2020-02-19
La fabbrica delle sardine di stoffa non paga l’affitto alla parrocchia
I gadget del movimento realizzati da un'associazione che si dichiara estranea a «questioni religiose» ma ha sede nei locali della chiesa di San Mamolo, concessi in comodato. Dubbi anche sulle ricevute. L'associazione Vicini d'Istanti di Bologna, sul sito, annuncia festosa: «Abbiamo concluso il progetto di raccolta fondi "6000 sardine solidali in tessuto wax a Bologna", grazie del vostro supporto!». Come ha spiegato il Corriere di Bologna, l'associazione in questione è nata nel 2017 e «si occupa principalmente di inserimento sociale e lavorativo di richiedenti asilo nel campo sartoria». Qualche mese fa, la presidente del consiglio direttivo Maddalena Papini e i suoi collaboratori hanno deciso di dare una mano al movimento delle sardine. Hanno coinvolto una trentina di persone (tra cui vari stranieri) e con tessuti provenienti dall'Africa hanno cominciato a produrre dei pupazzetti a forma di sardina. Obiettivo raggiunto: le prime 600 sardine di pezza sono state tutte vendute. A che cosa sono servite? Leggiamo sempre dal sito: «Aiutare il gruppo 6000 sardine ad autofinanziarsi per coordinare al meglio le sardine sparse per l'Italia; sostenere il progetto della Caritas diocesana dedicato ai rifugiati “Sportello legale protezioni internazionali e fondo garanzia affitti"; contribuire al progetto della sartoria Vicini d'Istanti e di altre sartorie sociali». I denari raccolti con la vendita dei pesciolini di tessuto sono stati «destinati in parti uguali» alle tre realtà di cui sopra. Tutto bellissimo, una grande operazione: «Non stiamo cucendo: non è più couture ma cultura», dichiarò in dicembre al Corriere Maddalena Papini. Nella favola delle sardine di pezza, tuttavia, rimangono alcuni punti poco chiari, che forse Santori e i suoi farebbero bene a illuminare. L'associazione Vicini d'Istanti ha sede in una zona centrale di Bologna, precisamente nei locali dell'ex scuola Bastelli che sono della parrocchia di San Mamolo. Una scelta curiosa, visto che alla Camera di commercio bolognese risulta che l'associazione sia «estranea ad ogni questione politica, religiosa e razziale». Sarà: però ha sede in una parrocchia e la sua presidente è stata invitata a parlare sul palco delle sardine. Non a caso alcuni fedeli di San Mamolo si sono lamentati con la stampa locale. Andrea Zambrano della Bussola quotidiana ha chiesto al parroco, don Carlo Bondioli, se l'associazione pagasse un affitto. Il prete, dopo aver dichiarato che l'associazione «fa un lavoro fantastico e coerente con gli insegnamenti del Vangelo», si è rifiutato di rispondere sul tema del contratto di locazione. Così ci siamo rivolti ai responsabili dell'associazione per avere qualche informazione in più. Ci è stato risposto che «l'Associazione ha un regolare contratto di comodato di immobile con la parrocchia dei Santi Francesco Saverio e Mamolo, nella porzione di edificio dell'ex scuola Bastelli che era in disuso». Insomma, niente affitto. Si vede che a don Carlo sta bene così, e a quanto pare anche alla Curia bolognese (o no?). Non è finita. Vicini d'Istanti, secondo la Camera di commercio di Bologna è una associazione di promozione sociale. Le vendita delle sardine di pezza - effettuata tramite il sito e in piazza 8 agosto a Bologna - è stata presentata come una «raccolta fondi». Ogni sardina veniva venduta a 8 euro, più le spese di spedizione per chi la acquistasse tramite Web. A noi risulta, però, che durante la manifestazione delle sardine a Bologna del 19 gennaio scorso, i pupazzetti siano stati venduti a 10 euro l'uno. La bancarella che le vendeva esponeva un cartello con tutti i prezzi: «Maglietta con logo 10 euro, shopper con logo 15 euro, portachiavi tortellino 8 euro, sardina di stoffa 10 euro». A chi ha acquistato la sardina, infatti, è stata rilasciata una ricevuta (di cui pubblichiamo la foto) che riporta il prezzo di 10 euro e la dicitura «erogazione liberale». In sostanza, l'acquisto di una sardina di stoffa è stato registrato come una donazione all'associazione Vicini d'Istanti. Ed è qui che sorge qualche domanda. Il commercialista Guido Beltrame spiega alla Verità che l'«erogazione liberale» è una cosa molto precisa: «La normativa prevede alcune circostanze ben specifiche», dice l'esperto. «E non mi sembra che in questo caso siano rispecchiate. In particolare, qui c'è un prezzo prestabilito per la cessione di un bene. Abbiamo una prestazione e una controprestazione in denaro: ecco che ci sono tutti gli elementi per cui la prestazione debba essere assoggettata a Iva. Intendiamoci», prosegue il commercialista, «non spetta a me fare le verifiche. Ma se l'associazione fosse mia cliente le direi che l'acquisto della sardina non può essere considerato erogazione liberale, e consiglierei di agire diversamente per non incorrere in rischi. Anzi, direi che ci sono tutti gli elementi perché questa sia una attività commerciale. Il che significa aprire una partita Iva, emettere scontrini telematici e fattura elettronica e poi provvedere agli adempimenti conseguenti». Secondo Beltrame, se le sardine e i loro sostenitori dovessero fare tutto questo «si renderebbero conto di che cosa significhi fare impresa in Italia». Secondo Vicini d'Istanti non tutte le sardine di stoffa sono state vendute a 10 euro. Alcuni sostenitori avrebbero versato di meno, altri di più. Resta che in piazza era esposto un prezzo fisso, come per una normale compravendita. Tuttavia è stata prodotta una ricevuta con la dicitura «erogazione liberale», come se si trattasse di un contributo volontario. «C'è una questione di trasparenza economica», dice Galeazzo Bignami, deputato bolognese di Fratelli d'Italia. «Anche a noi è stata esibita una ricevuta in cui è scritto “erogazione liberale", anche se poi in piazza c'era un cartello che indicava il prezzo di acquisto. Il parroco di San Mamolo che ospita l'associazione ha parlato esplicitamente di vendita. Ci chiediamo: è tutto a posto? Se un comune cittadino agisse in questo modo, subirebbe controlli? Ricordiamo, per altro, che l'erogazione liberale ha due aspetti: chi vende non paga le tasse e chi acquista potrebbe portare il bene in detrazione, pagando a sua volta meno tasse. Dunque ripeto: è tutto a posto?». Già: su tutte queste faccende sorgono parecchi dubbi. Perché un'associazione con sede in una parrocchia deve contribuire alla raccolta fondi per le sardine? E la raccolta fondi in questione ha funzionato come si deve? Chissà se arriveranno risposte.
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