2022-04-04
La dieta è una trappola che fa ingrassare
Rinunciare al cibo provoca danni irreversibili, genera insicurezza e moltiplica le cellule adipose. C’è un unico motivo valido per sottoporsi a un regime alimentare rigoroso: quello medico. Farlo per motivi estetici è umiliante e altera il nostro equilibrio.La bulimia nervosa è un’altra situazione terribile, con danni al fisico e all’autostima gravissimi. È caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate (consumo rapido di un gran quantitativo di cibo in un modesto periodo di tempo). Il cibo è sempre ad alto contenuto calorico. Il suo consumo è sempre solitario. Talvolta avviene quasi in stato di trance. C’è una sensazione di mancanza di controllo sul proprio comportamento alimentare nel corso delle abbuffate, che sono sempre seguite da un feroce senso di colpa. La persona regolarmente si dedica al vomito autoindotto, all’uso di lassativi o diuretici, a diete ristrette o al digiuno, oppure a forme di rigorosa disciplina finalizzate a evitare aumenti di peso. Per poter porre la diagnosi, ufficialmente sono necessari una media minima di 2 episodi di abbuffate alla settimana per almeno tre mesi. Anche qui c’è l’ossessione della forma e del peso corporeo. L’associazione con l’anoressia è quasi abituale e molto frequente è l’associazione con altre forme di autodistruzione come l’alcol, la droga, la prostituzione, necessaria a procurarsi il denaro necessario alle abbuffate, autolesionismo (tagli), tendenze suicidarie. Il libro Sprecata. Autobiografia di un’anoressica-bulimica che è tornata alla vita di Marya Hornbacher spiega con molta appassionata chiarezza come si arrivi al disastro. Due genitori attori, quindi attenti alle diete e al peso, che ne parlano in casa, sono sufficienti al disastro. Il disastro poi si autoalimenta, c’è un inversione del senso del piacere e del dolore, si ricava piacere, endorfine, dalla fame e dal vomito. Come per la tossicodipendenza, la vera colpa è del primo spacciatore. C’è un rischio di morte per insufficienza cardiaca da alterazioni di elettroliti o da frattura del cardias durante il vomito. Frequenti ulcere dello stomaco e dell’esofago. Sempre presenti gonfiore delle salivari, stanchezza, umore instabile e freddo, carie devastanti. Le abboffate sono una conseguenza inevitabile della dieta, una risposta dell’organismo al digiuno o alla paura del digiuno. Non è l’abboffata il punto patologico dello schema, ma la dieta che la precede. Se si riesce di smettere di stare a dieta, si smette di abboffarsi. La dieta consiste nel mangiare meno del necessario così da bruciare il grasso in eccesso. Mangiare meno del necessario vuol dire soffrire la fame. Che un organismo possa soffrire la fame e uscirne indenne dal punto di vista fisico e psichico è un’idea scema che può venire in mente solo ai giornali femminili. La dieta, cioè la fame, non riguarda solo il tessuto adiposo: riguarda tutto il corpo e tutta la psiche. Mangiare meno del necessario causa sempre danni metabolici irreversibili, vale a dire la perdita della capacità di bruciare le calorie in accesso, e può innestare i disturbi alimentari, perché tutta la nostra mente, tutti i nostri neurotrasmettitori sono basati sul cibo, sul desiderio di cibo. Siamo sopravvissuti a migliaia di anni di carestie. Siamo sopravvissuti grazie al meccanismo della regolazione termica e alla capacità di perderlo quando ci sono carestie. Una persona che non sia mai stata a dieta in vita sua, se mangia più del necessario, non lo mette da parte nel tessuto adiposo: perché dovrebbe? Non è mai vissuto in una situazione di carenza. Semplicemente lo brucia con aumento di mezzo grado della temperatura. Sui vecchi libri di cucina, si raccomanda di fare ricette molto grasse solo d’inverno perché «scaldano», vale a dire causano l’aumento di mezzo grado di temperatura per un giorno o due. È sufficiente la prima carestia, guerra, siccità, dieta idiota da 1.000 calorie, e questo meccanismo salta. Dove la roba può mancare, la si mette da parte. Gli esseri umani alla nascita hanno una sola competenza: un pianto disperato che attira l’attenzione di qualcuno dotato di mammelle che può prendere in braccio e nutrire. I concetti di non essere amati e non essere nutriti, nella nostra mente, sono intrecciati. Tutte le volte che ci sentiamo poco amati possiamo compensarlo mangiando. Tutte le volte che abbiamo fame ci sentiamo poco amati. La dieta, la prima dieta e poi quelle successive, sono trappole. L’idea venduta dai giornali femminili, ma anche da una notevole percentuale di pessimi dietologi, è che la dieta sia qualcosa che vola via dal corpo, che riguarda solamente il grasso sottocutaneo che in parte sarà bruciato e trasformato in calorie. La dieta distrugge la fede in sé stessi, aumenta enormemente l’insicurezza. La dieta fa ingrassare: l’organismo per difendersi aumenta il numero di cellule adipose così che si passa dall’obesità ipertrofica (non si superano i 100 chili) a quella iperplastica: 120, 140, 190, 220 chili. Questo tipo di obesità, quando le diete non esistevano, non c’era. C’è una sola dieta accettabile, quella fatta per motivi medici, diabete, ipertensione, problemi ortopedici, che porti a un nuovo equilibrio dove all’inizio si abbia una perdita che non deve mai superare il chilo al mese, per poi arrivare a un nuovo equilibrio. Il punto fondamentale di tutto questo è un aumento dell’attività fisica, una modificazione del corpo con un maggiore quantitativo di massa muscolare, fatto in maniera lenta e graduale e soprattutto per motivi medici, non estetici. La dieta per motivi estetici è un’umiliazione: se mi amassero veramente così come sono, non dovrei affamarmi per essere amata. Il dolore e l’umiliazione di soffrire la fame, anche una fame stupidamente autoimposta, distruggono la fede in sé stesse che ci s’illude di recuperare dimagrendo. I disturbi alimentari sono esplosi nel Sessantotto. Ci spiegano che sono colpa delle madri iper competitive, iper controllanti, iper qualche altra roba, tutto e il contrario di tutto può essere causa del disastro, perché è un disastro, qualcosa che porta a danni non sempre reversibili, alla distruzione di tutta la famiglia. Non è che per caso la responsabilità sia di qualcosa che è cominciato nel Sessantotto? Le madri del Rinascimento, quando non c’erano i disturbi alimentari, erano tutte più intelligenti delle nostre? La psicologia ci ha addestrato a colpevolizzare le madri. Non è un caso. Fa parte dell’odio contro la famiglia e quindi contro la vita, perché la famiglia è il luogo dove la vita nasce e viene protetta. Inoltre è molto più comodo prendersela con mamma che non mettere sul banco degli accusati i veri colpevoli, il Sessantotto e l’odio per il corpo femminile portato avanti dai movimenti femministi, fondati da donne senza figli, disegnato in abiti orrendi da uomini che non amano le donne e non amano il loro corpo. La psicologia e la pedagogia contemporanee ci hanno addestrato al concetto del genitore perfetto che crea il figlio felice. I genitori per definizione sono imperfetti. Le madri iper competitive e iper controllanti sono sempre esistite e sempre esisteranno. Nelle società che non sono folli non creano danni gravi per due motivi. Primo motivo: la società, e questo è proprio uno dei suoi compiti, quando non è folle compensa i problemi dei genitori. Secondo motivo: se la competitività si scatena in qualsiasi campo della cultura umana (chi sa meglio latino, chi cucina le tagliatelle migliori, chi è più bravo all’uncinetto), essa non esplode in maniera così tragica da far deragliare tutto, non è distruttiva. Se riguarda la capacità di affamarsi, fa deragliare tutto. La causa non sono le madri imperfette, ma una società folle che odia il corpo delle donne e odia la loro maternità.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)