2023-08-03
La «firma» di Sala sugli alberi caduti a Milano
La giunta incolpa il cambiamento climatico per le centinaia di piante a terra. Peccato che molte fossero malate. I filari più vecchi andrebbero sostituiti ma l’ideologia green lo impedisce. Quello che hanno tagliato, vantandosi, sono i fondi per la manutenzione.«Niente che abbia a che vedere con la manutenzione del verde ha a che fare con quello che è successo a Milano. Sono caduti centinaia di alberi sani, nei parchi, nelle strade, non alberi malati. La città ha affrontato una specie di terremoto». L’assessore al Verde di Milano, Elena Grandi, vede rosso quando qualcuno (in questo caso, le opposizioni di centrodestra), provano anche solo a ipotizzare una qualche responsabilità del servizio di manutenzione degli alberi attivo a Milano per spiegare perché oltre 400 alberi (ma il censimento finale si assesterà su numeri ben maggiori) sono crollati come stuzzicadenti nel capoluogo meneghino in occasione della tempesta di vento e grandine che si è abbattuta sulla città la scorsa settimana. Ha ragione, la Grandi? Se si mette in fila la storia recente della gestione del verde pubblico a Milano, no. Perché è facile indicare nel cambiamento climatico il killer perfetto al quale addossare la colpa della strage di alberi nella città di Beppe Sala. Ma le cose non stanno proprio così.Innanzitutto, bisogna partire da un dato: sì, a causa della tempesta, a Milano sono caduti alberi malati. Come ad esempio in via Sanzio, dove alcuni ontani bianchi sono stati spezzati dal vento mostrando l’interno del tronco completamente marcio. E sì, sono caduti anche alberi sani. Diverse, in questo caso, le cause: c’è un problema di anzianità, visto che gli alberi che crescono lungo i viali risalgono quasi tutti al primo dopoguerra e stanno giungendo simultaneamente alla maturità. Dando, quindi, tutti contemporaneamente, segni di sofferenza e stress dovuti alle malattie fungine che ne riducono la salute, la stabilità e le prospettive di vita. Gli esperti del settore parlano, in questo caso, non di maturità fisiologica ma di «maturità indotta» dalla difficile sopravvivenza nel contesto urbano. La soluzione radicale sarebbe la sostituzione delle alberate: abbattere gli altofusti presenti in città per piantarne di nuovi per evitare che si arrivi a una condizione di collasso generalizzato. Una scelta non spendibile politicamente e impopolare, visto che a Milano la sola idea di tagliare una pianta, anche se malata, provoca petizioni, proteste e girotondi. Lo stesso regolamento comunale del verde prevede, in caso di abbattimenti, di «tenere conto del periodo riproduttivo e di nidificazione degli uccelli (autoctoni e migratori)» e di «verificare l’assenza di nidi di uccelli o di tane di piccoli mammiferi». Alberi sacri come le vacche in India, quindi.Poi, certo, può capitare come successo nel parco Argonne o in via Plebisciti: nelle aree verdi ridisegnate per far spazio alla linea 4 della metropolitana (con l’inserimento delle immancabili ciclabili) sono caduti diversi, vecchi alberi. Diversi cittadini hanno potuto, così, vedere le radici recise dai cantieri. Il tribunale della cittadinanza, già per queste accuse, ha piazzato la giunta di Beppe Sala sul banco degli accusati nel processo alla strage di alberi: manutenzione del verde quasi sparita per buttarsi su progetti green più chic e altisonanti.L’esecutivo arcobaleno di Mr Expo, per quanto riguarda l’appalto del verde, ha cambiato più volte idea e filosofia. Finendo per rimangiarsi la scelta fatta nel 2017, anno in cui il raggruppamento formato da Avr spa (capogruppo), Nuova Malegori srl, Consorzio Stabile Alpi e Euroambiente srl, si era aggiudicato il bando. Il consorzio vince con un ribasso monstre del 36% sulla base d’asta. Per gestire l’affidamento, della durata di 36 mesi con possibilità di proroga di ulteriori 12, i vincitori creano la società Miami. Il Comune spende 40 milioni di euro in tre anni, poco più di 13 milioni di euro l’anno. Una cifra che bisogna tenere a mente. A due anni dalla stipula dell’accordo, quindi nel 2019, il Comune si rimangia tutte le parole spese per magnificare l’appalto unico («La moria degli alberi è cronica, ma è imputabile anche a una certa trasandatezza del nostro appaltatore», ha recentemente sottolineato Grandi a proposito dello stillicidio di giovani alberi messi a dimora nel progetto ForestaMi e poi abbandonati al proprio destino) e valuta un avvicendamento nella gestione.Non più società esterne ma affidamento diretto a MM spa: maxi contratto di 25 anni per 16 milioni di euro l’anno. Una scelta che la giunta di Beppe Sala arriva a deliberare nel 2022. Poi, il tanto atteso ritorno in house della manutenzione del verde viene bloccato proprio da Miami, con un ricorso al Tar vinto contro Palazzo Marino: i giudici annullano i provvedimenti approvati da giunta e Consiglio comunale. Ora il servizio è ancora in mano al consorzio Miami e lo sarà almeno fino alla fine dell’anno, quando si conoscerà la sentenza del Consiglio di Stato, al quale si è appellato il Comune per chiedere la riforma della sentenza dei giudici amministrativi. In precedenza, a giugno 2020, in concomitanza con la prima proroga dell’affidamento, una delle aziende del consorzio, Avr, finisce in amministrazione giudiziaria perché coinvolta nell’inchiesta «Helios», partita da Reggio Calabria. Per la Dda, la società avrebbe avuto «stabili rapporti con imprenditori intranei o comunque collegati con cosche di ‘ndrangheta». Nonostante l’inchiesta, al consorzio viene prorogato l’appalto anche per il 2021: «Tanto nel 2022 arriva MM», hanno pensato a Palazzo Marino. Non sarà così. E Miami continua a operare, di proroga in proroga.Che poi, alla fine di tutta la manfrina verde, è sempre e solo una questione di soldi. Perché la Milano green immaginata da Sala è un bellissimo spot elettorale, non sostenuto da adeguati finanziamenti. Prima che Sala&C. facessero dietrofront sulla gestione del verde, il precedente assessore all’Ambiente, Pierfrancesco Maran si beava, nelle presentazioni ufficiali del progetto ancora rintracciabili online, di aver fatto risparmiare, alle casse comunali, parecchi soldi con il nuovo contratto 2017-2020 con Miami, che portava a una riduzione del costo unitario dei servizi (euro su mq) di 0,75 euro, contro l’1,23 euro che il Comune pagava nel 1999 con un appalto fatto «su misura». Nel 1999 c’erano 12 milioni metri quadri di verde da gestire (che valevano 15,7 milioni di euro d’appalto) mentre, negli ultimi cinque anni, i milioni di metri quadri di verde sono diventati 18,1, con un appalto annuale da 13,6 milioni. Più verde da gestire, meno costa, si vantava Maran: «Abbiamo ridotto il costo unitario del 40%». Un’economia che i milanesi, oggi, possono apprezzare con i propri occhi, passeggiando per i parchi e le strade principali martoriate dagli alberi caduti.