
Joe Biden avrebbe intenzione di aprire al Venezuela per contrastare il caro energia. Una mossa assurda, che rischia di creare un cortocircuito geopolitico, visti i legami di Nicolas Maduro con Mosca, Teheran e Pechino.L’embargo petrolifero recentemente decretato da Joe Biden alla Russia rischia di portare a un ulteriore aumento dei prezzi dell’energia negli Stati Uniti. Per questo, il presidente americano sta cercando di correre ai ripari. Il problema è che la strategia scelta sotto questo aspetto non sembra esattamente lineare. L’inquilino della Casa Bianca ha infatti optato per avviare una distensione con il Venezuela, ipotizzando seriamente di allentare le sanzioni che gli erano state comminate. Ora, una simile linea è problematica da due punti di vista. Innanzitutto il Venezuela è retto dal feroce regime di Nicolas Maduro: ricordiamo che, ai tempi della campagna elettorale del 2020, Biden aveva più volte accusato Donald Trump di eccessiva accondiscendenza verso dittatori e leader autoritari in generale. Un atteggiamento che Biden, all’epoca candidato democratico, aveva promesso di cambiare radicalmente. E invece adesso l’attuale presidente americano sta facendo tutt’altro. Anche perché, oltre a Caracas, sul petrolio negli scorsi giorni si è messo a corteggiare (pur senza troppo successo) pure Riad e Abu Dhabi. Del resto, che non avesse intenzione di tenere granché fede alla sua promessa elettorale di netta chiusura ai regimi dittatoriale, è risultato chiaro già l’anno scorso, ben prima che scoppiasse il problema dei prezzi energetici: ricordiamo infatti che, ad aprile del 2021, Biden aveva avviato colloqui indiretti con l’Iran, per rilanciare il controverso accordo sul nucleare, siglato da Barack Obama nel 2015. Bisognerebbe allora domandarsi come mai i commentatori e gli analisti solitamente così occhiuti verso le contraddizioni di Trump abbiano di fatto chiuso un occhio nei confronti di questa colossale incoerenza di Biden. Si scorge poi un secondo problema nella distensione di Biden con Maduro: ed è un potenziale cortocircuito di natura geopolitica. Bisogna infatti sottolineare che il regime di Caracas intrattiene stretti legami con la Russia. Innanzitutto Maduro ha dato il proprio endorsement all’invasione dell’Ucraina e ha aspramente criticato le sanzioni occidentali contro Mosca. “Quello che stanno facendo contro il popolo russo è un crimine, una guerra economica”, ha dichiarato il presidente venezuelano lo scorso 2 marzo. “Quello che stanno facendo alla Russia è una follia”, ha aggiunto. D’altronde, i due Paesi vantano da tempo solidi legami. Nell’aprile 2021, Mosca e Caracas avevano siglato svariati accordi di cooperazione nel settore economico e sanitario. Inoltre, i due Stati intrattengono solide connessioni sul piano della difesa. Secondo il Center for Strategic and International Studies, Caracas ha preso in prestito dalla Russia miliardi di dollari per il settore militare a partire dal 1999: Maduro, in particolare, avrebbe acquistato aerei, elicotteri, carri armati e missili antiaerei. È stato inoltre riferito che i mercenari del Wagner Group opererebbero nel Paese almeno dal 2019, per fornire sicurezza allo stesso presidente venezuelano. In tutto questo, sempre nel 2019, Mosca ha dato il proprio sostegno, specialmente in sede Onu, al regime di Maduro contro Juan Guaidò. Nell’ottica del Cremlino, il Venezuela rappresenta un canale attraverso cui contrastare l’influenza politica statunitense in Sudamerica. Tutto questo, senza dimenticare che i russi, negli anni, hanno investito soprattutto nel settore energetico venezuelano. Insomma, questi stretti legami tra Mosca e Caracas lasciano chiaramente intendere che la strategia di Biden rischia di rivelarsi seriamente un boomerang: non ha infatti alcun senso decretare un embargo energetico alla Russia e contemporaneamente allentare le sanzioni al Venezuela. Quel Venezuela che, tra l’altro, vanta legami anche con un significativo alleato mediorientale di Mosca, come l’Iran. I rapporti tra Caracas e Teheran si sono notevolmente intensificati a partire dalla presidenza di Hugo Chavez. Inoltre, non bisogna trascurare i rapporti che collegano il regime di Maduro a Hezbollah: organizzazione libanese sciita, spalleggiata dall’Iran. Organizzazione che, in Sudamerica, è tra l’altro molto attiva nel traffico di droga. Infine è bene ricordare che il Venezuela si è avvicinato notevolmente anche alla Cina. Quella stessa Cina che si è rifiutata di condannare l’invasione russa all’Onu e che ha fatto sapere di non sostenere le sanzioni finanziarie occidentali alla Russia. Quella stessa Cina, cioè, che – all’inizio dello scorso febbraio – ha significativamente rafforzato le proprie relazioni con Mosca nel settore politico, energetico ed economico. Alla luce di tutto questo, è allora forse lecito domandarsi: siamo sicuri che abbia un senso la strategia, adottata da Biden, di aprire a Caracas? Molto probabilmente no.
Monica Marangoni (Ansa)
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Luca Marinelli (Ansa)
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