampio possibile. Cioè come una brusca virata nei rapporti con l'Italia. Da allora una gara per fregate a cui può ambire soprattutto Leonardo è congelata per noi, ma aperta ai manager francesi. Il mese scorso un volo militare diretto ad Herat per l'ammaina bandiera delle truppe tricolore ha ricevuto il divieto di sorvolo e i militari presenti nella base di scalo di Al Minhad successivamente sono stati messi alla porta. Da ieri ne restano una ventina in albergo per sbrigare le ultime pratiche burocratiche. Inutili per il momento i tentativi della Farnesina di rimediare. I sauditi dal canto loro sarebbero pronti a commesse destinate a Fincantieri, ma osservano con distacco la situazione, compreso il difficile rapporto tra Roma e Il Cairo. La lista dei danni purtroppo prosegue. Ultima, la denuncia della moglie dell'imprenditore, Andrea Costantino, in carcere da tre mesi ad Abu Dhabi senza sapere perché. «Sarebbe una ritorsione», ha spiegato la donna, «rispetto alle mosse degli Esteri». Tutti tasselli che dimostrano quanto il mondo oggi sia complicato e al tempo stesso che il Paese non può più consentire che per scelte di piccolo cabotaggio o per interessi di partito si inneschi una spirale che alla fine danneggia l'intero sistema. Sbagliato pensare sia solo un tema legato a Luigi Di Maio e alle posizioni grilline. C'è molto di più. Siamo di fronte a un bivio che impone la revisione e la riforma dell'intera legge 185, quella che appunto regola l'export di armi e di sistemi di difesa. Quando fu pensata nel 1990 servì a fare da sintesi a percorsi molto farraginosi, spesso in capo al Parlamento. L'idea era quella di creare una unità snella, giustamente in capo alla Farnesina, che decidesse in poco tempo. All'epoca il mondo era ancora diviso in due parti. Il muro caduto da poco. Certo non esistevano le sfumature geopolitiche di oggi. È quindi arrivato il momento di riformare il testo di legge e di creare una nuova struttura che dipenda direttamente da Palazzo Chigi ma che sia anche collegiale. Serve, dunque, una cabina di regia nella quale Uama e la Farnesina possano versare le proprie capacità e l'esperienza fino ad ora accumulata. In modo da condividerla con personale militare e anche con chi si occupa di strategia. La struttura dovrebbe comunque essere accessibile al Parlamento, tramite Copasir, per consentire il funzionamento della democrazia. Il decennio appena iniziato necessita di scelte di lungo periodo. Non bastano quelle prese da ministri che vanno e vengono. Serve qualcuno che tuteli il bene del Paese e dell'industria. Riformulare la 185, in questo momento, vuol dire ragionare anche sulle nuove sfide della Difesa. Immaginando la cabina di regia in una posizione parallela rispetto alla Agenzia di cyber security, si potrebbe anche dotare l'Italia di nuovi strumenti in grado di affrontare i pericoli cyber virtuali e cyber fisici unendoli in nuovi protocolli ibridi. L'attuale legge è così antiquata che non contiene nemmeno il vocabolo «dual use» che invece è adesso alla base di grandi commesse e strategie. Insomma, il confine tra civile e militare e quello tra operazioni tipiche o atipiche andrebbe rivisto all'interno dei parametri di sicurezza nazionale, se almeno si vuole, da un lato, mettere al riparo le infrastrutture critiche lungo la penisola e, dall'altro, aprire ai nostri player della Difesa nuove opportunità di business e far crescere il Pil.