2019-12-20
La fine ingloriosa di premier Giuseppi, ridotto a fare l’ufficio stampa di Fca
Sulla Stampa di casa Agnelli, Giuseppe Conte tesse l'elogio dell'unione fra ex Fiat e Peugeot, con buona pace dell'interesse dell'Italia. E dopo essersi inchinato a Angela Merkel, a Ursula Von der Leyen, ai poteri forti, al G8 di Biarritz, dopo essersi fatto trattare (l'altro giorno al Tempio di Adriano) come un maggiordomo da Grillo e Casaleggio, dopo essersi inginocchiato davanti ai 5 Stelle (prima) e al Pd (dopo), il servitor cortese Giuseppe Conte ha trovato una nuova pantofola da baciare. Anzi, più che una pantofola un parafanghi: ieri s'è infatti steso a tappetino sotto le ruote del nuovo colosso dell'auto, nato dall'unione dell'ex Fiat con la Peugeot. E ha rilasciato una lunga intervista alla Stampa con una serie di dichiarazioni talmente entusiastiche che all'ufficio stampa delle due aziende automobilistiche hanno pensato di denunciarlo per concorrenza sleale. Da avvocato del popolo a promoter della Panda, da presidente del Consiglio a concessionario Fca-Psa, Conte ha difeso le ragioni dell'intesa con un trasporto (è il caso di dirlo) che sarebbe stato degno di miglior causa. Magari, perché no, sarebbe stato degno perfino di una causa italiana. In fondo qui si sta parlando un'azienda internazionale (l'ex Fiat: un po' olandese, un po' americana, un po' inglese) che di fatto viene assorbita da un'azienda francese. Un meraviglioso collage planetario, si capisce. Ma per quale ragione esso dovrebbe entusiasmare il presidente del Consiglio italiano? Non dovrebbe quest'ultimo avere a cuore prima di tutto il bene del nostro disgraziato Paese? E allora perché si scioglie in brodo di giuggiole per la fusione franco-anglo-american-olandese, arrivando a dire che essa segna la «rivoluzione dell'industria»? Perché si commuove dinanzi al «nuovo modello di governance che guarda al futuro»? Perché freme di passione per «l'integrazione delle filiere»? Nemmeno gli azionisti dell'ex Fiat e della Peugeot hanno usato toni così entusiastici. E pensare che loro, in effetti, avrebbero pure ragione di farlo: dall'operazione, infatti, incassano la bellezza di 11 miliardi di euro. Ma Conte? Perché lo fa? Mai visto un premier così prono agli annunci commerciali di un'azienda. Ne è uscita un'intera pagina sul giornale della ditta, dedicata soltanto a celebrare, domanda dopo domanda, la grandiosità di questa intesa, con formule che sembrano rubate alla comunicazione aziendale. Nemmeno un'ombra, nemmeno un dubbio, nemmeno l'ordinaria cautela politica, la prudenza di mettere le mani avanti. Niente. Solo compiacimento. Senza nemmeno essere sfiorato dal pensiero che, stando a Palazzo Chigi, teoricamente un premier avrebbe il dovere di difendere gli italiani. Non John Elkann e Carlos Tavares. Dovrebbe avere a cuore la pagnotta dei concittadini. Non le plusvalenze dei miliardari planetari. Forse al premier dall'inchino facile, è sfuggito qualcosa. Ma quell'accordo che «serve all'Europa», come dice lui (mah), di sicuro non serve all'Italia. Anzi, al massimo a noi potrà portare qualche rischio. Nella nuova società, infatti, sarà presente con una quota azionaria del 6 per cento anche lo Stato francese. E il baricentro delle decisioni sarà tutto in Francia. Dunque: quando si dovranno prendere (e in futuro si dovranno prendere) le decisioni per risparmiare qualche soldino, sempre a maggior gloria degli azionisti, dove si andrà a tagliare? In Francia o a Pomigliano d'Arco? Voi che ne dite? Nel frattempo a Pomigliano d'Arco, chissà perché si preoccupano. A Mirafiori pure. A Palazzo Chigi, invece, no. Tutt'altro: il premier maggiordomo è felice come un babà, sereno, tranquillo, ottimista. E infatti concede un'intervista monotematica (che è già una cosa piuttosto strana, no? Un giornalista ha a disposizione il presidente del Consiglio e non gli fa nemmeno una domanda, che ne so, sulla Popolare di Bari o su Salvini di nuovo indagato? Solo su Fca-Psa? Possibile?). Ma poi l'intervista, oltre che monotematica, è anche monocorde. Cioè, praticamente un peana. Un inno. Un festeggiamento. Non sono domande e risposte: è un proclama. Non è un'opinione: è uno sdilinquimento. Non è una presa di posizione: è una presa di emozione. Praticamente un perepeppepè interrotto da qualche punto interrogativo occasionale. E subito travolto dalla comunicazione governativo-aziendale. Per esempio, di fronte alla domanda sulle evidenti preoccupazioni per i posti di lavoro in Italia, un altro premier che avrebbe fatto? Avrebbe battuto i pugni sul tavolo. Si sarebbe eretto ad alfiere. Baluardo. Avrebbe proclamato lo stato di allerta, la vigilanza continua. Avrebbe avvertito: «Non ci fregherete». Invece Conte no. Conte, docilmente, s'accuccia all'ombra del comunicato stampa. Gli basta. S'accontenta. Sul comunicato c'è scritto che i posti di lavoro «saranno tutelati»? Tanto basta. Lui esulta. Scodinzola felice. Se potesse leccherebbe anche le mani di Jaki. Per intanto s'accontenta di esprimere in forma ufficiale «apprezzamento». Perché Conte è fatto così: il primo premier che non si preoccupa di essere apprezzato, ma di apprezzare. Lui apprezza il comunicato stampa delle aziende automobilistiche, così come apprezzava gli ordini della Merkel, gli input del G8, i diktat di Bruxelles, Di Maio (fino a quando vinceva le elezioni), Salvini (fino a quando gli permetteva di governare), poi il Pd, le Sardine e nel frattempo pure Grillo e Casaleggio, anche se per la verità loro non sembrano apprezzare tanto lui perché, come ha dimostrato un'immagine impietosa, mentre il premier si fa in quattro per omaggiarli, loro manco si alzano per salutarlo. Ma tant'è, a giudicare dall'espressione Conte ci dev'essere abituato. Del resto, si sa: una volta di fronte al presidente del Consiglio italiano ci si inchinava. Ora ci si chiede soltanto: quando si inchina? E per servire chi?
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)