2022-05-31
Lamorgese litiga coi carabinieri per le canne
Luciana Lamorgese (Imagoeconomica)
Il Viminale esprime «forti perplessità» sulle verifiche nei negozi di canapa «light». E vuole incaricare la Finanza.Per le canne il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese è arrivato a litigare con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli e con i carabinieri, che nel frattempo si sono fatti più di qualche giro nei cannabis shop e canapa shop spuntati come funghi nelle città italiane, dopo la legge del 2016 che ha liberalizzato la promozione e la coltivazione agroindustriale della cannabis sativa (ovvero quella che presenta un principio attivo fino a 0,2 di Thc, la sostanza responsabile dell’effetto stupefacente). A creare il cortocircuito è stata una circolare del Viminale, con la quale sono state espresse «forti perplessità» sui controlli. Dogane e carabinieri negli ultimi tempi ci hanno dato dentro, presentandosi nei negozietti che vendono cannabis sativa per verificare il tipo di merce in commercio. E nel marzo scorso è scattata una maxi operazione «ispettiva antifrode a tutela della salute pubblica scaturita», si legge nel comunicato diffuso dalle Dogane e dall’Arma, «dall’analisi effettuata dagli Uffici centrali dell’Agenzia e ha interessato undici città». Il bilancio: 212 campionature di materiale a base di cannabis sativa hanno prodotto 163 sequestri amministrativi per sottoporre ad analisi i prodotti sospetti trovati all’interno degli esercizi commerciali.Nel comunicato l’Agenzia delle Dogane e dei monopoli ribadiva di essere «tra le autorità qualificate al controllo della sicurezza dei prodotti introdotti in Italia». Ma la guerra ai derivati della cannabis che, seppur messi in commercio come regolari, violerebbero la legge del 2016 è stata dichiarata ufficialmente dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli il 13 ottobre 2020, quando sul sito web è comparsa una determina firmata dal direttore Marcello Minenna, l’ex assessore al Bilancio in Campidoglio con Virginia Raggi che il Movimento cinque Stelle voleva candidare alla presidenza della Consob. La stretta si sarebbe resa necessaria, stando alla direttiva, per evitare che negli esercizi autorizzati alla vendita dei liquidi da inalazione, vengano commercializzati anche prodotti che violerebbero le norme sugli stupefacenti. In sostanza, sarebbe esclusa in modo «tassativo» la commercializzazione «di foglie, infiorescenze, oli e resine». D’altra parte, dopo un cortocircuito creato dalle toghe, che anche in Cassazione avevano prodotto non poche sentenze contraddittorie sulla libera vendita di quei prodotti, le Sezioni unite, nel 2019, hanno fatto luce, stabilendo che la cessione dei derivati dalla cannabis si configura come reato se i beni non rispettano i valori indicati dalla legge del 2016. La sentenza viene richiamata ora in una circolare che il comando generale della Guardia di finanza si è vista costretta a diramare ai comandi territoriali dopo le «forti perplessità» espresse dal Viminale sui controlli dell’Agenzia dei Monopoli e delle dogane. «Al riguardo», scrive il generale di brigata Giuseppe Arbore, «nel condividere pienamente le osservazioni mosse dal Dicastero, nell’ambito del complessivo quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento», si evidenzia che «la cannabis light, in quanto sostanza stupefacente, non può essere considerata un surrogato dei tabacchi». E pertanto sarebbe fuori dai poteri di controllo attribuiti «in materia di accise ai funzionari doganali». Agli avvocati che animano la pagina social di Tutela legale stupefacenti (alla quale è collegato un sito web con tanto di raccolta giurisprudenziale sull’argomento) la questione non era sfuggita e si erano prodigati per far sapere che l’Agenzia delle dogane stava «procedendo con controlli per sequestrare e verificare il Thc di prodotti a base di canapa sativa potenzialmente idonei ad essere fumati» e sottolineando che «i sequestri amministrativi delle confezioni di infiorescenze di cannabis light effettuati presso i rivenditori sono nulli perché sono eseguiti senza l’avviso della facoltà di avvalersi di un difensore di fiducia», consigliavano di «rivolgersi al Garante del contribuente». Probabilmente non immaginavano, però, che una miccia fosse già innescata nelle stanze del ministero dell’Interno.E dal terzo reparto operazioni della Guardia di finanza è partito il contrordine: «L’iniziativa», è spiegato nella circolare Arbore, «si discosta dalle istruzioni diramate tramite una precedente direttiva [...] con cui l’Agenzia dei Monopoli e delle dogane individuava specifiche linee guida da seguire nell’ambito dei controlli svolti sulla rete di vendita dei prodotti in trattazione, ponendo in risalto il necessario coinvolgimento del Corpo qualora fosse stata rilevata la commercializzazione di canapa o dei suoi derivati». Ovviamente è facile prevedere che la questione a livello locale ora possa suscitare più di qualche contesa sui controlli. E, così, la Guardia di finanza ha pensato a un’ultima disposizione, contenuta nel paragrafo di coda della circolare: «Codesti centri di responsabilità avranno cura di incaricare i dipendenti comandi provinciali, affinché nell’ambito dei Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica, se del caso, portino all’attenzione delle autorità prefettizie le suesposte criticità, anche considerando le possibili sovrapposizioni con gli ordinari servizi di polizia che l’operato delle Agenzie delle Dogane e dei monopoli potrebbe generare». In quel caso, stando al comando impartito dal generale Arbore, bisognerà «segnalare al Comando generale, Terzo Reparto». Sempre che Lamorgese prima non faccia pace con le Dogane e con l’Arma.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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