2020-10-08
La forza eroica dello Stradivari di Kreutzer
Rodolphe Kreutzer@Getty Images
Ho il privilegio di possedere lo strumento appartenuto al grande musicista francese e l'ho utilizzato per incidere le sonate di Beethoven. Capolavori tra i più sublimi, frutto di un lavoro durissimo che permise al maestro di raggiungere la perfezione. Beethoven dedicò al violinista francese Rodolphe Kreutzer la celebre Sonata n. 9. Ha un carattere eroico, anticonvenzionale perché esce dagli schemi della forma - sonata. Alla prima esecuzione non fu apprezzata dal pubblico viennese abituato a forme più classiche. Beethoven non se ne adombrò e disse: «Questa musica è destinata a tempi futuri». La Kreutzer è una sonata completamente matura, frutto di ore di enorme tensione irradiata della luce dell'Eroica che stava nascendo quasi in contemporanea. È la prima sonata davvero monumentale della musica da camera e non più musica da camera nel vecchio senso, ma pienamente ambientata nelle grandi sale da concerto. È scritta in stile concertante, con i due strumenti che hanno la stessa importanza. È una opera dalla torreggiante potenza drammatica che domina tutto il primo tempo. Anche le variazioni sul bellissimo tema dopo la tempesta del primo tempo diffondono un senso di pace redentrice. L'ultimo tempo conclude questa sonata ed è una specie di cavalcata trionfale dell'eroe vittorioso. Il grande scrittore russo Tolstoj si ispirò a questa sonata scrivendo un suo celebre romanzo La sonata a Kreutzer.Ho il privilegio di possedere lo Stradivari appartenuto a Kreutzer con il quale ho inciso l'integrale delle sonate di Beethoven con il grande pianista ungherese Tamás Vásáry. Quest'opera fu composta nello stesso periodo della sinfonia Eroica che Beethoven dedicò a Napoleone quando vedeva in lui l'eroe disinteressato che voleva liberare i popoli dagli assolutismi di potere. Quando Napoleone si fece incoronare imperatore, Beethoven, deluso, stracciò la dedica dicendo: è un ambizioso come tutti gli altri. La sinfonia era intitolata originariamente Bonaparte, come l'uomo che Beethoven paragonava ai più grandi consoli romani, stimandolo come liberatore dei popoli. Quando gli fu recata la notizia da parte del suo allievo Ferdinand Ries che Bonaparte si era autoproclamato imperatore, Beethoven fu colto da un accesso d'ira e gridò: «Anch'egli dunque non è altro che un essere umano come tutti? Ora anche lui calpesterà ogni diritto umano e seguirà soltanto la propria ambizione, esalterà se stesso sopra tutti gli altri e diventerà un tiranno». Il frontespizio fu riscritto e solo allora la sinfonia fu intitolata Eroica.Negli ultimi anni di vita Beethoven divenne completamente sordo. Per comunicare e ricevere le risposte si serviva di fogli scritti chiamati quaderni di conversazione dove riceveva le risposte alle sue domande. La sua vena creativa diventò sempre più sofferta come dimostrano i suoi ultimi quartetti, musica di inaudita profondità, difficili da eseguire e da capire in quanto il musicista si astrae dalla realtà contingente, a momenti si trova avvolto nelle tenebre e cerca di dialogare con sé stesso alla ricerca della luce. Dai suoi quaderni di appunti vediamo chiaramente che la somma sicurezza e semplicità dei suoi temi non è iniziale ma viene conquistata a prezzo di un duro lavoro. La via del suo processo creativo va dal caotico alla forma perfetta e passa coscientemente alla semplificazione. Per questa sua capacità, Beethoven si distingue in modo essenziale da Mozart la cui vena creativa non aveva bisogno di rifacimenti o semplificazioni. La sua creatività era di getto come una fonte da cui sgorga una acqua purissima.Ho sempre vivo il ricordo del concerto di Beethoven che suonai al Teatro La Fenice di Venezia, diretto da un grande direttore, Sergiu Celibidache, e ricordo l'immensa impressione che ne ricavai. Celibidache prediligeva i tempi lenti al fine di penetrare maggiormente nei dettagli e nella profondità della musica che oggi viene travisata spesso con tempi troppo rapidi che sono la conseguenza delle nevrosi della vita moderna.Il concerto per violino di Beethoven è tra le più sublimi sue creazioni. Nonostante la scrittura quasi pianistica del primo tempo, Beethoven non si curava dell'effetto strumentale propriamente violinistico, tanto è vero che una volta il primo violino del quartetto messo a disposizione del conte Rasumowsky si lamentò con Beethoven della scomodità di alcuni passaggi. Egli gli rispose: «Che volete che mi importi di un violino quando l'infinito mi parla attraverso la sua voce?».Per quanto grande fu il numero delle donne verso le quali si sentì attratto e per quanto sfortunato sia stato in amore, sappiamo di una relazione che certamente toccò Beethoven nel profondo dell'anima. Dal tempo della sua morte si conosce la meravigliosa lettera all'immortale amata che fu trovata fra le sue cose: «Mio angelo, mio tutto, mio io, può il nostro amore esistere se non a prezzo di sacrifici senza tutto pretendere? Puoi forse cambiare la realtà che tu non sei tutta mia e io non sono tutto tuo? L'amore esige tutto e con pieno diritto. I nostri cuori sono stretti uno all'altro e il mio cuore trabocca di tante cose da dirti. Vi sono momenti in cui trovo che la lingua non serva proprio a nulla. Rasserenati, resta il mio fedele, unico tesoro, il mio tutto come io per te. Al resto, a quello che deve o dovrebbe essere di noi, penseranno gli Dei. Il tuo fedele Ludwig».Grandissimo fu, poi, l'attaccamento verso il nipote Carl, figlio del fratello la cui madre era ritenuta inadatta a educarlo. Beethoven fece di tutto per sottrarlo alla tutela materna assumendosi personalmente il compito di educarlo, cosa che fece malissimo al punto di rinchiuderlo in casa per evitare che il mondo esterno lo corrompesse. Naturalmente le sue intenzioni erano le migliori ma sbagliava totalmente nel suo metodo educativo. Beethoven lasciò infine al nipote una parte dell'eredità. Verso la fine della vita di Ludwig, tutte le cure dei medici non poterono più arrestare il suo declino. Il 23 marzo del 1827, dopo la visita dei medici, disse agli amici una frase attribuita ad Augusto morente: «Plaudite amici, commoedia finita est». Rassegnato e con spirito devoto, ricevette il 24 marzo i sacramenti. Nello stesso giorno arrivò il vino che un amico gli aveva fatto mandare da Magonza. Un regalo che pare Beethoven abbia commentato con amarezza: «Peccato, peccato, troppo tardi». Beethoven morì la sera del 26 marzo 1827 verso le sei, mentre una tempesta di neve e un temporale si abbattevano sulla città. Il compositore Anselm Hüttenbrenner, intimo del maestro, racconta: «Un lampo rischiarò vivamente la camera dopo questo inatteso segnale della natura, Beethoven aprì gli occhi, alzò la mano destra e guardò in alto per diversi secondi con il pugno chiuso come volesse dire “io vi sfido potenze nemiche, allontanatevi da me. Dio è con me!"».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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