2019-06-06
La Francia tira la corda per Renault e l’Italia si prepara a entrare in Fca
Si continua a trattare per la fusione tra i due colossi dell'automobile. Per bilanciare i transalpini nel cda il governo gialloblù valuta l'ipotesi di un ruolo attivo. Una mossa che però costerebbe notevoli investimenti.L'esecutivo italiano, a tendere, potrebbe comprare quote di Fca. A parlare a Bloomberg tv, anche se in modo piuttosto isolato tra i gialloblù, è stato il sottosegretario allo Sviluppo economico, il leghista Michele Geraci. «Il governo non deve comprare una quota di Fca nel breve periodo», ha dichiarato, ricordando che il gruppo è privato ed «è libero di fare accordi». Il ruolo del governo, ha sottolineato Geraci, «è quello di monitorare l'impatto sulla produzione e sull'occupazione». Ad ogni modo, ha aggiunto, «il nostro governo è aperto a investire, se questo avrà un impatto positivo in termini di crescita economica e occupazionale per i cittadini». Alla domanda se l'esecutivo stia giocando un ruolo attivo nelle trattative, Geraci ha risposto: «Siamo in contatto, ma Fca è una società privata». Il sottosegretario ha inoltre espresso commenti positivi sotto il profilo industriale dell'operazione, che potrebbe accelerare la produzione di auto elettriche da parte del gruppo Fca, indietro rispetto a Renault e Nissan sui modelli elettrici. Ha inoltre auspicato un coinvolgimento del gruppo giapponese, anche se ha più volte sottolineato che «è necessario aspettare i dettagli. È troppo presto per far speculazioni, la notizia dell'operazione è fresca».Geraci, va detto, non sarebbe il primo leghista a considerare un ingresso nel capitale di Fca. Già Claudio Borghi, in un'intervista all'Huffington Post aveva parlato della possibilità dell'ingresso dello Stato italiano nel matrimonio tra Fca e Renault: «È una carta che può essere messa sul tavolo se si volesse stabilire una presenza paritetica tra noi, attraverso la Cdp, e lo Stato francese», aveva detto. A questo punto le parole di Geraci portano la posizione dell'Italia a un bivio. Ammesso che la fusione prenda piede e che il governo francese, in quanto azionista al 15% di Renault, riesca ad avere un rappresentante in cda, bisogna capire come intenda muoversi il governo italiano.Con la nuova fusione paritetica tra Fca e Renault la quota del governo francese verrebbe diluita del 50% ed Emmanuel Macron e i suoi si troverebbero ad avere il 7,5% del terzo gruppo automobilistico mondiale dopo Toyota e Volkswagen. In questo scenario, per dire la sua come farebbe quello francese, l'esecutivo italiano dovrebbe sborsare non pochi soldi dei contribuenti, fondi pubblici che di questi tempi l'Italia non può certo permettersi di spendere visto il deficit in cui versa il Paese e con la procedura di infrazione Ue sulle spalle. La seconda ipotesi è che l'Italia decida di restare alla finestra e non entrare nel capitale del nuovo gruppo. In questo caso la Francia, come azionista di un gruppo da oltre 400.000 dipendenti (senza considerare Nissan e Mitsubishi), potrebbe dire la sua con un'importante freccia al suo arco. Con una poltrona nella stanza dei bottoni di un colosso delle quattro ruote come quello che potrebbe nascere, la Francia potrebbero influire su scelte strategiche importanti che potrebbero muovere il prodotto interno lordo a favore della Francia e a sfavore dell'Italia.Ormai dunque il matrimonio Fca-Renault è passato dalle scrivanie dei manager a quelle dei rispettivi Stati. L'Italia si trova di fronte a una scelta non da poco. Sborsare miliardi dei contribuenti per avere diritto di parola o subire le scelte della Francia che di certo farà i suoi interessi? Troppo presto per dirlo. Anche perché non è ancora noto se il matrimonio a quattro ruote avrà luogo. Quello che è certo è che nella serata di ieri si è tenuto un nuovo cda in Renault, presieduto da Jean Dominique Senard, dopo quello di due giorni fa concluso con un nulla di fatto, per decidere se accettare o meno le «avance» di Fca. Nel momento in cui La Verità andava in stampa l'esito del cda non era ancora chiaro, ma ieri le discussioni sul tema non sono mancate. Sul tavolo c'erano le richieste del governo francese su governance e siti industriali, oltre ad aspetti finanziari. Oggetto del contendere, soprattutto, sarebbe il valore attribuito a Renault, il cui titolo alla Borsa di Parigi in un anno è sceso da 80 euro a circa 56.Inoltre, va detto che il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, ieri è tornato a parlare della proposta di Fca, ribadendo l'interesse per l'operazione, ma chiedendo di non avere fretta a chiudere e sottolineando ancora che ci sono condizioni da rispettare, nell'interesse di Renault e della Francia.In primis c'è la posizione di Nissan che ieri, come due giorni fa, ha fatto sapere che i consiglieri del marchio nipponico presenti nel cda di Renault non avrebbero votato a favore o a sfavore della fusione. Meno importante, ma si tratta pur sempre di un azionista contrario al sodalizio, è la posizione del fondo francese Ciam, che possiede l'1% di Renault. Due giorni fa ha inviato una lettera al cda del marchio della losanga, parlando di operazione «opportunista» di Fca.La verità è che bisogna attendere. Con il semaforo verde alla fusione, l'Italia si troverà a dover scegliere se salire sul treno del terzo colosso mondiale dell'automobilismo. Se non lo farà, potrebbe essere un problema.
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