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2022-10-13
La Corte dei conti Ue boccia Bruxelles: bilancio in pericolo, basta miliardi a Kiev
Paolo Gentiloni (Ansa)
Ieri a Bruxelles è stata presentata la relazione annuale sull’esecuzione del bilancio dell’Unione europea per l’esercizio finanziario 2021. La notizia principale è che, nonostante imponga controlli strettissimi sui bilanci dei suoi Paesi membri, l’Unione europea non è altrettanto solerte per quanto riguarda la sua gestione. Secondo la Corte dei conti europea, infatti, ci sono ancora troppi errori nei pagamenti. Si è rilevato che il livello cumulativo degli errori nelle spese finanziate dal bilancio dell’Ue è aumentato nel 2021, raggiungendo il 3,0 % (nel 2020 era del 2,7 %). Ma cosa vuol dire errore? Si intende una somma di denaro che non avrebbe dovuto essere posta a carico del bilancio dell’Ue. Questi errori quindi avvengono quando i fondi non sono impiegati in conformità alla normativa Ue applicabile e, quindi, non sono spesi come previsto dal Parlamento europeo e dal Consiglio all’atto dell’approvazione; oppure, quando i fondi non sono impiegati in conformità a specifiche norme nazionali. Nella relazione si evidenzia come i tassi di errore riflettono il livello di rischio: per le spese ad alto rischio, il livello di errore stimato era del 4,7 %, mentre le spese a basso rischio non sono inficiate da errori rilevanti. Circa due terzi (63,2%) delle spese sottoposte ad audit sono state ritenute ad alto rischio, anche in questo caso un aumento rispetto al 2020 (59 %) e agli esercizi precedenti.
L’elemento più preoccupante, però, è che la Corte vede ampi rischi per i fondi comunitari messi a disposizione per la crisi derivante della pandemia e per la guerra tra Russia e Ucraina. Con la grande differenza che il momento buio della pandemia è stato superato, ma per quanto riguarda la crisi ucraina le cose difficilmente andranno meglio nel breve termine.
Per il 2021 la Corte ha stabilito di esprimere due giudizi distinti sulla legittimità e regolarità delle spese: uno sul bilancio tradizionale dell’Ue e l’altro sull’Rrf (Recovery and resilience facility). Il giudizio su quest’ultimo è la prima volta che viene emesso e riguarda il pacchetto da 800 miliardi NextGeneration Eu, varato per rispondere alla crisi prodotta dalle restrizioni volute per contenere il coronavirus.
Il giudizio complessivamente è positivo in questo caso anche se la Corte ha valutato come deboli le valutazioni dei traguardi effettuate dalla Commissione. La richiesta è che queste valutazioni vengano migliorate. Come dicevamo però l’elemento più interessante riguarda il giudizio sulla legittimità e regolarità delle spese a titolo del bilancio dell’Ue, valutato dalla Corte come negativo. Nel bilancio gli impegni non ancora liquidati hanno raggiunto il livello record di 341,6 miliardi di euro. L’esposizione totale dell’Ue alle passività potenziali è aumentata di 146 miliardi di euro (111 %) nel 2021, da 131,9 miliardi di euro si è passati a 277,9 miliardi di euro. Questo è dovuto alle crisi piovute a pioggia sul sistema. Nello specifico sono state emesse obbligazioni per 91 miliardi per il finanziamento del pacchetto Next Generation Eu e un aumento di 50,2 miliardi di euro per l’assistenza finanziaria che serviva a proteggere l’occupazione e i lavoratori colpiti dalla crisi economica dovuta alla pandemia. Superata la crisi pandemica e le sue restrizioni, la Corte ha spostato la sua preoccupazione soprattutto sull’esposizione dovuta alla guerra in Ucraina perché le passività potenziali non potranno che crescere.
Alla fine del 2021 l’Ucraina ha ottenuto prestiti per un valore nominale di 4,7 miliardi di euro dall’Unione europea. Solo la Banca europea per gli investimenti gli ha concesso prestiti per un valore di 2,1 miliardi di euro, garantiti dall’Unione. La Corte raccomanda alla Commissione di «informare l’autorità di bilancio sui fattori che contribuiscono all’andamento degli impegni non ancora liquidati e adottare adeguati provvedimenti per pervenire ad una graduale riduzione di tali impegni nel lungo periodo». Tradotto si chiede di smettere di promettere soldi se poi non ci possiamo permettere di darli. Inoltre chiede di: «monitorare da vicino il crescente rischio che le passività potenziali del bilancio dell’Ue si concretizzino per effetto della guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina e intraprendere le necessarie misure per garantire che gli strumenti di mitigazione del rischio mantengano una sufficiente capacità». Anche qui in parole povere vuol dire: occhio che la guerra potrebbe diventare per l’Europa un pozzo senza fondo. Un’ultima valutazione, in questo caso però non si tratta di una novità, riguarda i fondi strutturali e d’investimento europei (fondi Sie). Nel 2021 i pagamenti totali cumulati per i programmi operativi finanziati dai fondi 2014-2020 sono ammontati a 331,1 miliardi di euro, su un totale di 492 miliardi di euro (67 %). La Corte evidenzia che persistono le significative differenze tra Stati membri nel tasso di assorbimento di questi fondi. Mentre Irlanda, Finlandia e Cipro, ad esempio, hanno richiesto oltre tre quarti dei fondi loro assegnati, i tre paesi Ue con i tassi di assorbimento più bassi (Croazia, Slovacchia e Malta) hanno utilizzato solo poco più della metà dei fondi loro destinati. L’Italia ne ha chiesti finora il 62%.
Con Nord Stream ko, Berlino «scopre» la solidarietà
«Everything but the girl» (Tutto tranne la ragazza): così negli anni ‘80 in Inghilterra un grande negozio di arredamenti prometteva ai clienti di fornire loro tutto per la camera da letto, tranne, naturalmente, la ragazza. Everything but the cap (tutto tranne il tetto) può essere invece la sintesi della giornata di ieri a Praga, dove si sono riuniti i 27 ministri dell’energia dell’Unione europea per trovare soluzioni alla crisi energetica in atto da un anno e mezzo. Dei contenuti del non-paper firmato da Germania e Olanda, circolato alla vigilia, è stato accolto praticamente tutto, mentre per il tetto al prezzo del gas tanto caro a Roberto Cingolani, ancora una volta, non c’è consenso e occorrono ulteriori discussioni.
Il Commissario europeo all’energia Kadri Simson in conferenza stampa ha elencato i punti su cui i rappresentanti degli Stati membri hanno trovato un accordo. Il primo punto è il mercato Ttf, «non più rappresentativo della realtà del mercato energetico dell’Ue, gonfia artificialmente i prezzi» (sic). La prossima settimana la Commissione presenterà un nuovo riferimento (benchmark) che terrà in considerazione altri prezzi di mercato, oltre al Ttf, e che dovrebbe limitare la volatilità dei prezzi. Il secondo punto su cui c’è consenso riguarda le ulteriori riduzioni della domanda di gas, necessarie nel momento in cui si decide di intervenire per calmierare i prezzi. Potrebbe quindi essere attivata l’emergenza gas a livello europeo, che imporrebbe risparmi obbligatori pari al 15% rispetto al riferimento. Terzo punto: solidarietà. Poiché gli Stati non hanno stipulato accordi di mutua solidarietà, tranne pochi casi, la Commissione proporrà un accordo di solidarietà standard applicabile da subito, in base al quale i Paesi più colpiti da carenza di gas riceverebbero aiuto. Infine, la Commissione proporrà di avviare gli acquisti congiunti di gas: «Ciò consentirà all’Ue di utilizzare il nostro potere d’acquisto collettivo per limitare i prezzi ed evitare che gli Stati membri si sorpassino a vicenda sul mercato, aumentando così i prezzi. Il nostro focus sarà il coordinamento e l’aggregazione del riempimento degli stoccaggi di gas per il prossimo inverno», ha concluso Simson.
Rispondendo alle domande, il Commissario ha chiarito che meglio del price cap sarebbe, prima, rinegoziare direttamente con i fornitori «ma se, ciò non fosse possibile, la Commissione valuterà un meccanismo per limitarli».
Questo è l’unico accenno al price cap, molto indiretto, peraltro. L’altro tema caldo della riunione era la separazione dei meccanismi di formazione del prezzo dell’energia elettrica a seconda della fonte utilizzata, il cosiddetto disaccoppiamento. Il non-paper tedesco, cui l’Olanda si è accodata per non dare l’idea che la Germania sia il dominus della situazione (senza riuscirvi granché), metteva in guardia dall’adottare tale separazione, senza prima fornire una approfondita valutazione di impatto. Infatti durante la riunione si è frenato anche molto sull’ipotesi di adottare un tetto al prezzo del gas sul modello spagnolo, cioè limitato al gas utilizzato per la generazione elettrica: «Vedremo nel fine settimana come procedere con il tetto del gas per la produzione di energia elettrica e se a questo punto la proposta gode di un’ampia maggioranza a favore di questa misura».
Simson ha poi detto che entro la fine dell’anno la Commissione presenterà una proposta di riforma del mercato elettrico europeo, ma oggi dicembre appare lontanissimo.
Ancora una volta, la Germania esce vincente da un round di negoziazioni, bloccando derive indesiderate (tetti ai prezzi, disaccoppiamento) e portando a casa ciò che le interessa, ovvero la solidarietà e gli acquisti congiunti di gas. Ora che non c’è più il cordone ombelicale rappresentato dai due gasdotti Nord Stream, la messa in comune della enorme posizione di acquisto europea può aiutare la Germania ad abbassare i prezzi all’ingrosso e dunque a preservarne la competitività. Per l’Italia, magro raccolto: il benchmark non è un tetto e i razionamenti si faranno più vincolanti. Il 20 ottobre seguirà nuovo episodio della serie.
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L’analisi della gestione finanziaria: l’Europa spende troppo e male. Il Covid e la guerra potrebbero mandarla in default.L’Italia non riesce a spuntarla nel summit dei 27: niente price cap e razionamenti più vincolanti. Ma ok agli acquisti comuni di gas.Lo speciale contiene due articoliIeri a Bruxelles è stata presentata la relazione annuale sull’esecuzione del bilancio dell’Unione europea per l’esercizio finanziario 2021. La notizia principale è che, nonostante imponga controlli strettissimi sui bilanci dei suoi Paesi membri, l’Unione europea non è altrettanto solerte per quanto riguarda la sua gestione. Secondo la Corte dei conti europea, infatti, ci sono ancora troppi errori nei pagamenti. Si è rilevato che il livello cumulativo degli errori nelle spese finanziate dal bilancio dell’Ue è aumentato nel 2021, raggiungendo il 3,0 % (nel 2020 era del 2,7 %). Ma cosa vuol dire errore? Si intende una somma di denaro che non avrebbe dovuto essere posta a carico del bilancio dell’Ue. Questi errori quindi avvengono quando i fondi non sono impiegati in conformità alla normativa Ue applicabile e, quindi, non sono spesi come previsto dal Parlamento europeo e dal Consiglio all’atto dell’approvazione; oppure, quando i fondi non sono impiegati in conformità a specifiche norme nazionali. Nella relazione si evidenzia come i tassi di errore riflettono il livello di rischio: per le spese ad alto rischio, il livello di errore stimato era del 4,7 %, mentre le spese a basso rischio non sono inficiate da errori rilevanti. Circa due terzi (63,2%) delle spese sottoposte ad audit sono state ritenute ad alto rischio, anche in questo caso un aumento rispetto al 2020 (59 %) e agli esercizi precedenti.L’elemento più preoccupante, però, è che la Corte vede ampi rischi per i fondi comunitari messi a disposizione per la crisi derivante della pandemia e per la guerra tra Russia e Ucraina. Con la grande differenza che il momento buio della pandemia è stato superato, ma per quanto riguarda la crisi ucraina le cose difficilmente andranno meglio nel breve termine.Per il 2021 la Corte ha stabilito di esprimere due giudizi distinti sulla legittimità e regolarità delle spese: uno sul bilancio tradizionale dell’Ue e l’altro sull’Rrf (Recovery and resilience facility). Il giudizio su quest’ultimo è la prima volta che viene emesso e riguarda il pacchetto da 800 miliardi NextGeneration Eu, varato per rispondere alla crisi prodotta dalle restrizioni volute per contenere il coronavirus. Il giudizio complessivamente è positivo in questo caso anche se la Corte ha valutato come deboli le valutazioni dei traguardi effettuate dalla Commissione. La richiesta è che queste valutazioni vengano migliorate. Come dicevamo però l’elemento più interessante riguarda il giudizio sulla legittimità e regolarità delle spese a titolo del bilancio dell’Ue, valutato dalla Corte come negativo. Nel bilancio gli impegni non ancora liquidati hanno raggiunto il livello record di 341,6 miliardi di euro. L’esposizione totale dell’Ue alle passività potenziali è aumentata di 146 miliardi di euro (111 %) nel 2021, da 131,9 miliardi di euro si è passati a 277,9 miliardi di euro. Questo è dovuto alle crisi piovute a pioggia sul sistema. Nello specifico sono state emesse obbligazioni per 91 miliardi per il finanziamento del pacchetto Next Generation Eu e un aumento di 50,2 miliardi di euro per l’assistenza finanziaria che serviva a proteggere l’occupazione e i lavoratori colpiti dalla crisi economica dovuta alla pandemia. Superata la crisi pandemica e le sue restrizioni, la Corte ha spostato la sua preoccupazione soprattutto sull’esposizione dovuta alla guerra in Ucraina perché le passività potenziali non potranno che crescere. Alla fine del 2021 l’Ucraina ha ottenuto prestiti per un valore nominale di 4,7 miliardi di euro dall’Unione europea. Solo la Banca europea per gli investimenti gli ha concesso prestiti per un valore di 2,1 miliardi di euro, garantiti dall’Unione. La Corte raccomanda alla Commissione di «informare l’autorità di bilancio sui fattori che contribuiscono all’andamento degli impegni non ancora liquidati e adottare adeguati provvedimenti per pervenire ad una graduale riduzione di tali impegni nel lungo periodo». Tradotto si chiede di smettere di promettere soldi se poi non ci possiamo permettere di darli. Inoltre chiede di: «monitorare da vicino il crescente rischio che le passività potenziali del bilancio dell’Ue si concretizzino per effetto della guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina e intraprendere le necessarie misure per garantire che gli strumenti di mitigazione del rischio mantengano una sufficiente capacità». Anche qui in parole povere vuol dire: occhio che la guerra potrebbe diventare per l’Europa un pozzo senza fondo. Un’ultima valutazione, in questo caso però non si tratta di una novità, riguarda i fondi strutturali e d’investimento europei (fondi Sie). Nel 2021 i pagamenti totali cumulati per i programmi operativi finanziati dai fondi 2014-2020 sono ammontati a 331,1 miliardi di euro, su un totale di 492 miliardi di euro (67 %). La Corte evidenzia che persistono le significative differenze tra Stati membri nel tasso di assorbimento di questi fondi. Mentre Irlanda, Finlandia e Cipro, ad esempio, hanno richiesto oltre tre quarti dei fondi loro assegnati, i tre paesi Ue con i tassi di assorbimento più bassi (Croazia, Slovacchia e Malta) hanno utilizzato solo poco più della metà dei fondi loro destinati. L’Italia ne ha chiesti finora il 62%.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-corte-dei-conti-ue-boccia-bruxelles-bilancio-in-pericolo-basta-miliardi-a-kiev-2658442813.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-nord-stream-ko-berlino-scopre-la-solidarieta" data-post-id="2658442813" data-published-at="1665612825" data-use-pagination="False"> Con Nord Stream ko, Berlino «scopre» la solidarietà «Everything but the girl» (Tutto tranne la ragazza): così negli anni ‘80 in Inghilterra un grande negozio di arredamenti prometteva ai clienti di fornire loro tutto per la camera da letto, tranne, naturalmente, la ragazza. Everything but the cap (tutto tranne il tetto) può essere invece la sintesi della giornata di ieri a Praga, dove si sono riuniti i 27 ministri dell’energia dell’Unione europea per trovare soluzioni alla crisi energetica in atto da un anno e mezzo. Dei contenuti del non-paper firmato da Germania e Olanda, circolato alla vigilia, è stato accolto praticamente tutto, mentre per il tetto al prezzo del gas tanto caro a Roberto Cingolani, ancora una volta, non c’è consenso e occorrono ulteriori discussioni. Il Commissario europeo all’energia Kadri Simson in conferenza stampa ha elencato i punti su cui i rappresentanti degli Stati membri hanno trovato un accordo. Il primo punto è il mercato Ttf, «non più rappresentativo della realtà del mercato energetico dell’Ue, gonfia artificialmente i prezzi» (sic). La prossima settimana la Commissione presenterà un nuovo riferimento (benchmark) che terrà in considerazione altri prezzi di mercato, oltre al Ttf, e che dovrebbe limitare la volatilità dei prezzi. Il secondo punto su cui c’è consenso riguarda le ulteriori riduzioni della domanda di gas, necessarie nel momento in cui si decide di intervenire per calmierare i prezzi. Potrebbe quindi essere attivata l’emergenza gas a livello europeo, che imporrebbe risparmi obbligatori pari al 15% rispetto al riferimento. Terzo punto: solidarietà. Poiché gli Stati non hanno stipulato accordi di mutua solidarietà, tranne pochi casi, la Commissione proporrà un accordo di solidarietà standard applicabile da subito, in base al quale i Paesi più colpiti da carenza di gas riceverebbero aiuto. Infine, la Commissione proporrà di avviare gli acquisti congiunti di gas: «Ciò consentirà all’Ue di utilizzare il nostro potere d’acquisto collettivo per limitare i prezzi ed evitare che gli Stati membri si sorpassino a vicenda sul mercato, aumentando così i prezzi. Il nostro focus sarà il coordinamento e l’aggregazione del riempimento degli stoccaggi di gas per il prossimo inverno», ha concluso Simson. Rispondendo alle domande, il Commissario ha chiarito che meglio del price cap sarebbe, prima, rinegoziare direttamente con i fornitori «ma se, ciò non fosse possibile, la Commissione valuterà un meccanismo per limitarli». Questo è l’unico accenno al price cap, molto indiretto, peraltro. L’altro tema caldo della riunione era la separazione dei meccanismi di formazione del prezzo dell’energia elettrica a seconda della fonte utilizzata, il cosiddetto disaccoppiamento. Il non-paper tedesco, cui l’Olanda si è accodata per non dare l’idea che la Germania sia il dominus della situazione (senza riuscirvi granché), metteva in guardia dall’adottare tale separazione, senza prima fornire una approfondita valutazione di impatto. Infatti durante la riunione si è frenato anche molto sull’ipotesi di adottare un tetto al prezzo del gas sul modello spagnolo, cioè limitato al gas utilizzato per la generazione elettrica: «Vedremo nel fine settimana come procedere con il tetto del gas per la produzione di energia elettrica e se a questo punto la proposta gode di un’ampia maggioranza a favore di questa misura». Simson ha poi detto che entro la fine dell’anno la Commissione presenterà una proposta di riforma del mercato elettrico europeo, ma oggi dicembre appare lontanissimo. Ancora una volta, la Germania esce vincente da un round di negoziazioni, bloccando derive indesiderate (tetti ai prezzi, disaccoppiamento) e portando a casa ciò che le interessa, ovvero la solidarietà e gli acquisti congiunti di gas. Ora che non c’è più il cordone ombelicale rappresentato dai due gasdotti Nord Stream, la messa in comune della enorme posizione di acquisto europea può aiutare la Germania ad abbassare i prezzi all’ingrosso e dunque a preservarne la competitività. Per l’Italia, magro raccolto: il benchmark non è un tetto e i razionamenti si faranno più vincolanti. Il 20 ottobre seguirà nuovo episodio della serie.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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