2021-08-05
La cultura non ha più peso sociale. La qualità sacrificata alla quantità
Marcel Jacobs e Gianmarco Tamberi (Ansa)
Purtroppo non basta il talento per emergere, serve soprattutto essere «popolari». Ma ci si dovrebbe concentrare sulla formazione intellettuale e non sull'audienceQuesta tribolata estate di Covid ci ha regalato dei trionfi sportivi straordinari, con feste imprudenti per le strade che, oltre ad innalzare il tasso di contagio, ci hanno fatto anche ritrovare l'orgoglio nazionale.Dopo gli Europei di calcio ora è Tokyo che ci sta mostrando «la meglio gioventù», giovani capaci di vittorie bellissime ma anche di gesti di sportività e umanità che temevamo perduti. Disciplina, sacrificio, tenacia, capacità di sofferenza, sono da sempre i talenti necessari per il successo e per le imprese grandi ed è importante che i giovani ne abbiano degli esempi così belli. Quello che è meno positivo è vedere che non basta avere queste virtù e non basta farle brillare davanti a tutti, bisogna anche appartenere a una categoria popolare. Bisogna, cioè, eccellere nello sport o diventare famosi nell'ambito della musica leggera per essere considerati grandi. Eppure ci sono altri campi, anche di peso culturale maggiore, totalmente ignorati per la mancanza di cultura dei mass media.Quando muore una star della musica leggera è la prima notizia su tutti i telegiornali e su tutti i giornali. Le esequie delle stelle del pop diventano una seguita diretta tv, come fosse morto un Pontefice o un capo di Stato. Ma quando muoiono artisti immensi della musica classica o della letteratura non lo sa quasi nessuno. Spesso sui giornali a queste figure è dedicato un trafiletto, i telegiornali a stento ne parlano. Questo dimostra che nel nostro Paese la classe colta ha pochissimo peso sociale. Esattamente il contrario di quanto sognava Platone.Mi chiedo perché e mi torna alla mente la distruzione culturale del nostro Paese. Forse la sovrastimolazione dei mezzi di informazione, internet, il «tutto-a-portata-di-mano-sempre» sugli smartphone ha ucciso il desiderio, ha ucciso la nostalgia e ha distrutto lo spirito di vera ricerca (che non consiste nel soddisfare la curiosità).Forse tutto ciò ha spento la richiesta di qualcosa di profondo e di vero, che vada al di là dell'evasione o della più superficiale soddisfazione interiore. Che fare? Senza stancarsi offrire contenuti validi, senza cercare i grandi numeri di audience, ma puntando alla formazione intellettuale autentica.Mi viene in mente quel mirabile passaggio del film dei fratelli Taviani Goodmorning Babilonia in cui i due protagonisti, manovali italiani fra gli scenografi della Hollywood del 1916, eredi di una famiglia di scalpellini toscani, a vedersi trattati da immigrati disprezzabili, con orgoglio gridano: «Noi siamo i figli dei figli di Michelangelo e di Leonardo! E voi? Voi chi siete?». Quando avremo portato i nostri giovani ad avere la tenacia e la disciplina di Jacobs e Tamberi ma anche l'orgoglio dei fratelli Bonanno del film dei Taviani, allora, e solo allora, potremo gioire.