Il futuro stop ai motori termici penalizza le prospettive di molte aziende in tutta Italia: ricorsi a cassa, solidarietà ed esuberi.
Il futuro stop ai motori termici penalizza le prospettive di molte aziende in tutta Italia: ricorsi a cassa, solidarietà ed esuberi.La transizione verso la mobilità elettrica è viva, da qualche anno ormai, e combatte per il momento solo contro di noi. Nel senso che se guardiamo alle conseguenze sul sistema industriale del Paese si possono già vedere le prime vittime di una conversione che se non governata rischia di provocare danni epocali. L’aveva realisticamente ammesso anche uno dei premier più europeisti che ricordiamo, Romano Prodi, parlando indicativamente di 50.000 mila disoccupati in più. Non siamo ancora arrivati a quei livelli, ma nel viaggio che abbiamo condotto con l’aiuto delle rappresentanze sindacali si può vedere come in tutto lo Stivale esistano realtà che hanno usato cassa integrazione e solidarietà quando non sono a ricorse a chiusure e delocalizzazioni in previsione dello stop nel 2035 alla produzione di auto diesel e benzina. Una sorta di alert. Perché in mancanza di correttivi alla normativa e di un processo di riconversioni professionali la situazione non potrà che peggiorare.Ne sanno qualcosa i dipendenti della Bosch di Bari: 1.680 persone impiegate per la produzione di pompe diesel. Il problema è che la multinazionale tedesca ha già dichiarato 700 eccedenze a causa della svolta green da smaltire entro il termine massimo del 2027. Non hanno avuto tutto questo tempo gli 85 dipendenti della Federal-Mogul Powertrain Italy, sito produttivo di Carpi del gruppo Tenneco. Qui si realizzano componenti, soprattutto valvole, per auto e camion. Nel 2023 è stato aperto il terzo anno di solidarietà. Oppure in zona Ferrara, alla Vm che fa parte del gruppo Stellantis. Qui le parti sociali hanno messo in sicurezza i circa 470 lavoratori attivi sui motori Marine e industriali. Ma con lo stop alla realizzazione dei motori diesel sono stati lasciati al loro destino altrettanti operai. Capitolo a parte merita la Marelli, che nel 2018 è passata al fondo americano di private equity impegnato anche nella partita Tim, Kkr. In diversi siti ci sono situazioni complicate e il futuro di centinaia di lavoratori dipende dagli accordi in essere con Stellantis. Verranno confermati anche con il graduale passaggio all’elettrico? In attesa che la matassa si dipani sappiamo che a Caivano (in provincia di Napoli) ci sono 210 persone che si adoperano per la creazione di sistemi di scarico per motori tradizionali. Anche qui si fa fronte al calo continuo dei volumi con ammortizzatori sociali e riduzioni incentivate delle prestazioni.Preoccupano, anche se i bubboni non sono ancora scoppiati, le situazioni della Marelli di Bari (parliamo di mille dipendenti), con il 40% della forza lavoro impegnata sui motori tradizionali, e dei siti di Bologna e Crevalcore dove ci sono circa 500 persone focalizzate su produzioni che tra non molto sono destinate a scomparire. «Non è da oggi», spiega alla Verità Ferdinando Uliano, segretario nazionale di metalmeccanici della Cisl, «che denunciamo questa situazione e prima si corre ai ripari meno danni si rischia di fare. Del resto i numeri parlano chiaro: ormai sono 3-4 anni che le immatricolazioni di auto a diesel e benzina flettono del 40% ogni 12 mesi. Al momento io non vedo fenomeni che possano invertire questa tendenza, quindi quali rimedi mettiamo in campo per governarla? Anche perché i problemi riguardano e riguarderanno sopratutto l’Europa. Prenda la Marelli di Bari, che in questo momento sta sopperendo ai cali di produzione del nostro Paese grazie alle commesse di motori endotermici arrivate dall’India. In futuro la stessa India ma soprattutto la Cina non avranno le nostre stesse limitazioni e quindi è verosimile che le produzioni si sposteranno sempre di più verso l’Asia». Anche perché in molti casi parliamo di multinazionali che fanno della ricerca del terreno più adatto per trarre profitto una delle loro principali politiche industriali. A Vasto, in Abruzzo, i 900 dipendenti della giapponese Denso - produce motorini di avviamento e alternatori per motori a combustione - hanno a più riprese conosciuto cosa vuol dire dover subire l’utilizzo degli ammortizzatori sociali e «la violenza» delle uscite incentivate per far fronte al calo dei volumi. Mentre la Vitesco (ex Continental) ha comunicato da diversi mesi che negli stabilimenti di Fauglia e San Piero a Grado (Pisa), dove lavorano 1.070 persone (940 diretti, 130 somministrati), ci saranno 750 esuberi. Le commesse di iniettori a benzina ed elettrovalvole per il controllo dell’erogazione Adblu, montata su tutti i diesel, vanno ad esaurimento e nel frattempo si è avviato un piano di riqualificazione dei lavoratori.Qui non stanno utilizzando gli ammortizzatori sociali per un semplice motivo: ci sono richieste di forniture di varie case automobilistiche per la chiusura di un’azienda Vitesco in America che faceva le stesse produzioni.Speriamo infine che non sia profetica la storia della Zf, un gruppo tedesco che opera sempre a Ferrara. Ci sono poco meno di 300 lavoratori in ballo da mesi (dal 2022) con la cassa integrazione nella produzione di pompe idrauliche installate in genere Bmw, Volvo e Volkswagen. La delocalizzazione di una particolare tipologia di pompa in Cina è stata l’origine dei mali che costringono ancora oggi l’azienda a far ricorso agli ammortizzatori sociali. Questi sono alcuni esempi, nella mappa sopra ce ne sono altri: contandole per difetto, parliamo di circa 5.000 vittime del processo di trasformazione dell’industria automobilistica verso l’elettrico. Se questa rivoluzione verrà governata allora il vaticinio di Prodi (50.000 disoccupati in più) potrà avvicinarsi alla realtà, altrimenti andrà molto peggio.
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