
Il deficit al 2,2% spingerà l'economia di un misero 0,2% l'anno. E il (mezzo) taglio al cuneo vale solo uno 0,1%.Un vecchio detto dei banchieri recita che «i bilanci sono come il bikini: le parti più interessanti restano nascoste». Forse lo stesso potremmo pensare della Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) pomposamente commentata l'altro ieri dal premier Giuseppe Conte e dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. Centoventi pagine di numeri, grafici e tabelle che aggiornano ogni anno, a fine settembre, quanto contenuto nel Documento di economia e finanza presentato pochi mesi prima, ad aprile. L'essenziale che la Nadef non mostra è costituito dai contenuti della legge di bilancio che verrà presentata al Parlamento fra un paio di settimane. Ma già si intuisce quel che ci aspetta ad ottobre. Si comincia con l'obiettivo di deficit che «Giuseppi» e i suoi ministri si propongono. Il 2,2%; più o meno la stessa cifra che Conte propose ad ottobre dello scorso anno (2,4%) per il 2019, salvo poi ritracciare al 2,04%. Se i numeri di allora - secondo il Pd - erano tali da sconquassare le nostre finanze pubbliche, perché questi non dovrebbero fare altrettanto? Mentivano allora e mentono ora. Il 2,04%, ma pure il 2,4%, non avrebbero messo a repentaglio i conti pubblici allora - come infatti è accaduto - e il 2,2% proposto oggi (che è lo stesso livello di deficit che dovremmo registrare nel 2019) farà un bel nulla ai conti pubblici, ma soprattutto non farà nulla all'economia. Proprio così: e non siamo noi a dirlo, ma loro. La preannunciata legge di bilancio produrrà infatti un impatto sul tasso di crescita del nostro Pil pari allo 0,2%. A legislazione vigente, e senza altri interventi, la nostra economia è infatti prevista raggiungere nel 2020 lo 0,4%. Grazie ai numeri della prossima legge di bilancio invece arriveremo allo 0,6%. Come questi numeri possano risollevare le sorti di un Paese che ha cinque milioni di italiani in povertà assoluta, quasi sei milioni di disoccupati (conteggiando in questa cifra anche coloro che, pur non cercando un impiego, lavorerebbero), un meno 20% della produzione industriale dal 2000 senza avere sostanzialmente un euro in più di reddito pro capite rispetto ad allora, rimane un mistero. E nel 2021 si prevede una maggiore crescita sempre pari allo 0,2%. Quanto poi alle misure forti che consentono di arrivare a questi straordinari risultati scappa quasi da ridere. Il piatto forte è dato dal mancato aumento dell'Iva. Spieghiamoci bene. Da anni per ossequiare i guardiani dell'Europa ci imponiamo l'aumento dell'Iva nell'anno successivo, salvo scoprire che se invece disobbedissimo a questa assurdità la nostra economia crescerebbe di più rispetto a quanto accadrebbe se aumentassimo l'imposta. Vantarsi di non aumentare l'Iva e scoprire che è meglio che aumentarla è un po' come vantarsi di prevedere che il giorno dopo sorgerà il sole. Comunque, è già un risultato rispetto al ventilato aumento selettivo, se così sarà. Quanto all'impatto del tanto sbandierato taglio del cuneo fiscale (cioè i contributi), il risultato in termini di maggior crescita finale è pari a un mirabolante... +0,1%. Tutti i fattori esogeni di debolezza dell'economia internazionale riportano il tutto a un misero 0,2% di maggiore crescita. Le tanto sbandierate pacche sulle spalle che questo governo si vantava di ricevere da Bruxelles, e che si sarebbero - a loro dire - tradotti in un più benevolo atteggiamento sulla legge di bilancio si sono quindi trasformati in un pacco. Neanche uno 0,2% di deficit in più. Poco più di tre miliardi. Una miseria. Senza contare che, a legislazione vigente, la pressione fiscale riporta, sempre nella Nadef, un robusto aumento della pressione fiscale: vedremo se gli interventi finali su Iva e cuneo avranno effetti positivi.Post scriptum: ricorderete la storiella, da noi sulla Verità sempre sistematicamente sbugiardata, dell'esplosione dei tassi di interesse sul debito dovuti alla mancanza di credibilità del governo giallo verde. Ebbene, come è ovvio che fosse, avevamo ragione noi e la Nota di Giuseppi a pagina 11 lo conferma. Nel 2017 gli interessi sul debito erano il 3,8% del Pil. Nel 2018 invece il 3,7%. Nel 2019? Il 3,4%. In termini assoluti, il costo pagato per onorare il nostro debito cala, dal 2018 al 2019, di oltre tre miliardi. Sia messo agli atti.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




