
Domani la Corte costituzionale stabilirà se l'accademica Giulia Geymonat e sua moglie possono essere registrate entrambe come genitrici del piccolo Paolo, concepito in Danimarca. Una sentenza positiva darebbe il via libera al mercato della vita.Per rendersi conto che qualcosa non funziona e che la biologia è stata sostituita con la burocrazia, basta prestare attenzione al linguaggio e contare tutti i passaggi necessari alla produzione di una vita. Il piccolo Paolo, 4 anni, dovrebbe avere due madri. La prima è Giulia Garofalo Geymonat, 41 anni, ricercatrice di sociologia a Ca' Foscari e un cognome importante: è nipote del grande filosofo Ludovico Geymonat, nobiltà accademica insomma. L'altra madre si chiama Denise Rinehart, è americana, e gestisce una compagnia teatrale. Meraviglie della globalizzazione: Paolo è stato concepito in una clinica danese grazie a un donatore di seme, è nato in Italia, a Pontedera, e vive a Venezia. Le sue «due mamme» sono sposate negli Stati Uniti, dove il piccolo è riconosciuto come figlio di entrambe. Quando le donne si sono presentate al Comune di Pisa chiedendo di essere registrate entrambe come madri, i funzionari si sono opposti. La disputa ha subito imboccato il sentiero giudiziario e il Tribunale di Pisa ha deciso di rivolgersi alla Corte costituzionale. La quale domani, dopo una udienza pubblica, dovrà decidere se Paolo possa effettivamente avere «due madri».«Sono la mamma di un bambino meraviglioso che ho cullato e tenuto in braccio dal primo istante di vita, eppure per la legge italiana non esisto», dice Giulia Garofalo Geymonat a Repubblica. «Esisto per le maestre del nido, per il pediatra, per i genitori degli amichetti, ma per lo Stato no, sono un fantasma senza diritti né doveri verso un figlio che ho voluto e desiderato, esattamente come mia moglie che lo ha partorito». Il Tribunale pisano si è rivolto alla Consulta poiché il giudice «ravvisa un contrasto tra la circostanza che la madre intenzionale - che ha dato il proprio consenso alla procreazione assistita (ed è, secondo l'ordinamento straniero, sposata con la madre gestazionale) - risulta, secondo la legge straniera [...], come genitore e l'impossibilità di formare in Italia un atto di nascita in cui un figlio risulti avere due genitori dello stesso sesso». Ecco, in queste parole c'è tutto. Attenzione al linguaggio, dicevamo. Qui abbiamo una «madre gestazionale», cioè Denise, la donna che materialmente ha partorito il figlio. E poi abbiamo una «madre intenzionale», ovvero Giulia. La quale ci tiene a rimarcare proprio questo fatto: lei il figlio lo ha «voluto e desiderato». E poiché lo ha «desiderato», allora è suo. Questo è il concetto fondamentale: per diventare genitori basta «desiderare» un figlio. Ciò che si vuole bisogna per forza ottenerlo. È più o meno quanto stabilisce anche una storica sentenza della Corte d'appello di Napoli risalente al luglio del 2018. I giudici stabilirono che anche la madre non biologica «è genitore sin dalla nascita se ha accettato e condiviso il progetto della procreazione assistita di un figlio». Siamo di fronte a un cambiamento antropologico enorme. Lo ha notato tra i primi il sociologo francese Marcel Gauchet in un saggio intitolato Il figlio del desiderio (Vita e pensiero). Egli spiega che oggi «la procreazione si muove interamente nella dimensione culturale, non è più vista come un processo vitale che coinvolge gli umani imponendo loro la sua cieca necessità e sopra la quale gli umani devono poi imporre la loro. Quello che conta non è il meccanismo della riproduzione, ma il desiderio che lo attiva, il progetto di coloro che lo mettono in opera». Se conta soltanto il desiderio, non importa più come il bambino venga al mondo. Utero in affitto, fecondazione artificiale tramite donatore anonimo... Tutto va bene. Dopo tutto, la vita è un bene commerciale come un altro, un prodotto da acquistare dove è possibile, e alle migliori condizioni. Se domani la Consulta darà ragione a Giulia e Denise, tutto ciò verrà sdoganato, e per le coppie omogenitoriali basterà andare all'estero e poi ritornare in Italia con uno o più pargoli per diventare a tutti gli effetti genitori. Il punto, però, è che il drammatico mutamento sociale è già avvenuto. Nell'era dei «figli del desiderio» ci siamo già. Come nota Gauchet, «il figlio desiderato è anche, per definizione, il figlio rifiutato». Se la biologia viene gettata dalla finestra, non resta che la volontà personale. I figli, oggi, sono «una scelta». E i più «scelgono» di non farli (anche perché spesso non ne hanno la possibilità), come dimostrano i dati sulle nascite: è l'altra faccia del desiderio senza limiti delle coppie arcobaleno. Non solo. Se conta solo il desiderio, i genitori naturali non valgono più nulla. A costoro si possono togliere i bambini senza particolari preoccupazioni, dopo tutto bisogna tutelare «l'intenzionalità», bisogna che i figli li abbia chi li vuole di più. Conta il desiderio: questa è la legge del sistema dominante. E il desiderio va saziato, in un modo o nell'altro. Se poi questo significa istituzionalizzare nei fatti il mercato della vita, poco importa. In fondo, chi ha la volontà ha pure il «diritto» di essere accontentato.
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.