
È assurdo che i giudici obblighino il generale assolto in sede penale a risarcire i parenti dei caduti. Il governo intervenga.Il 12 novembre del 2003 ero all'aeroporto di Ciampino per il saluto del governo al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in partenza per gli Stati Uniti, quando arrivò inaspettata la notizia dell'attentato a Nassiriya. Con Arrigo Levi il presidente stilò immediatamente un comunicato che con grande dignità e compostezza, assieme al dolore per le vittime e i loro famigliari, ribadiva la determinazione dell'Italia a non ritirarsi dall'impegno per la pace.Nella primavera del 2017 ero all'Accademia militare di Modena assieme all'allora ministro della Difesa, Roberta Pinotti, a commentare l'incredibile notizia che il generale Bruno Stano, comandante del contingente italiano in Iraq, dopo essere stato assolto in sede penale dall'accusa di imperizia e negligenza, era stato condannato dalla Corte d'appello civile a risarcire di tasca sua i parenti delle vittime. Tutti sottolinearono che era la fine delle forze armate e del ruolo stesso di comando se i responsabili in zona di guerra, assolti penalmente e non avendo avuto nessun richiamo disciplinare, dovessero farsi carico personalmente in sede civile del risarcimento per le eventuali perdite subite. Ma, mi spiegò allora il ministro, la Difesa preferiva tenere un basso profilo nella vicenda, nella convinzione che la Cassazione avrebbe rimediato a questa surreale decisione. Purtroppo nei giorni scorsi la Cassazione civile ha confermato la condanna nel silenzio pressoché totale della politica e delle istituzioni.Ma se si vanno a leggere le motivazioni della sentenza penale si scopre che per ragioni politiche al nostro contingente in Iraq non erano stati assegnati carri armati pesanti, i reparti del genio erano stati dimezzati perché divisi tra Iraq e Afghanistan, la base dei carabinieri era stata posta al centro di Nassirya per poter «fraternizzare con la popolazione», il che impediva la chiusura dei ponti sull'Eufrate eccetera.La Cassazione civile dice che il generale Stano, da appena un mese arrivato in Iraq con la Brigata Sassari, aveva avuto dai servizi notizie di possibili attentati: ma nelle condizioni date che poteva fare per fermare un camion bomba suicida con una carica esplosiva otto volte più potente di quella della strage di Capaci, in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone?È evidente che ragionando così ogni comandante che perde uomini in zona di guerra diventa oggettivamente responsabile personalmente e patrimonialmente della loro morte, anche se dopo i soliti eterni processi penali italiani viene assolto pienamente da ogni responsabilità. Sono anni che denunciamo invano questa follia delle sentenze di Cassazione penale che vengono contraddette dalla Cassazione civile, come nel caso di Ustica, dove nel processo penale la Cassazione ha assolto tutti i generali dell'Aeronautica scrivendo nero su bianco che non c'è mai stata né battaglia aerea né missile, bollate come ipotesi da fantascienza, mentre quella civile fa sborsare agli italiani circa mezzo miliardo di euro di risarcimenti, che si aggiungono ai 62 milioni di indennizzo, stabilendo senza nessuna prova che quella del missile è una «causa più probabile che non».Facevo parte del governo (Berlusconi 2) che stabilì le modalità di intervento delle nostre forze armate in Iraq: se erano sbagliate è lo Stato che se ne deve fare carico, se le leggi in vigore non lo permettono bisogna cambiare le leggi, ma è vergognoso che si addossi la colpa dell'accaduto a un caprio espiatorio che la nostra stessa giustizia ha riconosciuto essere innocente.Speriamo che il presidente del Consiglio, che si è definito avvocato degli italiani, distraendosi un attimo dalla fondamentale operazione di nomina dei sottosegretari, e soprattutto il nuovo ministro della Difesa, intervengano con decisione su questa vicenda che ci copre di ridicolo in tutto il mondo.
2025-12-02
Su Netflix arriva «L’amore è cieco», il reality che mette alla prova i sentimenti al buio
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«L’amore è cieco» (Netflix)
Il nuovo reality di Netflix riunisce single che si conoscono senza vedersi, parlando attraverso cabine separate. Solo dopo dieci giorni al buio possono incontrarsi e capire se la sintonia nata dalle parole regge alla realtà.
L'amore è cieco, sulla cui locandina campeggiano sorridenti Fabio Caressa e Benedetta Parodi, dovrebbe portare con sé un punto di domanda: qualcosa che lasci aperto agli interrogativi, al dubbio, all'idea che no, l'amore possa avere bisogno di vederci benissimo. Lo show, il cui titolo rievoca la saggezza (presunta) popolare, cerca di provare empiricamente la veridicità del detto. Non è, dunque, un dating show canonico, in cui single stanchi della propria solitudine si mettano a disposizione di chi, come loro, voglia trovare una controparte per la vita.
Le nuove foto di Andrea Sempio davanti a casa Poggi nel giorno del delitto riaccendono il caso e scatenano lo scontro mediatico. Mentre la rete esplode tra polemiche, perizie discusse e toni sempre più accesi, emergono domande che le indagini dell’epoca non hanno mai chiarito: perché nessuno ha registrato questi dettagli? Perché certi verbali sono così scarni? E soprattutto: come si intrecciano queste immagini con il DNA compatibile con la linea paterna di Sempio?
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- Il caso della famiglia del bosco ha portato molti commentatori a ribadire che la prole non appartiene ai genitori. Peccato che quando si tratta di farne compravendita o di ucciderli nel grembo se ne dimentichino sempre.
- La famiglia Trevallion ha spiazzato gli analisti perché trasversale a categorie tradizionali come ricchi contro poveri o colti contro ignoranti. E la gente li ama più delle istituzioni.
Lo speciale contiene due articoli.
Va molto di moda ribadire che i figli non appartengono ai genitori. Lo ha detto Fabio Fazio chiacchierando amabilmente con Michele Serra nel suo salotto: entrambi concordavano sul fatto che i bambini non sono oggetti e devono essere liberi, semmai indirizzati da famiglie, scuola, istituzioni. Lo ha ripetuto ieri sulla Stampa pure lo scrittore Maurizio Maggiani, in prima pagina, prendendosela con la famiglia del bosco e con quello che a suo dire è il delirio dei due genitori. «Non ho nessuna ragione per discutere delle scelte personali», ha spiegato, «non finché diventino un carico per la comunità, nel qual caso la comunità ha buoni motivi per discuterle. Mi interessa invece proprio perché non si tratta di scelta personale, visto che coinvolge i figli, e i figli non sono sé, non sono indistinguibili da chi li ha generati, ma sono per l’appunto altri da sé, individualità aventi diritti che non discendono da un’elargizione dell’autorità paterna o materna, così come sancito dalla Costituzione e dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza».
Ecco #DimmiLaVerità del 2 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso dossieraggi.






