2022-07-24
La foga del verde giustifica lo sterminio degli alberi anziani
Le città sono dominate dalla frenesia di piazzare nuove piante ovunque. E i vecchi viali non vengono curati ma spazzati via.Il mondo d’oggi, si sa, è cibo per caratteri forti, se sei un timido che non ama imporsi sugli altri c’è ben poca opportunità di far conoscere le tue eventuali capacità, o abilità. Viviamo nell’epoca dei record in tutti i campi, dei letterati, degli artisti, dei poeti che sono i più grandi di un’epoca, oppure niente; dei filosofi che riempiono i teatri e sono in televisione per esprimere opinioni su qualsiasi tema o quasi niente. Dei politici che dicono, quantomeno, di adottare riforme mai viste prima. Degli atleti che si impegnano a stabilire il nuovo record di velocità nazionale o continentale, di vincere medaglie d’oro alle olimpiadi, di segnare a proprio modo la storia dello sport o niente. Il quasi qui non serve. È un tempo così, poche storie.Gervaso porta già un nome che non l’ha aiutato molto a imporsi. Vuoi mettere con lo splendido e promettente Luca? O Andrea? O Tino? E che dire dei nomi stranieri, tipo Christoph, Igor, Ivan, Matthew, Jean, o quello snobismo dal sapore medioevale di chi si chiama Pietro, Bernardo, Raffaello, Leonardo, o Jacopo? Ma Gervaso, proprio non resta impresso. Eppure sua madre, una cantante lirica ai suoi tempi nemmeno così poco conosciuta, lo aveva ereditato non dal padre, come spesso avviene, o dal nonno, ma da un amico carissimo che era morto da giovane investito da un tram, pensa te, nientemeno che da uno di quei tram arancioni che girano ancora per le strade affollate e intasate di Torino, reperti di un’epoca passata, anche abbastanza scomodi, quando ci sali e cerchi di sederti su quelle seggiole in legno, sembrano non stare mai ferme.Gervaso era tiepidamente invaghito della ragazza che lei era stata, per pagarsi gli studi in accademia aveva trovato un impiego part time presso la fioraia di Piazza Carlo Felice, di fronte ai giardini Sambuy e alla facciata della stazione ferroviaria di Porta Nuova. Gervaso aveva qualche anno in più e apparteneva a una famiglia benestante che aveva il piacere di ordinare fiori freschi tre giorni la settimana, di modo da averli in casa sempre. Un vezzo della madre, una delle prime psicologhe della città. Quel Gervaso veniva a trovare la giovane commessa con la passione per la lirica e ogni tanto le regalava un fiore, sempre gialli o arancioni, mai rossi, troppo compromettenti. Il nostro Gervaso, invece, ama sì i fiori ma di più gli alberi, ha studiato al liceo e poi scienze naturali all’università. Per tutta la vita ha messo le mani nella terra, per curare piante, coltivare rose e altri arbusti, finché non è entrato a lavorare in Comune, come addetto a quel che i politici amano chiamare il verde pubblico, come se esistesse una differenza rispetto al verde privato. Il verde è uguale dappertutto, o no?Non è mai facile gestire gli spazi pubblici. Vi sono problemi di ordine giuridico, di sicurezza pubblica, di gusto estetico e, poiché trattasi di esseri viventi e non di pali della luce, di panchine o di toretti per la distribuzione dell’acqua potabile, vanno fatte diverse considerazioni: che specie selezionare, perché questa e non altre, in che spazi e in che terreni vanno piantate e accudite, previsioni di crescita, manutenzione, interazione con i mezzi pubblici e privati che transitano lungo quella strada, quel viale, in quella piazza o nelle rispettive vicinanze. Un cittadino qualsiasi cammina in città e incontra un viale di tigli, oppure un platano con grandi ramificazioni. O un acero palmato giapponese. Perché sono lì e non altrove? Chi li ha voluti e accuditi ha fatto una buona scelta? Questi sono i ragionamenti che hanno attraversato la mente e occupato parte del cuore per 25 anni di lavoro di Gervaso.Poi è arrivata la pensione. Poi sono arrivati il cambiamento climatico, che è stato lungamente preannunciato ma si è sviluppato assai rapidamente, e queste nuove interessanti teorie che sembrano spingere le città a dotarsi di spazi sempre più verdi, coltivare veri e propri boschi urbani, incentivare la piantumazione nei quartieri periferici come nei nuovi quartieri del centro, con questi grattacieli ed edifici futuribili che sembravano un ingrediente riservato alle grandi metropoli in giro per il mondo e invece ora sono anche qui da noi. Si pensi ai nuovi grattacieli di Torino, quello della Regione e quello del San Paolo, che svettano oltre i 150 metri di altezza con le loro superficie vetrate e metalliche. E dire che qualche anno fa la sola idea di disturbare il primato solitario della Mole Antonelliana faceva arricciare nasi e sopracciglia di molti torinesi…Nel suo lungo apprendistato per il Comune, Gervaso riservava un’attenzione particolare a quei viali e quegli alberi che purtroppo parevano malandati. Lui cercava di aiutarli, di sostenerli in uno sviluppo più armonico, non apparteneva alla specie degli addetti comunali che tagliano prima ancora di pensare, che non vedono l’ora di abbattere, di capitozzare, di rimuovere il brutto a favore del nuovo e del bello. Per lui anche un vecchio pioppo che ha perso la vela e resta lì, zoppo, in piedi, malandato, sofferente, anche lui deve essere accudito. E meglio dargli una seconda occasione, quando è possibile. Ma la politica oggi ha fretta, si vogliono risultati immediati, pronti, lesti: riforestiamo, abbelliamo i nostri edifici di piante e rampicanti, promuoviamo la piantumazione di alberi in ogni settore della città, non esiste progetto di riqualificazione senza una buona dose di nuovi alberi. Ma tutto questo sarebbe fantastico, pensa Gervaso, sarebbe un sogno poterselo permettere, con tutto quel che richiede un albero, soltanto un alberello, quando viene messo delicatamente nella terra, circondato prima da una protezione e poi accompagnato ai piani alti, quando inizia a fissare noi umani che restiamo fermi al suo piede. I venti che scuotono i tetti, capaci di fare notte a giorno, con quei temporali che si scagliano come bufere sradicando e sramando, causando non pochi grattacapi, e risarcimenti, ai cittadini con le auto lì sotto, in sosta, o in transito. I ghiacciai scemano e scompaiono, i fiumi seccano, e si vuole aumentare l’impegno idrico della città per far si che siano sempre più boscose? C’è qualcosa che proprio non torna. Ma, per lui, anche se in pensione, e anche se è un uomo come tanti che non svolge più un ruolo attivo, come dicono, dispiace vedere interi viali abbattuti per far posto a nuovi viali, è come dire nuovi uomini per far posto ai vecchi, magari come lui ma non soltanto. Iniziamo dagli alberi quel che un giorno riguarderà tutti gli altri esseri?
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