La crisi fa bene alle tasche di Putin. Il petrolio frutta 87 miliardi in più

- Mosca, in due anni di impennata dei prezzi dell’oro nero, ha realizzato guadagni favolosi. E l’Unione europea contribuisce minacciando nuove sanzioni. Il governo italiano sborsa altri 4 miliardi per le bollette.
- Nel giorno del presunto attacco all’Ucraina la situazione resta in stallo. Usa e Nato non si fidano delle promesse del Cremlino: «Quello che dice è diverso da quello che fa».
Lo speciale contiene due articoli.
La crisi energetica che ha fatto schizzare il prezzo del petrolio e del gas non è stato un incubo per tutti. La Russia, ad esempio, ne ha beneficiato con guadagni miliardari. Persino la recente crisi con l’Ucraina ha fatto da volano per i prezzi del greggio e questo ha portato nelle tasche di Vladimir Putin importanti ricavi.
Pallottoliere alla mano, Mosca in due anni di impennata dei prezzi del petrolio ha realizzato guadagni per 328 miliardi di dollari, 87 in più rispetto a quanto realizzato nel 2020.
«Come per tutti gli altri Paesi esportatori di materie prime», spiega alla VeritàGianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, società di consulenza specializzata nel campo delle materie prime, «anche per la Russia gli ultimi due anni caratterizzati dal rally del prezzo delle commodities si sono rivelati una manna economica: se infatti calcoliamo che la differenza del prezzo medio del Brent tra il 2020 e il 2021 equivale a 27 biglietti verdi al barile e consideriamo la produzione giornaliera di 10 milioni di barili, si evince un guadagno per il governo di Mosca di oltre 87 miliardi di dollari. Nel complesso le entrate totali derivanti dal settore petrolifero si attestano su base annualizzata a 328 miliardi, prendendo come riferimento il prezzo del Brent a 90 dollari al barile».
Il punto è che il rialzo dei prezzi non sembra avere fine. Le frizioni con Kiev stanno spingendo il prezzo al barile oltre i 100 dollari, con il presidente Putin che si sfrega le mani dalla gioia.
Come spiegano gli analisti di Ing, è abbastanza chiaro che gli sviluppi relativi alla situazione tra Russia e Ucraina saranno fondamentali per decidere la direzione dei prezzi del greggio nel breve termine.
Non solo, la crisi tra i due Paesi sarà anche la ragione principale che guiderà i prezzi tutte le materie prime. Non è un caso, infatti, se, in scia alle preoccupazioni per un possibile conflitto, il future sull’oro è schizzato fino a 1.854 dollari per oncia, tornando ai livelli di novembre 2021.
D’altronde, la Russia attualmente esporta circa cinque milioni di barili al giorno di greggio, circa il 60% delle esportazioni totali russe. Eventuali sanzioni rivolte esclusivamente alle esportazioni di greggio (come avvenuto in passato per l’Iran), quindi, potrebbero avere un effetto dirompente sui mercati petroliferi. Il vero problema è che i prezzi del petrolio e del gas naturale sono già troppo alti, sia in Europa che oltreoceano. Più volte l’anno scorso il presidente americano Joe Biden, ha fatto pressioni sull’Opec perché aumentasse la produzione con lo scopo di alleggerire l’aumento dei costi del carburante.
Per questi motivi, proporre sanzioni che abbatterebbero l’offerta di petrolio facendo salire i prezzi potrebbe non essere la soluzione migliore e a Mosca lo sanno bene.
Il Vecchio Continente e lo Zio Sam sono quindi di fronte a un bivio: proporre sanzioni petrolifere tanto severe da danneggiare la Russia causando anche problemi in patria o imporre multe più lievi, ma senza un reale effetto antibellico? L’unica certezza è che la Russia conosce bene questo meccanismo e, al momento, si gode i rincari del greggio.
All’interno di questo scenario, domani sarà il giorno del decreto bollette. Il Consiglio dei ministri porterà dunque avanti l’ennesimo intervento - finora sono stati messi in campo ben 10,2 miliardi da luglio fino a oggi - per arginare il caro energia. Secondo indiscrezioni, l’esecutivo si appresta a sborsare altri quattro miliardi per evitare che il costo dell’energia schizzi nei primi tre mesi dell’anno.
Quello di domani, infine, potrebbe non essere l’ultimo decreto che verrà in aiuto alle tasche degli italiani. Il governo, su questo, avrebbe scelto di procedere per gradi. L’unica certezza è che il premier Draghi non intende operare un nuovo scostamento di bilancio.
Intanto, sul piano europeo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una intervista rilasciata al giornale tedesco Die Zeit, ha fatto sapere che Bruxelles deve valutare «quali sono i ponti necessari per creare la transizione a un mondo con il 100% di rinnovabili» perché di gas e nucleare «avremo bisogno fino a che non ci saranno sufficienti fonti rinnovabili, come l’energia a idrogeno».
Quella della von der Leyen è dunque una posizione che pare andare in una direzione del tutto opposta rispetto al bisogno di petrolio che sta portando il prezzo al barile pericolosamente oltre i 100 dollari al barile.
Proprio ieri la numero uno della Commissione Ue ha fatto sapere che Bruxelles potrebbe procedere a nuove sanzioni verso la Russia in meno di 48 ore in caso non si trovasse una soluzione diplomatica per risolvere la crisi con l’Ucraina.
La politica tedesca ha fatto sapere che l’Unione europea potrebbe dare il via a «un pacchetto solido di sanzioni, senza precedenti, che metterà la massima pressione all’economia russa. Siamo totalmente allineati con i nostri partner di Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada su questo. E si tratterà di una gamma senza precedenti di sanzioni economiche, finanziarie e di controllo delle esportazioni che creerà un impatto massimo sull’economia russa e sul suo sistema finanziario», ha detto.
Non stupisce, insomma, che ieri il Brent abbia chiuso le contrattazioni oltre i 95 dollari con un rialzo superiore al 2%. Esattamente un anno fa un barile di greggio era di poco superiore ai 60 dollari al barile. Con buona pace di Mosca che negli ultimi dodici mesi si è intascata importanti profitti grazie all’aumento dell’oro nero.
Calma piatta al posto del blitz russo
Tra spiragli distensivi e guerra di nervi, come finirà la crisi ucraina? Ieri, mentre l’Ucraina celebrava la Giornata dell’unità, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è tornato a lanciare l’allarme. «Abbiamo sentito segnali da Mosca sulla disponibilità a continuare gli sforzi diplomatici, ma finora non abbiamo visto alcuna riduzione dell’escalation sul campo. Al contrario, sembra che la Russia continui il rafforzamento militare», ha dichiarato in occasione del summit tra i ministri della Difesa dell’Alleanza atlantica a Bruxelles. «La Russia», ha aggiunto, «ha accumulato una forza d’invasione ai confini dell’Ucraina». «I ministri hanno deciso di sviluppare opzioni per rafforzare ulteriormente la deterrenza e la difesa della Nato, inclusa la possibilità di creare nuovi gruppi tattici della Nato nell’Europa centrale, orientale e sudorientale», ha inoltre precisato. Tutto questo, mentre il Regno Unito raddoppierà le sue truppe in Estonia nell’ambito dell’Alleanza, inviando anche veicoli corazzati.
Nel frattempo, il governo di Kiev ha lasciato intendere che, dietro agli attacchi informatici dell’altro ieri, potrebbe esserci la Russia. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha inoltre affermato che non si sarebbe verificato ancora alcun sostanziale ritiro delle truppe russe al confine. Una posizione, questa, condivisa anche dagli Stati Uniti. «Purtroppo c’è una differenza tra quello che la Russia dice e quello che fa. E quello che stiamo vedendo non è un ritiro significativo», ha spiegato il segretario di Stato americano, Tony Blinken. Il governo polacco ha infine fatto sapere di «prepararsi al peggio», temendo che un’eventuale invasione russa possa determinare un ingente flusso di profughi verso l’Ue.
Davanti al ricompattamento della Nato, Mosca ha cercato di serrare i ranghi. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha minacciato ritorsioni nel caso il Regno Unito comminasse delle sanzioni alla Russia: minacce di sanzioni sono tra l’altro arrivate ieri anche dal dipartimento del Commercio americano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha inoltre negato la responsabilità dei recenti attacchi informatici a Kiev, accogliendo invece favorevolmente l’invito del presidente americano, Joe Biden, a mantenere in piedi le trattative diplomatiche. «La Russia insisterà affinché la Nato annunci pubblicamente il suo rifiuto di accettare l’Ucraina nei suoi ranghi», ha dal canto suo affermato il diplomatico russo, Konstantin Gavrilov, mentre la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha accusato l’Occidente di «fomentare l’isteria antirussa». In tutto questo, il Cremlino ha di fatto anche incassato l’appoggio di Pechino. «Tale insistente clamore e disinformazione da parte di alcuni Paesi occidentali creerà turbolenza e incertezza nel mondo pieno di sfide e intensificherà angoscia e divisione», ha dichiarato ieri il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin. Inoltre, dopo una telefonata avuta con Xi Jinping, Emmanuel Macron ha riferito che il leader cinese sosterrebbe l’attuazione degli accordi di Minsk.
La diplomazia intanto continua a lavorare. Ieri sera Luigi Di Maio si è recato a Mosca, dove stamane avrà un incontro con Lavrov. Ricordiamo che martedì scorso il nostro ministro degli Esteri era stato ricevuto a Kiev dall’omologo ucraino, Dmytro Kuleba. Sempre ieri, si è tenuta anche una telefonata tra Biden e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che martedì aveva avuto un meeting con Vladimir Putin a Mosca.