
Giulia Paolini ha mandato a processo Liliane Murekatete, la Mukamitsindo e altri due figli di quest’ultima, Michel Rukundo e Aline Mutesi, con l’accusa di bancarotta fraudolenta, frode in pubbliche forniture e autoriciclaggio. Tutti sono già alla sbarra in un procedimento parallelo per reati fiscali.
La posizione di Richard Mutangana, altro cognato di Soumahoro, è stata stralciata, essendo lo stesso irreperibile. Il processo inizierà l’11 giugno.
Per l’accusa le cooperative riconducibili agli affini dell’ex sindacalista ivoriano avrebbero usufruito di ingenti fondi pubblici destinati a progetti per l’accoglienza dei migranti, offrendo in cambio un servizio decisamente scadente, a base anche di blatte e vermi.
Il gip di Latina aveva disposto anche un sequestro per quasi 2 milioni di euro. Le indagini hanno individuato disposizioni bancarie «prive di congrua giustificazione causale e comunque per finalità diverse» da quelle previste dai bandi, mentre le carte di credito delle cooperative sarebbero state usate anche per «finalità private (ristoranti, gioiellerie, centri estetici, abbigliamento, negozi di cosmetica)».
Nell’udienza il Gup ha ammesso la costituzione di parte civile del sindacato Uiltucs (che grazie alla vertenza del sindacalista Gianfranco Cartisano ha fatto decollare le indagini), di diciannove lavoratori ed ex dipendenti della coop Karibu e del consorzio Aid, del Codacons, del ministero dell’Interno, del consorzio Agenzia inclusione dei diritti, dei commissari liquidatori delle coop e di otto comuni della provincia di Latina, compreso il capoluogo.
Cartisano ha raccontato che Rukundo, nonostante fosse indagato, ha provato a insinuarsi tra i creditori della Karibu, vantando un credito superiore a 100.000 euro. Ma è stato «escluso per inammissibilità della domanda». Infatti il rapporto di lavoro subordinato era incompatibile con le cariche sociali che ricopriva e il lavoro che svolgeva. «Attività nel corso della quale», ha puntualizzato il giudice, «il signor Rukundo ha assunto condotte integranti ipotesi di reato, per le quali pendono procedimenti penali e da cui la cooperativa ha subito ingenti danni, che dovranno essere risarciti». Rukundo aveva inutilmente provato a essere ammesso anche tra i creditori del consorzio Aid, per una cifra di oltre 14.000 euro.
Ma se Michel ha cercato di incassare un po’ di denaro, Liliane ha denunciato di essere stata truffata. Lo scorso 27 febbraio ha presentato querela presso le Procura di Latina lamentando che le sue firme sui fogli di presenza ai consigli di amministrazione sarebbero state falsificate e che non ci sarebbe prova della sua partecipazione alle assemblee: «La mia cliente è stata rinviata a giudizio sul presupposto che facesse parte del Cda» spiega alla Verità l’avvocato Lorenzo Borré, «ma non è stato dato seguito alle richieste di verifica della effettiva presenza della stessa che viene avvalorata solo da firme contestate dalla Murekatete». Per queste il legale aveva chiesto una perizia grafica che non sarebbe stata disposta. «La responsabilità della mia assistita si fonda sulla presunta partecipazione ai Cda che hanno approvato i bilanci relativi alle spese contestate» evidenzia il difensore. L’esempio più eclatante? «Una dipendente ha firmato con le proprie generalità in stampatello accanto al nome della Murekatete. Una firma che mostra in modo incontrovertibile l’assenza della mia cliente a quella assemblea».
Nella denuncia si legge che «il presupposto fondamentale su cui si basano le contestazioni è costituito dal fatto» che Liliane sarebbe stata nominata consigliere d’amministrazione della Karibu «in forza di una delibera assembleare dei soci della cooperativa del 3 aprile 2018» e che avrebbe partecipato, in qualità di consigliere d’amministrazione, tra il 2018 e il 2022, a cinque Cda e ad altrettante assemblee dei soci, compresa quella del 30 agosto 2022 «in cui venne addirittura indicata come segretaria sottoscrittrice del verbale, in quanto la carica sarebbe stata rinnovata in occasione della assemblea dei soci del 9 marzo 2022». Ma tutto ciò per la Murekatete sarebbe totalmente falso: «L’esponente non ha mai partecipato alle assemblee e ai consigli d’amministrazione di cui sopra, né le risulta che le assemblee dei soci di nomina dei consiglieri d’amministrazione (cui avrebbe dovuto essere convocata in qualità di socia della cooperativa Karibu) si siano effettivamente celebrate» si legge nella querela. La pistola fumante? Quella già citata da Borré: a pochi giorni di distanza dal parto, programmato da Liliane con taglio cesareo, il notaio F. avrebbe redatto un verbale in cui si attestava la presenza all’assemblea della neomamma e «nel foglio delle firme di presenza dei soci a detta assemblea, accanto al nominativo Murekatete Liliane» ci sarebbe, però, «la firma in stampatello di un’altra socia, la signora Hassanatou Sow» sostiene la denuncia.
Alla fine dell’esposto di 11 pagine la compagna di Soumahoro «chiede che venga instaurata l’azione penale contro i colpevoli e che gli stessi, una volta individuati, ricevano la giusta punizione». La donna si riserva, inoltre, di costituirsi parte civile nell’eventuale processo penale.
Nella querela non vengono mai fatti i nomi dei sospettati, anche se di fronte a questa difesa di Liliane, portata avanti sin dall’inizio del procedimento, i famigliari non hanno scagionato la consanguinea, né confermato in qualche modo la sua tesi accusatoria.
Solo mamma Mukamitsindo, a gennaio, ha dichiarato, in modo un po’ sibillino, davanti agli inquirenti: «Mia figlia Liliane è rimasta incinta nel 2018 e da quel momento non è stata più presente in cooperativa. Le chiedevo soltanto dei consigli o degli aiuti telefonicamente».
Dopo la denuncia della Murekatete la Procura di Latina, guidata da Giuseppe De Falco, ha aperto un fascicolo contro ignoti per falso ideologico e sostituzione di persona, procedimento che è stato assegnato al pm Andrea D’Angeli.
Davanti al Tribunale del Riesame Liliane ha anche negato di aver ricevuto 70.000 euro per due consulenze sul suo conto corrente belga dalla Karibu.
«Gli importi di due bonifici di 35.000 euro del 25 febbraio 2018 e del 25 maggio 2019 non risultano effettivamente accreditati sul conto della Murekatete» ha scritto l’avvocato Borré. Uno sarebbe stato fatto per sbaglio. Sull’altro aleggia il mistero. Per i giudici la donna potrebbe, però, avere avuto un altro rapporto bancario, ipotesi che il legale della donna esclude categoricamente.
Ma allora quei denari a chi sono andati? Per ora nessuno lo ha chiarito.
L’ex coordinatrice di uno dei centri gestiti dalla Karibu, riguardo ai viaggi a Bruxelles, ha dichiarato che in Belgio si tenevano «corsi di europrogettazione con la Camera di commercio italiana». La Mukamitsindo e altre dipendenti della coop avrebbero organizzato più corsi sul tema gestione dell’immigrazione a Bruxelles. Un’altra ex dipendente, a verbale, ha parlato di valigette di contanti portate in Belgio. «Non ho notizie di denunce nei mie confronti» ci ha riferito ieri l’accusatrice.
Un’ulteriore vecchia collaboratrice, a Striscia la notizia, ha, invece, ricordato come in una delle sedi italiane delle coop sotto inchiesta, subaffittata da un avvocato laziale, fossero stipati mobili del clan Casamonica e che la stessa Liliane sarebbe stata al corrente di quella strana condivisione dei muri della villa.
Ricordiamo che sull’uso di fondi pubblici da parte delle società riconducibili ai parenti di Soumahoro sta indagando pure l’Olaf (l’Ufficio europeo per la lotta antifrode dell’Unione europea) e che la Procura di Latina ha in corso interlocuzioni con la magistratura belga per approfondire l’utilizzo di tali finanziamenti a Bruxelles e dintorni. I tre immobili di proprietà della Murekatete sono stati acquistati con i soldi erogati alle coop? Le spese effettuate con le carte di credito della Karibu avevano finalità collegate all’attività di accoglienza? Tutte risposte che potrebbero arrivare dal Belgio.






