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2018-11-07
Macron alla guerra dell’export utilizza l’Onu contro il cibo italiano
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ANSA
Come il suo presidente Emmanuel Macron, la Francia vive davvero sull'orlo di una crisi di nervi ed ha un'ossessione: l'Italia. E si comporta come quel tizio che per fare dispetto alla moglie si evirò. La prova si è avuta giorni fa a Ginevra dove il 2 novembre si è tenuta la riunione informale del Foreign policy and global initiative. Sono sette Paesi che dovrebbero studiare per conto dell'Onu come fare a far star meglio il pianeta e chi lo abita. Di questi sette fa parte anche la Francia che ha votato una risoluzione sulla nutrizione che verrà proposta e discussa da lunedì prossimo all'assemblea generale dell'Onu.
Al centro della risoluzione ci sono i cosiddetti «alimenti a rischio» contro i quali i sette Paesi chiedono etichettature che dissuadano dal consumo, dazi e balzelli. E nel mirino finiscono ancora una volta olio extravergine, parmigiano e grana, prosciutto e salumi, panettoni. Insomma cercano di ribaltare quanto hanno deciso un paio di mesi fa i capi di Stato. Anche allora si era trattato di mettere sotto accusa i grassi, il sale, lo zucchero, i formaggi facendo una zuppa immonda tra junk food (il cibo spazzatura) e prodotti di altissimo pregio sia gastronomico che nutrizionale. Si trattava di adottare la risoluzione per combattere le malattie della modernità: quelle cardiovascolari, il diabete legate in qualche modo all'alimentazione. E si sapeva che gran parte dei prodotti del made in Italy sarebbero saliti sul banco degli imputati. Senza nessuna ragione scientifica. Il nostro governo e la diplomazia italiana sono stati così convincenti da far sì che la risoluzione adottata in sede di Oms (organizzazione mondiale della sanità) non solo non ha assunto nessuna iniziativa contro i nostri prodotti, ma ha spostato - correttamente - l'accento sugli stili di vita. Anche perché l'Onu si sarebbe trovato di fronte al paradosso di aver promosso la dieta mediterranea come patrimonio mondiale dell'umanità e poi penalizzare i prodotti cardine, come l'olio extravergine di oliva, della stessa dieta mediterranea.
Sembrava finito tutto lì. Fino a tre giorni fa e alla presa di posizione di Ginevra che è chiaramente punitiva sotto il profilo politico e commerciale. In pratica i sette Paesi (Brasile, Senegal, Indonesia, Norvegia, Sudafrica, Thailandia e Francia) raccomandano all'Onu di adottare drastiche misure di limitazione del consumo di prodotti grassi, zuccherati e con il sale. Ma sostanzialmente il bersaglio è il made in Italy dell'agroalimentare. I motivi? Apparentemente per tutelare la salute del mondo, in realtà per ognuno di sei dei sette Paesi vi è una motivazione commerciale. Ma per la Francia no. Vediamo di capirci. Il Brasile ha tutto l'interesse a deprimere il consumo di frutta europea e d'incrementare quello di pesce, egualmente vale per il Sudafrica, la Norvegia deve spingere al massimo sulla nutrizione a base di omega 3 visto che vive di salmoni (poi c'è da discutere tenuti in vita con quanti antibiotici), la Thailandia deve fare spazio al suo olio di palma e al suo riso, Indonesia e Senegal devono conquistare il mercato dei legumi attraverso l'esportazione di soia. Non è un mistero che sei dei sette Paesi sono in mano alle multinazionali dell'agroalimentare che stanno decisamente spostando il loro core business dal cibo alla produzione di integratori alimentari e diete supposte «salutistiche».
Ma se tutto questo si spiega per i Paesi dove le multinazionali comandano, non si capisce la posizione della Francia. Se l'Onu dovesse mai approvare in assemblea la direttiva paventata, lo Champagne, il Jambon de Peys , il Camembert e tutti gli altri formaggi francesi, i salami di cui sono orgogliosissimi, il foie gras e le varie terrines de campagne che da sempre sono i prodotti dell'eccellenza francese sarebbero trattai alla stregua di Parmigiano, olio extravergine, prosciutto, panforte, cioè segnalati come pericolosi per la salute. L'unica spiegazione per la posizione francese è che i transalpini non sopportano il primato italiano nell'export dell'agroalimentare (quest'anno è cresciuto del 12 per cento e ha sfondato il tetto dei 40 miliardi) e fanno di tutto per penalizzarci. E che di penalizzazione si tratti lo dice chiaro e tondo il ministro per l'agricoltura e turismo Gian Marco Centinaio: «Non si tocchino i prodotti del made in Italy. Continuare a discutere sull'introduzione di indicatori di nocività sugli alimenti (le cosiddette etichette a semaforo) sulla base dei contenuti di grasso, zuccheri o sale è veramente pretestuoso. Se alcuni Paesi», ha affermato il ministro, «in sede di Oms non vogliono ragionare dopo che è stato stabilito che non esistono cibi più o meno salubri ma diete sane o insalubri allora daremo battaglia. È inaccettabile. Come si può pensare che ciò che l'Unesco ha designato come patrimonio dell'umanità, la dieta mediterranea, possa essere considerato nocivo?».
Se il ministro Centinaio annuncia battaglia, già in sede di conferenza a Ginevra tre giorni fa il nostro ambasciatore Gian Lorenzo Cornado aveva respinto con fermezza la formulazione della risoluzione sostenendo che il linguaggio usato contraddice quanto deciso il 27 settembre da tutti i capi di governo là dove si afferma: «Si esortano gli Stati membri ad adottare politiche fiscali e rogatorie come la tassazione e le etichette da apporre su cibi e bevande insalubri».
È una vera guerra commerciale contro la quale mette in guardia la Coldiretti che se da una parte ricorda come l'export dell'agroalimentare di qualità italiano vada a gonfie vele dall'altra fa presente, con il suo presidente Roberto Moncalvo, che l'etichettatura a semaforo adottata in Gran Bretagna - col paradosso che l'olio extravergine di oliva è trattato alla tessa stregua delle patatine fritte - ha già prodotto un danno pari alla contrazione del 14% delle esportazioni italiane verso Londra. A questo punto viene da chiedersi se la Francia abbia attentamente valutato la sua posizione che contraddice quella che Parigi ha assunto a Bruxelles dove da tempo si discute dell'etichettatura di origine dei prodotti. A Bruxelles - di fronte a un Europa peraltro sorda all' istanza di garantire l'autenticità dei prodotti visto che preferisce fare gli interessi delle multinazionali - la Francia fa fronte comune con Italia, Spagna e Grecia e in sede Onu si contraddice. Segno evidente di una posizione bipolare.
Carlo Cambi
Scordamaglia: «Non servono bollini o etichettature sui cibi, ma educare il consumatore alla consapevolezza alimentare»

Il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia interviene sulla battaglia continua sul futuro dell'alimentazione tra sofisticazione chimica e di laboratorio di alcune multinazionali che condizionano Oms e il settore delle eccellenze agroalimentari.
«Le eccellenze agroalimentari del made in Italy, come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma o l'olio di oliva, sono ancora una volta sotto l'attacco di iniziative scellerate che prediligono sistemi di etichettatura ingannevoli e nocivi per il consumatore e per tutto il comparto alimentare italiano».
Così Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, commenta l'iniziativa presentata dai sette paesi - Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Thailandia - appartenenti alla Foreign policy and global health che esortano «gli Stati membri ad adottare politiche fiscali e regolatorie» in materia di etichettatura; un progetto di risoluzione che sarà discusso entro l'anno all'assemblea generale Onu a New York al fine di predisporre apposite etichette nutrizionali e una riformulazione delle ricette sulla riga.
«Etichettando come insalubri alimenti che contengono al loro interno anche grassi e sali» - commenta Scordamaglia - «si corre il rischio di ingannare il consumatore, si pensi ai bollini neri apposti sul Parmigiano in Cile, e di nuocere all'altissima qualità dei prodotti italiani, in primis i Dop e gli Igp, e in generale alla filiera agroalimentare nel suo complesso che si ispira ai più alti standard di qualità, sia per quanto riguarda le materie prime che i processi di trasformazione. Non solo: con questo genere di iniziative si rischia di distruggere intere filiere agroalimentari di milioni di agricoltori e PMI avvantaggiando solo poche multinazionali più interessate ad usare la chimica come ingredientistica di base per ridurre i costi di produzione e innalzare i propri margini a scapito del consumatore oggetto di una vera e propria campagna di disinformazione».
Scordamaglia è chiaro: «Si sta facendo passare il messaggio che esistano cibi salubri e cibi non salubri, mentre la verità è che esistono solo diete e stili di vita salubri o insalubri e che la dieta migliore è quella italiana, la quale contiene tutti i cibi in modo equilibrato. Un concetto che il comparto agroalimentare italiano ha ben capito dal momento che il
nostro Paese è in cima alla classifica di Bloomberg per longevità».
Tali considerazioni non possono essere ignorate e le norme proposte pongono l'Oms davanti a un atto di responsabilità: scegliere come far fronte alla sfida di nutrire la popolazione del futuro. «Per questo» - conclude Scordamaglia, presente a Ginevra al Who Gcm/Ncd general meeting - «è necessario che l'Oms smetta di sostenere posizioni ideologiche e nella maggior parte dei casi prive di evidenze scientifiche e che finiscono con il tutelare interessi di pochi; non servono bollini o etichettature che mettano in guardia su specifici cibi, ma è necessario educare il consumatore alla
consapevolezza alimentare, promuovendo iniziative di sensibilizzazione e comunicazione, non certo avvisi macabri e ingannevoli».
L’Ue finalmente rimette i dazi sul riso orientale
Una prima vittoria per i risicoltori italiani: la Commissione europea ha proposto infatti di reintrodurre per tre anni i dazi sul riso proveniente dalla Cambogia e dalla Birmania, due tra i principali Paesi esportatori del sudest asiatico, dando finalmente un riscontro concreto alla battaglia dei produttori italiani. A darne notizia è stato il ministero dello Sviluppo economico, in un comunicato in cui si spiega che l'esecutivo comunitario ha concluso l'inchiesta sulle importazioni di riso «indica» da Cambogia e Birmania, avviata lo scorso 16 febbraio a seguito di un'istanza presentata dallo stesso Mise con il sostegno del ministero delle Politiche agricole.
Le conclusioni «propongono l'applicazione di una clausola di salvaguardia a tutela dei risicoltori e delle industrie italiane ed europee, che prevede la reintroduzione di dazi sulle importazioni da Cambogia e Birmania, che attualmente sono a dazio zero, per un periodo di tre anni. La Commissione ha proposto di applicare sulle importazioni di riso indica la normale tariffa doganale, pari a 175 euro/tonnellata, per il primo anno e in misura ridotta per il secondo (150 euro/ton) e terzo anno (125 euro/ton)». La Commissione sottoporrà la proposta al parere degli Stati membri nell'ambito del Comitato del sistema delle preferenze generalizzate, convocato a Bruxelles per dicembre. Se la proposta otterrà una maggioranza favorevole, la clausola di salvaguardia potrebbe diventare operativa già a inizio 2019.
Soddisfatto il ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio, secondo cui si tratta di «un risultato importante, che riconosce al nostro Paese il danno economico causato dalle importazioni a dazio zero da Cambogia e Birmania e il grande lavoro che stiamo portando avanti a sostegno di un settore che per troppo tempo è stato penalizzato. Abbiamo perso oltre il 50% della superficie investita per la coltivazione. Non possiamo più permettercelo». Centinaio ha aggiunto: «Nei prossimi giorni lavoreremo per avere la conferma definitiva del ripristino per tre anni dei dazi. La tariffa applicata deve essere la stessa per tutti e tre gli anni, non esistendo ragioni giuridiche e tecniche che possano giustificare una riduzione progressiva. Allo stesso tempo proseguiamo i controlli serrati nei confronti delle navi di riso asiatico che arrivano in Italia. Blocchiamo e rispediamo indietro chi non rispetta i nostri standard sanitari e di sicurezza».
Sulla necessità di mantenere i dazi al livello standard per tutti e tre gli anni si è detto d'accordo il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. L'associazione degli imprenditori agricoli ha ricordato che l'Italia è il principale Paese produttore di riso dell'Ue e da alcuni anni sta subendo le conseguenze negative del massiccio aumento delle importazioni, in particolare quelle provenienti dall'area asiatica. Questa situazione, spiega l'associazione, è determinata in gran parte dalle concessioni unilaterali dell'Ue ai Paesi meno avanzati (Pma), che si concretizzano con l'esenzione totale dai dazi nell'export verso l'Europa. Circa il 70% del riso importato nella Ue non paga tariffe doganali: la Birmania è il secondo fornitore di riso per quantità dell'Europa dopo l'India, mentre la Cambogia è al quarto posto dopo la Thailandia. «Naturalmente», conclude Confagricoltura, «questo aumento di offerta ha condizionato in termini negativi anche i prezzi del riso nel mercato italiano».
Chiara Merico
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Nuova risoluzione sui cosiddetti prodotti alimentari nocivi alla salute. Nel mirino finiscono prosciutto e salumi, olio extravergine, parmigiano e grana. Il ministro Gian Marco Centinaio: «Se vogliono la guerra l'avranno».Il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, avverte: «Alt a chi prova ad aggirare il no dei capi di stato e di governo su tasse e etichette penalizzanti per le eccellenze made in Italy».L'Ue rimette i dazi sul riso orientale. Successo italiano: la Commissione vuole la clausola di salvaguardia sulle importazioni da Cambogia e Birmania a tutela della filiera risicola europea da tempo penalizzata.Lo speciale comprende tre articoli.Come il suo presidente Emmanuel Macron, la Francia vive davvero sull'orlo di una crisi di nervi ed ha un'ossessione: l'Italia. E si comporta come quel tizio che per fare dispetto alla moglie si evirò. La prova si è avuta giorni fa a Ginevra dove il 2 novembre si è tenuta la riunione informale del Foreign policy and global initiative. Sono sette Paesi che dovrebbero studiare per conto dell'Onu come fare a far star meglio il pianeta e chi lo abita. Di questi sette fa parte anche la Francia che ha votato una risoluzione sulla nutrizione che verrà proposta e discussa da lunedì prossimo all'assemblea generale dell'Onu.Al centro della risoluzione ci sono i cosiddetti «alimenti a rischio» contro i quali i sette Paesi chiedono etichettature che dissuadano dal consumo, dazi e balzelli. E nel mirino finiscono ancora una volta olio extravergine, parmigiano e grana, prosciutto e salumi, panettoni. Insomma cercano di ribaltare quanto hanno deciso un paio di mesi fa i capi di Stato. Anche allora si era trattato di mettere sotto accusa i grassi, il sale, lo zucchero, i formaggi facendo una zuppa immonda tra junk food (il cibo spazzatura) e prodotti di altissimo pregio sia gastronomico che nutrizionale. Si trattava di adottare la risoluzione per combattere le malattie della modernità: quelle cardiovascolari, il diabete legate in qualche modo all'alimentazione. E si sapeva che gran parte dei prodotti del made in Italy sarebbero saliti sul banco degli imputati. Senza nessuna ragione scientifica. Il nostro governo e la diplomazia italiana sono stati così convincenti da far sì che la risoluzione adottata in sede di Oms (organizzazione mondiale della sanità) non solo non ha assunto nessuna iniziativa contro i nostri prodotti, ma ha spostato - correttamente - l'accento sugli stili di vita. Anche perché l'Onu si sarebbe trovato di fronte al paradosso di aver promosso la dieta mediterranea come patrimonio mondiale dell'umanità e poi penalizzare i prodotti cardine, come l'olio extravergine di oliva, della stessa dieta mediterranea. Sembrava finito tutto lì. Fino a tre giorni fa e alla presa di posizione di Ginevra che è chiaramente punitiva sotto il profilo politico e commerciale. In pratica i sette Paesi (Brasile, Senegal, Indonesia, Norvegia, Sudafrica, Thailandia e Francia) raccomandano all'Onu di adottare drastiche misure di limitazione del consumo di prodotti grassi, zuccherati e con il sale. Ma sostanzialmente il bersaglio è il made in Italy dell'agroalimentare. I motivi? Apparentemente per tutelare la salute del mondo, in realtà per ognuno di sei dei sette Paesi vi è una motivazione commerciale. Ma per la Francia no. Vediamo di capirci. Il Brasile ha tutto l'interesse a deprimere il consumo di frutta europea e d'incrementare quello di pesce, egualmente vale per il Sudafrica, la Norvegia deve spingere al massimo sulla nutrizione a base di omega 3 visto che vive di salmoni (poi c'è da discutere tenuti in vita con quanti antibiotici), la Thailandia deve fare spazio al suo olio di palma e al suo riso, Indonesia e Senegal devono conquistare il mercato dei legumi attraverso l'esportazione di soia. Non è un mistero che sei dei sette Paesi sono in mano alle multinazionali dell'agroalimentare che stanno decisamente spostando il loro core business dal cibo alla produzione di integratori alimentari e diete supposte «salutistiche». Ma se tutto questo si spiega per i Paesi dove le multinazionali comandano, non si capisce la posizione della Francia. Se l'Onu dovesse mai approvare in assemblea la direttiva paventata, lo Champagne, il Jambon de Peys , il Camembert e tutti gli altri formaggi francesi, i salami di cui sono orgogliosissimi, il foie gras e le varie terrines de campagne che da sempre sono i prodotti dell'eccellenza francese sarebbero trattai alla stregua di Parmigiano, olio extravergine, prosciutto, panforte, cioè segnalati come pericolosi per la salute. L'unica spiegazione per la posizione francese è che i transalpini non sopportano il primato italiano nell'export dell'agroalimentare (quest'anno è cresciuto del 12 per cento e ha sfondato il tetto dei 40 miliardi) e fanno di tutto per penalizzarci. E che di penalizzazione si tratti lo dice chiaro e tondo il ministro per l'agricoltura e turismo Gian Marco Centinaio: «Non si tocchino i prodotti del made in Italy. Continuare a discutere sull'introduzione di indicatori di nocività sugli alimenti (le cosiddette etichette a semaforo) sulla base dei contenuti di grasso, zuccheri o sale è veramente pretestuoso. Se alcuni Paesi», ha affermato il ministro, «in sede di Oms non vogliono ragionare dopo che è stato stabilito che non esistono cibi più o meno salubri ma diete sane o insalubri allora daremo battaglia. È inaccettabile. Come si può pensare che ciò che l'Unesco ha designato come patrimonio dell'umanità, la dieta mediterranea, possa essere considerato nocivo?».Se il ministro Centinaio annuncia battaglia, già in sede di conferenza a Ginevra tre giorni fa il nostro ambasciatore Gian Lorenzo Cornado aveva respinto con fermezza la formulazione della risoluzione sostenendo che il linguaggio usato contraddice quanto deciso il 27 settembre da tutti i capi di governo là dove si afferma: «Si esortano gli Stati membri ad adottare politiche fiscali e rogatorie come la tassazione e le etichette da apporre su cibi e bevande insalubri». È una vera guerra commerciale contro la quale mette in guardia la Coldiretti che se da una parte ricorda come l'export dell'agroalimentare di qualità italiano vada a gonfie vele dall'altra fa presente, con il suo presidente Roberto Moncalvo, che l'etichettatura a semaforo adottata in Gran Bretagna - col paradosso che l'olio extravergine di oliva è trattato alla tessa stregua delle patatine fritte - ha già prodotto un danno pari alla contrazione del 14% delle esportazioni italiane verso Londra. A questo punto viene da chiedersi se la Francia abbia attentamente valutato la sua posizione che contraddice quella che Parigi ha assunto a Bruxelles dove da tempo si discute dell'etichettatura di origine dei prodotti. A Bruxelles - di fronte a un Europa peraltro sorda all' istanza di garantire l'autenticità dei prodotti visto che preferisce fare gli interessi delle multinazionali - la Francia fa fronte comune con Italia, Spagna e Grecia e in sede Onu si contraddice. Segno evidente di una posizione bipolare. Carlo Cambi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/la-francia-alla-guerra-dellexport-utilizza-lonu-contro-il-cibo-italiano-2618326673.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="scordamaglia-non-servono-bollini-o-etichettature-sui-cibi-ma-educare-il-consumatore-alla-consapevolezza-alimentare" data-post-id="2618326673" data-published-at="1767172874" data-use-pagination="False"> Scordamaglia: «Non servono bollini o etichettature sui cibi, ma educare il consumatore alla consapevolezza alimentare» Il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia interviene sulla battaglia continua sul futuro dell'alimentazione tra sofisticazione chimica e di laboratorio di alcune multinazionali che condizionano Oms e il settore delle eccellenze agroalimentari.«Le eccellenze agroalimentari del made in Italy, come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma o l'olio di oliva, sono ancora una volta sotto l'attacco di iniziative scellerate che prediligono sistemi di etichettatura ingannevoli e nocivi per il consumatore e per tutto il comparto alimentare italiano».Così Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, commenta l'iniziativa presentata dai sette paesi - Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Thailandia - appartenenti alla Foreign policy and global health che esortano «gli Stati membri ad adottare politiche fiscali e regolatorie» in materia di etichettatura; un progetto di risoluzione che sarà discusso entro l'anno all'assemblea generale Onu a New York al fine di predisporre apposite etichette nutrizionali e una riformulazione delle ricette sulla riga.«Etichettando come insalubri alimenti che contengono al loro interno anche grassi e sali» - commenta Scordamaglia - «si corre il rischio di ingannare il consumatore, si pensi ai bollini neri apposti sul Parmigiano in Cile, e di nuocere all'altissima qualità dei prodotti italiani, in primis i Dop e gli Igp, e in generale alla filiera agroalimentare nel suo complesso che si ispira ai più alti standard di qualità, sia per quanto riguarda le materie prime che i processi di trasformazione. Non solo: con questo genere di iniziative si rischia di distruggere intere filiere agroalimentari di milioni di agricoltori e PMI avvantaggiando solo poche multinazionali più interessate ad usare la chimica come ingredientistica di base per ridurre i costi di produzione e innalzare i propri margini a scapito del consumatore oggetto di una vera e propria campagna di disinformazione».Scordamaglia è chiaro: «Si sta facendo passare il messaggio che esistano cibi salubri e cibi non salubri, mentre la verità è che esistono solo diete e stili di vita salubri o insalubri e che la dieta migliore è quella italiana, la quale contiene tutti i cibi in modo equilibrato. Un concetto che il comparto agroalimentare italiano ha ben capito dal momento che ilnostro Paese è in cima alla classifica di Bloomberg per longevità».Tali considerazioni non possono essere ignorate e le norme proposte pongono l'Oms davanti a un atto di responsabilità: scegliere come far fronte alla sfida di nutrire la popolazione del futuro. «Per questo» - conclude Scordamaglia, presente a Ginevra al Who Gcm/Ncd general meeting - «è necessario che l'Oms smetta di sostenere posizioni ideologiche e nella maggior parte dei casi prive di evidenze scientifiche e che finiscono con il tutelare interessi di pochi; non servono bollini o etichettature che mettano in guardia su specifici cibi, ma è necessario educare il consumatore allaconsapevolezza alimentare, promuovendo iniziative di sensibilizzazione e comunicazione, non certo avvisi macabri e ingannevoli». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-francia-alla-guerra-dellexport-utilizza-lonu-contro-il-cibo-italiano-2618326673.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lue-finalmente-rimette-i-dazi-sul-riso-orientale" data-post-id="2618326673" data-published-at="1767172874" data-use-pagination="False"> L’Ue finalmente rimette i dazi sul riso orientale Una prima vittoria per i risicoltori italiani: la Commissione europea ha proposto infatti di reintrodurre per tre anni i dazi sul riso proveniente dalla Cambogia e dalla Birmania, due tra i principali Paesi esportatori del sudest asiatico, dando finalmente un riscontro concreto alla battaglia dei produttori italiani. A darne notizia è stato il ministero dello Sviluppo economico, in un comunicato in cui si spiega che l'esecutivo comunitario ha concluso l'inchiesta sulle importazioni di riso «indica» da Cambogia e Birmania, avviata lo scorso 16 febbraio a seguito di un'istanza presentata dallo stesso Mise con il sostegno del ministero delle Politiche agricole. Le conclusioni «propongono l'applicazione di una clausola di salvaguardia a tutela dei risicoltori e delle industrie italiane ed europee, che prevede la reintroduzione di dazi sulle importazioni da Cambogia e Birmania, che attualmente sono a dazio zero, per un periodo di tre anni. La Commissione ha proposto di applicare sulle importazioni di riso indica la normale tariffa doganale, pari a 175 euro/tonnellata, per il primo anno e in misura ridotta per il secondo (150 euro/ton) e terzo anno (125 euro/ton)». La Commissione sottoporrà la proposta al parere degli Stati membri nell'ambito del Comitato del sistema delle preferenze generalizzate, convocato a Bruxelles per dicembre. Se la proposta otterrà una maggioranza favorevole, la clausola di salvaguardia potrebbe diventare operativa già a inizio 2019. Soddisfatto il ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio, secondo cui si tratta di «un risultato importante, che riconosce al nostro Paese il danno economico causato dalle importazioni a dazio zero da Cambogia e Birmania e il grande lavoro che stiamo portando avanti a sostegno di un settore che per troppo tempo è stato penalizzato. Abbiamo perso oltre il 50% della superficie investita per la coltivazione. Non possiamo più permettercelo». Centinaio ha aggiunto: «Nei prossimi giorni lavoreremo per avere la conferma definitiva del ripristino per tre anni dei dazi. La tariffa applicata deve essere la stessa per tutti e tre gli anni, non esistendo ragioni giuridiche e tecniche che possano giustificare una riduzione progressiva. Allo stesso tempo proseguiamo i controlli serrati nei confronti delle navi di riso asiatico che arrivano in Italia. Blocchiamo e rispediamo indietro chi non rispetta i nostri standard sanitari e di sicurezza». Sulla necessità di mantenere i dazi al livello standard per tutti e tre gli anni si è detto d'accordo il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. L'associazione degli imprenditori agricoli ha ricordato che l'Italia è il principale Paese produttore di riso dell'Ue e da alcuni anni sta subendo le conseguenze negative del massiccio aumento delle importazioni, in particolare quelle provenienti dall'area asiatica. Questa situazione, spiega l'associazione, è determinata in gran parte dalle concessioni unilaterali dell'Ue ai Paesi meno avanzati (Pma), che si concretizzano con l'esenzione totale dai dazi nell'export verso l'Europa. Circa il 70% del riso importato nella Ue non paga tariffe doganali: la Birmania è il secondo fornitore di riso per quantità dell'Europa dopo l'India, mentre la Cambogia è al quarto posto dopo la Thailandia. «Naturalmente», conclude Confagricoltura, «questo aumento di offerta ha condizionato in termini negativi anche i prezzi del riso nel mercato italiano». Chiara Merico
Maurizio Gasparri (Ansa)
Alla luce dell’ultima sentenza della Corte Costituzionale sulla legge toscana, secondo le stesse fonti del centrodestra, è in atto una fase di studio e di approfondimento che potrebbe portare anche a una riapertura del termine per la presentazione degli emendamenti. Sulla necessità di procedere non ha dubbi il capogruppo al senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Bisogna fare una legge nazionale», dice Gasparri alla Verità, «prima che Regioni e Corte Costituzionale causino guasti maggiori. Non è facile trovare un punto di sintesi, ma bisogna trovarlo. La sentenza della Consulta in realtà mette dei paletti molto forti rispetto alla legge toscana ma lascia alcuni spiragli aperti al ruolo del servizio sanitario nazionale, in termini tecnici difficili da aggirare. È una delle questioni che in Senato è ancora in corso di approfondimento. Ovvio che», aggiunge Gasparri, «piacciano o meno, le sentenze della Corte determinano un orientamento. Valorizziamo i paletti che pone arginando gli sconfinamenti delle Regioni ma riflettiamo su alcune indicazioni. È un tema delicato che non si può affrontare con superficialità. Una deriva eutanasia nella società c’è e va arginata, tra mille problemi e difficoltà». «Dal mio punto di vista la sentenza non incide negativamente sull'impianto della nostra legg», ha detto all’Agi Ignazio Zullo (Fdi), uno dei relatori del testo presentato dalla maggioranza al Senato, «anzi valorizza il percorso delle cure palliative, la necessità di tempi più lunghi nella valutazione delle condizioni in cui versa la persona che chiede di essere aiutata a porre fine alla propria vita, l’organizzazione dei comitati etici e l’impossibilita' che la richiesta possa avvenire per delega».
È il ruolo del servizio sanitario nazionale ad essere il punto che divide più di tutti gli altri il centrodestra (che vuole escludere il Ssn dalla pratica del suicidio assistito) dalla sinistra (che invece vuole che il Ssn si faccia carico, in caso di richiesta, di questa prestazione). Nella sentenza, la Corte precisa che «la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, della legge regionale Toscana n. 16 del 2025 lascia intatto il diritto della persona, in relazione alla quale siano state positivamente verificate le condizioni per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, di ottenere dalle aziende del servizio sanitario regionale il farmaco, i dispositivi eventualmente occorrenti all’autosomministrazione, nonché l’assistenza sanitaria anche durante l’esecuzione di questa procedura, come del resto affermato nella ricordata sentenza n. 132 del 2025, che riveste, da questo punto di vista, portata auto applicativa». Dunque, un ruolo il Ssn deve svolgerlo, seppure di assistenza e contorno, oltre che per la fornitura di farmaco e dispositivi. Il senatore del Pd Bazoli, vicepresidente del gruppo dem a Palazzo Madama, vede uno spiraglio: «Direi che, sotto il profilo del ruolo del Ssn», commenta Bazoli alla Verità, «la parte rilevante di questa sentenza è quella in cui ribadisce a chiare lettere che la persona che si trova nelle condizioni stabilite dalla Corte ha “il diritto” di ottenere dalle aziende sanitarie locali il farmaco, gli strumenti necessari e l’assistenza sanitaria opportuna per eseguire il proposito di suicidio. È una conferma importante, alla quale il legislatore nazionale ovviamente non può in alcun modo derogare. È un diritto pienamente riconosciuto e dunque pienamente eseguibile».
La Regione Toscana ha già messo in movimento i propri uffici per correggere la legge cassando o modificando i numerosi articoli bocciati dalla Corte. «La Corte costituzionale», dichiarano la segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo e il tesoriere Marco Cappato, «ha dichiarato infondata la richiesta del governo di cancellare la legge regionale della Toscana dell’Associazione Luca Coscioni sulle procedure di fine vita. È una decisione importante anche perché conferma il ruolo del servizio sanitario nazionale. Ora ripresenteremo il testo rivisto dalla Corte in tutte le Regioni». Le distanze tra centrodestra e sinistra restano intatte: si tratta di capire se esista una maggioranza convinta della necessità di legiferare. In assenza, la legislatura si chiuderà senza un testo approvato.
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