2019-07-01
La grottesca lezione di Albinati sui naufragi
Lo scrittore si era augurato che morisse un bambino su una nave delle Ong: «Così vedremo che cosa farà il governo Conte». Non ha mai chiesto scusa, anzi torna a rincarare la dose. E ci rifila un predicozzo sugli stranieri abbandonati in mare.Se tutta questa indegna cagnara sui tassisti del mare e sull'immigrazione di massa ha avuto un pregio è senz'altro quello di aver fatto emergere la sconcertante ipocrisia dei presunti intellettuali italiani. Giornalisti, registi, professori e scrittori che da anni ottengono visibilità facendo esibizione di superiorità morale, chiedendo che i porti siano aperti e che gli stranieri possano entrare passeggiando sul tappeto rosso. Fra i più attivi profeti dell'accoglienza c'è il romanziere Edoardo Albinati, già vincitore del premio Strega. Ieri, sul supplemento domenicale del Sole 24 Ore, il nostro ha pubblicato un dotto articolo intitolato «Naufragio senza spettatore», il cui testo sarà riportato anche sul numero di luglio dell'autorevole rivista Psiche edita dal Mulino. Albinati «riflette sul millenario tema del naufragio e di chi vi assiste», si legge nel sommario. E si chiede «se sia giusto o ingiusto godere della propria sicurezza comparandola all'insicurezza altrui, arrivando fino a chi nega lo sbarco agli scampati». Messa così sembra che si tratti di una profonda riflessione filosofica. In verità, è l'ennesima rampogna contro il governo leghista che si oppone all'invasione. Secondo Albinati, l'esecutivo confina i migranti nel «purgatorio o forse il limbo del respingimento». Tanto che «quelli che non sono periti tra le onde, semplicemente, cesseranno di esistere». L'idea di fermare gli sbarchi, prosegue, è «degradata e strumentale». Argomenta lo scrittore: «Dunque affondare le navi degli intrusi prima che queste affondino da sole? Siccome non è lecito, e sarebbe troppo scandaloso (eppure qualcuno è arrivato seriamente a proporlo!) ecco farsi avanti una nuova modalità, quella, potremmo dire, dell'indifferenza attiva, della cecità programmata». Inutile citare oltre, perché ormai avrete capito dove si va a parare. Albinati, in sostanza, torna a farci la morale, sostenendo che chi si oppone agli attivisti scriteriati in stile Carola Rackete è un disumano, un cattivone privo di pietà. Direte: sai che novità, alle intemerate di questo genere ormai ci siamo abituati. Qui, però, c'è qualcosa di diverso. Il fatto che sia Edoardo Albinati, su uno dei più blasonati inserti culturali del Paese, a fare la morale sull'accoglienza è particolarmente fastidioso. Lo scrittore, va riconosciuto, di naufragi (immaginati) ha una certa esperienza. Poco più di anno fa, presentando a Milano un libro sull'immigrazione, il romanziere pensò bene di commentare la vicenda della nave Aquarius, un caso simile a quello che oggi vede coinvolta la Sea Watch. Dichiarò Albinati: «Io stesso, devo dire, con realpolitik, di cui mi sono anche vergognato, ieri ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il nostro governo».Esatto, il pregiato intellettuale si augurava che morisse un bimbo sulla nave carica di migranti, così il governo Conte sarebbe stato sommerso dallo sdegno di tutto l'Occidente. Per quelle parole, come prevedibile, Albinati non si è mai scusato. Anzi, non ha perso occasione per rincarare la dose. Su quella frase sciagurata ha scritto addirittura un libro, Cronistoria di un pensiero infame, che ha goduto di ottima stampa. La Lettura del Corriere della Sera, altro importante inserto letterario, gli dedicò ben quattro pagine incensatorie. In quell'occasione, lo scrittore disse: «La mia era senz'altro un'uscita brutale ma nient'affatto iperbolica, anzi, lineare, era un ragionamento di realpolitik: chi rischia tutto sulla pelle dei naufraghi per ragioni elettorali, pensavo, perderà così la sua scommessa». Chiarissimo: Albinati non era affatto pentito, anzi, rivendicava le frasi sulla morte di un bambino. «Mi sono dimostrato ingenuo perché, in realtà, della sofferenza e della morte altrui a costoro non importa un bel nulla» , spiegava.Poi aggiungeva: «L'idea che una disgrazia potesse punirli per la loro iniquità era dunque vana. Quindi mi vergogno non di quello che ho detto, ma di aver pensato che fosse possibile mettere in crisi il loro cinismo a tempo pieno con i miei dieci secondi di cinismo». Già, non si vergognava delle sue parole orribili, ma della sua «ingenuità». Ora, a distanza di un anno, il film viene proiettato di nuovo. Come se niente fosse, il premio Strega torna a parlare di navi e naufragi, e secondo i «grandi giornali» noi dovremmo pure starlo a sentire e imparare. Se un atteggiamento simile lo avesse tenuto un intellettuale non di sinistra, sarebbe stato impalato sulla pubblica piazza. Ad Albinati, invece, si continua ad offrire il pulpito. È un naufragio, in effetti: quello della ragione.