Nella vicenda in cui sono coinvolti Luca Casarini, Beppe Caccia e la loro nave Mediterranea un ruolo importante ha avuto la città di Modena. Come ampiamente e dettagliatamente spiegato dall’inchiesta della Verità, infatti, la Diocesi di Modena, guidata dall’Arcivescovo Erio Castellucci, ha inviato contributi per la causa di quei due signori e concesso a don Mattia Ferrari di imbarcarsi su quella nave per diventare loro stretto collaboratore di fatto.
Come spesso accade in Italia, indagando la Procura di Ragusa Luca Casarini e altre cinque persone per favoreggiamento, decine di intercettazioni sono diventate pubbliche, svelando retroscena a dir poco clamorosi sulle trame per ottenere finanziamenti dalle Diocesi italiane e sugli ingenerosi, volgari e a volte offensivi giudizi rivolti proprio a quelli a cui chiedevano aiuto. La vicenda è diventata così clamorosa da finire sul Corriere della Sera, che ha intervistato don Mattia, e su quasi tutti i quotidiani nazionali.
Posso scrivere su questa vicenda perché per mia fortuna ogni mattina leggo la rassegna stampa dei quotidiani nazionali mentre viceversa (con l’eccezione di La Pressa) la stampa locale, in particolare Gazzetta di Modena e Il Resto del Carlino cronaca di Modena, non hanno scritto una riga per raccontare ai lettori il ruolo della nostra Diocesi in questa storia.
Eppure devo dare atto al mio vescovo di aver pubblicamente espresso con franchezza la sua versione dei fatti, contrariamente alla strada del silenzio intrapresa da altri. Non solo don Erio ha parlato, ha anche scritto, e nello scrivere ha ammesso da galantuomo romagnolo che «si possono certo commettere errori nella destinazione degli aiuti». Ma gli errori li commette soltanto chi opera, e nella sua presa di posizione pubblica l’Arcivescovo ha spiegato in maniera esaustiva come per la Chiesa «prossimo» non è soltanto il famigliare ed il vicino di casa ma chiunque nel mondo abbia bisogno di aiuto spirituale e materiale. Proprio nel Vangelo troviamo in effetti la parabola del Buon Samaritano che invita ad aiutare il prossimo chiunque esso sia, però troviamo anche il primo esempio di errore nel fidarsi di una persona, commesso da Gesù Cristo nei confronti di tal Giuda Iscariota.
Come mi ripeteva scherzando l’indimenticabile amico don Pierino Gelmini, poiché i preti quando si tratta di soldi «o imbrogliano o si fanno imbrogliare», non c’è dubbio che i vescovi implicati in questa storia facciano parte della seconda categoria mentre laici e religiosi intercettati è molto probabile che facciano parte della prima. Morale della favola: per i cattolici è bene tenere sempre a mente che una delle quattro virtù cardinali è la prudenza e per i laici che «fidarsi è bene non fidarsi è meglio».
*Popolo e Libertà
Aprire la possibilità a coppie gay o lesbiche di adottare bambini, in Italia o all’estero, può essere una reale alternativa alla famigerata pratica dell’utero in affitto, per poter soddisfare il desiderio di essere genitori di un bambino orfano o abbandonato da quelli biologici? Avendo presieduto dal 2008 al 2011, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, la Cai (Commissione adozioni internazionali) posso con cognizione di causa affermare che la risposta è no.
Ricordo che nel 2011 eravamo arrivati alla cifra record di circa 4.000 bambini adottati all’estero quell’anno, mentre negli anni successivi, per ragioni diverse ma anche per il completo disinteresse dei governi successivi per questa tematica, si è scesi ai circa 500 dell’anno passato. Come ben sanno gli enti che si interessano di adozioni, da un lato le coppie italiane che intendono adottare devono essere tassativamente sposate, avere una certa età, redditi sufficienti e buona salute, tutti requisiti rigorosamente vagliati e accertati dai Servizi sociali e dai Tribunali dei minori, che devono concedere l’autorizzazione ad adottare. Malgrado ciò, in Italia è lunghissima la fila delle coppie ancora in attesa di adottare, che devono anche interfacciarsi con le regole dei paesi esteri che consentono l’adozione dei loro orfani.
Nelle missioni della Cai che ho guidato in Russia, Burkina Faso e Cambogia e nei tanti incontri a Roma con delegazioni estere, ho appurato come i Paesi che concedono i loro bambini in adozione pretendono un rigoroso rispetto di queste regole aggiungendone anche altre, come ad esempio la Cina, che non vuole genitori adottivi obesi in quanto a rischio di infarto. Non solo, pertanto, per ogni bambino adottabile all’estero c’è una lunga lista di aspiranti coppie italiane, dichiarate idonee, in lunga e paziente attesa, ma se quei Paesi, africani o no, semplicemente sospettassero che un loro bambino possa finire a una coppia omosessuale, romperebbero immediatamente i rapporti con il nostro Paese. La stessa situazione si registra per le adozioni nazionali, pochi bambini adottabili e tante coppie in attesa dopo aver superato tutti gli esami di idoneità.
Nelle adozioni nazionali e internazionali, infatti, «il superiore interesse del bambino», che ha già avuto la sfortuna di perdere i genitori, coincide con il suo diritto di trovare una famiglia, composta da un padre e una madre, che lo accolga.
Di certo gli enti che si interessano di adozioni internazionali si aspettano dal ministro Roccella un rilancio di questo importante istituto, con la semplificazione delle procedure che deve andare di pari passo con l’introduzione del reato universale per contrastare la pratica dell’utero in affitto. Per quale motivo, infatti, ricorrere all’adozione se è possibile recarsi all’estero e «comprarsi» un neonato con garanzia di perfezione, con tanto di clausole contrattuali che prevedono la sua eliminazione prima della nascita se durante la gravidanza per conto terzi compare qualche difetto?
Per sanare queste incredibili contraddizioni è necessario, allora, mettere fine a questo turpe mercato internazionale di bambini venduti e comprati e nel contempo definire a esaurimento i casi dei circa mille bambini (non 150.000 come sostiene l’onorevole Zan) che sono già stati commissionati all’estero e poi portati in Italia, utilizzando nei casi singoli l’istituto dell’adozione in casi speciali, previo consenso del Tribunale dei minorenni.
Sapendo bene tutti che, nel nostro Paese, sia i bambini nati nel matrimonio, sia quelli nati fuori dal matrimonio, sia quelli che comunque hanno un genitore italiano già godono degli stessi identici diritti e non sono vittime di nessun tipo di discriminazione.
Salvo quella di trovarsi privati, nel caso siano stati comprati da coppie lesbiche od omosessuali, del loro sacrosanto diritto, riconosciuto invece ai bambini adottati, di vivere e crescere con l’ amore di un padre e di una madre.
In un articolo pubblicato dal Giornale d'Italia Gilberto Bosco (pseudonimo di un noto giornalista di formazione cattolica che per incarichi ricoperti non usa il suo vero nome) prende in esame la frase di papa Francesco, rimbalzata sui media di tutto il mondo dopo la presentazione al Festival del Cinema di Roma del documentario Francesco del regista russo Evgeny Afineevsky, interpretata come una apertura al diritto di costituire famiglie gay.
Ecco la frase: «Gli omosessuali hanno diritto ad essere parte della famiglia. Sono figli di Dio e hanno il diritto ad una famiglia. Nessuno dovrebbe essere respinto o emarginato a causa di questo. Quello che dobbiamo fare è una legge per le unioni civili. Hanno il diritto di essere coperti legalmente. Mi sono battuto per questo».
Bosco, con una certosina opera di ricerca delle dichiarazioni di Bergoglio, prima cardinale a Baires poi Papa a Roma, proponendo e traducendo anche i testi dallo spagnolo, dimostra che quella frase è frutto di una manipolazione, nata dal combinato disposto di due affermazioni vere.
La prima è che il Papa ha parlato soltanto del diritto dei figli di vivere e di essere amati nella loro famiglia di origine, senza subire nessuna discriminazione, la seconda è che fece una grande battaglia da cardinale di Baires per sostenere che il matrimonio può esistere soltanto tra uomo e donna e che pertanto si dichiarò a suo tempo favorevole ad unioni civili per impedire discriminazioni e non arrivare al riconoscimento del matrimonio gay.
Bosco ricorda poi che nel 2013 chi scrive, assieme ai senatori Quagliariello e Sacconi, presentò al Senato un disegno di legge sui cosiddetti contratti di convivenza, che permettevano a chiunque facesse vita di coppia (parroco e perpetua, vedove che convivono, memores domini, zio e nipote, due fratelli, un uomo ed una donna, due uomini, due donne ecc. ) di risolvere questioni attinenti ai ricoveri ospedalieri, alla assistenza, a questioni successorie ecc..., senza indagare se vivono o no more uxorio.
Come può testimoniare chi ha vissuto tutta la vicenda parlamentare della proposta sulle unioni civili della senatrice Cirinnà (quella che gira con il cartello Dio Patria e Famiglia = vita di merda) non avemmo mai nessun contatto e tanto meno nessun segno di incoraggiamento da parte dell'allora segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino che viceversa dialogava attivamente con i sostenitori del testo Cirinnà che passò poi con il voto di fiducia del Parlamento con l'appoggio determinante del Nuovo centrodestra di Alfano e Lupi e naturalmente il nostro voto contrario (in quella occasione abbandonammo il Ncd per costituire Idea Popolo e Libertà).
Ora sappiamo che le unioni civili le voleva anche il Papa, ma quelle che volevamo anche noi o il testo Cirinnà che è passato in una versione talmente ambigua dall'aver sdoganato a livello giurisprudenziale le adozioni da parte di coppie gay addirittura quando i figli sono stati commissionati con il cosiddetto perverso e ripugnante meccanismo dell'«utero in affitto»?
Si tratta della legge in vigore che d'altra parte, dopo aver affermato all'art. 1 comma 1 che si tratta di «specifiche formazioni sociali» ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, al comma 20 sancisce che «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniugi" o termini equivalenti ovunque ricorrano... si applicano anche ad ognuna delle parti della unione civile tra persone dello stesso sesso».
Che è esattamente il contrario dell'obiettivo che il cardinale Bergoglio voleva raggiungere a Baires.
Altro che «formazioni sociali»: siamo arrivati al punto che i grandi giornali nazionali, per raccontare la recente uccisione di un partner di una unione civile da parte dell'altro partner, hanno scritto che il marito ha accoltellato... il marito.
Non so se la legge Cirinnà non sia stata contrastata da monsignor Galantino per leggerezza, insipienza giuridica o malafede ma il problema si ripropone proprio in questi giorni con le interpretazioni delle parole del Papa e soprattutto dopo la diffusione nel documentario, benedetto in Vaticano, della telefonata del Papa ad una coppia italiana di uomini, che si sono procurati due gemelli uno ed una bambina l'altro con maternità surrogata da una lesbica canadese che aveva già due figli per conto suo.
Spero che il Papa non fosse al corrente di questa situazione, il che spiegherebbe la mancanza di una parola di biasimo per una pratica non solo penalmente perseguibile in Italia ma segno di uno dei più ignobili sistemi di sfruttamento dei ricchi sui poveri nei casi in cui una donna è costretta dal bisogno a vendere il figlio che ha partorito.
Allora se è vero che errare humanum est, perseverare diabolicum, anche alla luce della recente intervista del vescovo di Altamura che si dichiara favorevole alla adozione dei bambini da parte delle coppie gay, è troppo chiedere una parola di chiarimento a papa Francesco che è l'unico che può dare una interpretazione autentica del proprio pensiero?





