2021-10-30
Immigrati, energia, industria: il patto segreto con i francesi
Emmanuel Macron (Thierry Monasse/Getty Images)
Proprio nelle ore del G20 a Roma, Italia e Francia stringono sull'intesa bilaterale su cui si lavora da anni. Firma prevista a novembre: Parlamento e opinione pubblica all'oscuro. Appalti, Difesa, confini: a guadagnarci è quasi solo Parigi. Molti spingono per un sì in tempi rapidi. Ma Mario Draghi vuole cautela.Mentre la sinistra discute e si accapiglia su un tema fondamentale come la legge Zan contro l'omotransfobia, è assai probabile che un nostro vicino transalpino si stia fregando le mani. E non perché l'Italia si sia rivelata un Paese retrogrado, che non tutela i gay e discrimina chi ha tendenze sessuali diverse da quelle degli eterosessuali, - come dicono Letta e i suoi compagni -ma perché la grande distrazione di massa della legge Zan sta consentendo di far passare inosservato un accordo che rischia di danneggiarci, facendo un gran favore alla Francia.Di che parliamo? Di quello che negli ambienti diplomatici ed economici viene definito il patto del Quirinale, ovvero di un'intesa che su una serie di temi vincolerebbe il nostro Paese a vantaggio di Parigi. Se ne discute da anni e le avvisaglie di questo trattato si son viste tempo fa, con Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, quando zitto zitto il presidente del Consiglio mandò avanti il famoso accordo di Caen sui confini marittimi, una convenzione che di fatto ridisegnava il Tirreno in Sardegna, Toscana e Liguria, a favore dei cugini francesi. In pratica, il governo guidato dall'attuale commissario europeo cedeva i diritti sulle acque territoriali di nostra competenza, regalando un pezzo di mare alla Francia, con grande gioia dei pescatori delle tre regioni interessate, che da sempre in certe zone erano abituati a gettare le reti. All'epoca, a seguito di un nostro articolo e della denuncia delle opposizioni la svendita fu bloccata, rinviandola a data da destinarsi e grazie alla fine della legislatura il colpo di mano fu sventato. Ma adesso Parigi ci riprova. Anche questa volta in gran silenzio si parla di concordare un'intesa che riguardi la gestione degli immigrati, «un'evoluzione dello spazio frontaliero» (formula astrusa che pare non promettere niente di buono se non di fregarci qualche pezzo di territorio), una «governance comune nel settore digitale e dello spazio cibernetico», «l'eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi» (cioè levare gli aiuti alle aziende che non piacciono a Greta Thunberg) eccetera.Il trattato riguarderebbe gli affari esteri, la sicurezza e la difesa, la giustizia, la cooperazione economica, industriale e digitale, lo sviluppo sociale, i rapporti con l'Europa, lo Spazio, l'amministrazione pubblica e altro ancora. In pratica, ci stiamo legando a doppio filo alla Francia senza che nessuno, non il Parlamento, non i giornali e quindi tantomeno l'opinione pubblica siano informati delle scelte. Magari si tratterà dell'intesa più vantaggiosa del mondo, ma conoscendo i nostri amici transalpini diciamo che nutriamo qualche dubbio. Di certo non ci piace la segretezza con cui è affrontata la questione, che rischia di essere vitale per il nostro Paese, perché come ogni patto ci vincola a precisi obblighi. E se quello impostato da Gentiloni regalava un pezzo di mare ai francesi, questo - che siamo sicuri al commissario europeo non dispiace - che cosa dona ai cugini?Qualcuno potrebbe obiettare che ci saranno modi e tempo per scoprirlo. E invece no, perché tra un disegno di legge Zan e una proposta di far votare i sedicenni, oppure di dare lo ius soli ai migranti - tutte idee tenute a battesimo da Enrico Letta, un tizio che ha trascorso gli ultimi anni a Parigi - il tempo di discutere del patto del Quirinale non si è trovato e ora l'intesa è a un passo dalla firma. La prima bozza è circolata in ambiente ristretto nel dicembre del 2020, in piena emergenza Covid e dunque nessuno se ne è accorto. Nel giugno di quest'anno il Quirinale ha ricevuto la controproposta francese articolata in un'ipotesi di trattato con annessa una feuille de route, cioè una tabella di marcia. Beh, il ruolino che è transitato dagli uffici del ministero degli Esteri prevede che la sigla del patto di cooperazione bilaterale avvenga entro l'anno in corso. Anzi, forse già entro il mese prossimo. Leggo testualmente da un appunto che circola in ambienti diplomatici: «l'idea è che si possa chiudere il testo entro il mese di ottobre e prevedere la firma del trattato a Roma nel mese di novembre, precedendo il prossimo vertice bilaterale che dovrebbe tenersi in Francia». Ecco, siccome in passato la segretezza di queste intese, vedi Caen, non ha portato nulla di buono, il Parlamento quando avrà smesso di accapigliarsi su questioni fondamentali come il fascismo e l'antifascismo, la messa fuori legge di Forza Nuova e altre faccende di cruciale importanza, potrebbe occuparsene e farci sapere quale contratto stiamo firmando e con quale patto ci stiamo legando le mani?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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