2024-06-07
La Lagarde sbaglia pure quando taglia i tassi
Arriva la scontata riduzione dello 0,25% (unico a votare contro l’austriaco Holzmann), ma la Bce non dà nessuna indicazione sulle mosse future lasciando i mercati nell’incertezza. Preoccupa ancora l’inflazione: i dati saranno valutati volta per volta.Chi legge conoscerà sicuramente la vecchia barzelletta dell’omino alla guida che sente alla radio: «attenzione c’è un pazzo che sta guidando contromano in autostrada!» e lui mentre scansa macchina in continuazione pensa «uno solo? saranno duecento!». Ecco, ieri a Francoforte la parte dell’omino della barzelletta l’ha fatta Robert Holzmann, governatore della banca centrale austriaca, che è stato l’unico a votare contro l’atteso taglio dei tassi di 25 punti base al 4,25% da parte della Bce. Che, smarcandosi per la prima volta dalla Fed, ha usato le forbici dopo cinque anni (per quelli sulle operazioni principali bisogna però risalire al 2016) e dopo dieci rialzi consecutivi.Una notizia attesa, quella del taglio, dai mercati finanziari per i quali il peggior nemico resta sempre l’incertezza. E incerta pare la strada delineata ieri da Christine Lagarde nella conferenza stampa post riunione del consiglio direttivo. Non è arrivata una risposta alla vera domanda che si facevano nelle sale operative: seguiranno altri tagli? Ebbene, dall’Eurotower non è arrivato alcun impegno a seguire un particolare percorso dei tassi. Ciò significa che non c’è alcun impegno a ulteriori tagli quest’anno. «Non posso confermare che siamo in un processo di rientro rispetto alla stretta iniziata nel 2022» ha detto, spiegando che con il taglio dei tassi oggi di un quarto di punto, la Bce «prende una decisione basandosi sulla fiducia di un percorso, ma avremo bisogno a ciascun singolo passaggio di dati e analisi che confermino che siamo in una fase di disinflazione». Insomma, il mantra è sempre lo stesso: «data, data, data, data». Ovvero le decisioni si prenderanno riunione per riunione in base ai dati macroeconomici (le prossime stime arriveranno a settembre). Gli stessi che hanno convinto ieri l’austriaco Holzmann a votare contro il taglio, guardando anche alle mosse della Federal Reserve.Il problema è che la traiettoria tracciata dai vertici della Bce è prudente ma non chiara. I dati cui si aggrappa Lagarde riflettono il passato ma è come rinunciare a dare una guida per il futuro e a dare una prospettiva. «Non siamo vincolati a un percorso prestabilito, sulla base di una valutazione aggiornata delle prospettive di inflazione, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria, è ora opportuno moderare il grado di restrizione della politica monetaria dopo nove mesi di tassi di interesse invariati», ha spiegato. «Ci saranno vari scossoni sulla strada dell’allentamento della stretta monetaria, alcuni li possiamo anticipare e predire, ma altri possono arrivare a sorpresa oppure alcuni li anticipiamo ma la portata è più grande del previsto. È una strada accidentata e i prossimi mesi saranno altrettanto, lo sappiamo», ha aggiunto Lagarde. Quindi, «i mercati facciano quello che devono fare, noi facciamo quello che dobbiamo fare, intanto la velocità e la tempistica della riduzione del livello di stretta monetaria rimane incerta». Se a marzo la previsione era di un ritorno dell’inflazione al 2% nel 2025, ora la stima per il prossimo anno è stata rivista al 2,2% per poi scendere all’1,9% nel 2026. Nell’area euro, «malgrado i progressi degli ultimi trimestri, persistono forti pressioni interne sui prezzi poiché la crescita delle retribuzioni è elevata e dunque l’inflazione resterà probabilmente al di sopra dell’obiettivo fino a gran parte del prossimo anno», ha evidenziato Lagarde con parole diverse rispetto a quelle della conferenza stampa di aprile, quando aveva indicato che l’inflazione avrebbe visto delle fluttuazioni attorno ai livelli attuali, prima di scendere all’obiettivo del 2% a metà 2025. Un ragionamento che penalizza di più i Paesi come l’Italia che hanno un debito molto alto e un’inflazione intorno al 2% al di sotto della media Ue. L’inflazione viene definita «sticky», vischiosa, e resterà probabilmente al di sopra dell’obiettivo fino a gran parte del prossimo anno. Restano forti pressioni interne sui prezzi nel settore dei servizi poiché la crescita dei salari è elevata. Così come resta il problema della divergenza con la politica monetaria della Fed. Certo, l’inflazione dell’Eurozona è in gran parte attribuita a termini di scambio negativi piuttosto che a un eccesso di domanda. Detto questo, sembra improbabile che la Bce possa ridurre i tassi più di due volte prima che la banca centrale americana annunci il primo taglio dall’altro lato dell'Atlantico onde evitare significative ripercussioni sul mercato valutario con il rischio di importare inflazione. I mercati si aspettano che la banca centrale americana inizi a muoversi a settembre e gli analisti prevedono che le riduzioni dei tassi della Fed si protrarranno fino al 2026. Ieri, intanto, le Borse europee hanno chiuso la seduta in rialzo. Il Ftse Mib ha registrato un +0,95%, Parigi e Londra sono salite dello 0,4%, Francoforte dello 0,38%. A Milano è ripartito al rialzo il settore bancario che ha chiuso tonico con Bper (+2,7%), Unicredit (+2,5%) ed Mps (+2,19%). Sul fronte valutario, dopo la decisione della Bce l’euro è dapprima balzato nei confronti del dollaro ma poi ha rallentato e ha chiuso poco mosso sul dollaro. La moneta unica viene scambiata a 1,0878 sul biglietto verde, poco sopra la parità, in lieve rialzo dello 0,08%. Sullo yen ha prima oltrepassato i 170 euro per poi scendere sotto tale soglia a 169,73 e segnare il +0,03%. Sulla sterlina, la moneta unica viene scambiata a 0,8516 pence segnando lo 0,2%. E lo spread? I rendimenti dei governativi hanno chiuso in rialzo ma sotto i massimi di seduta. Lo spread tra Btp e Bund si è attestato a 132 punti (dai 131 di mercoledì sera).
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)