2025-04-15
La Cina prova a strozzare l’Occidente. Bloccato l’export delle terre rare
L’alt per le consegne a Stati Uniti, Giappone, Germania e altre nazioni. Da quei materiali dipende anche il settore militare. L’esperto Aresu però invita alla cautela: «L’America potrebbe aver fatto magazzino».Nel mezzo di una crescente guerra commerciale con gli Stati Uniti, la Cina ha deciso di sospendere l’esportazione di alcune materie prime ritenute strategiche per le aziende dello Zio Sam, tra cui terre rare e metalli. Queste commodity sono essenziali per molti settori tecnologici avanzati, come la Difesa, l’elettronica, l’automotive, l’aerospaziale e i semiconduttori (cruciali per la produzione di strumenti digitali). Resta quindi da capire quali sono le scorte di terre rare di cui Washington dispone, finite le quali si rischia il tracollo di alcune settori chiave per gli States. Come se non bastasse, poi, il blocco riguarda anche Giappone, Germania e altri Paesi.Inoltre, come spiega il New York Times, il governo cinese sta sviluppando un nuovo sistema normativo che potrebbe vietare permanentemente l’accesso a queste materie prime ad alcune aziende, comprese alcune delle principali appaltatrici della Difesa degli Stati Uniti. Al momento, dunque, le spedizioni di magneti a base di terre rare sono bloccate in molti porti cinesi. Questi componenti sono fondamentali per tecnologie che vanno dalle auto ai droni, dai robot ai missili. In particolare, il 4 aprile, il governo cinese ha imposto nuove restrizioni sull’esportazione di sei metalli pesanti derivati dalle terre rare, tutti raffinati in Cina, insieme ai relativi magneti, di cui il Paese detiene circa il 90% della produzione mondiale. D’ora in poi, insomma, tutte le spedizioni estere richiederanno licenze speciali, che Pechino sta iniziando a implementare.Questa decisione ha sollevato molte preoccupazioni tra le aziende del settore. I vertici di queste compagnie temono che il processo per ottenere le licenze possa essere lungo e complicato, e che le scorte fuori dalla Cina possano esaurirsi rapidamente. Questo potrebbe causare gravi interruzioni per l’industria dell’auto e dell’elettronica, in particolare. Non solo, la situazione appare critica anche per alcune componenti legate ai motori a reazione, alla produzione di laser, sistemi di illuminazione, candele, condensatori e circuiti integrati per server di intelligenza artificiale e smartphone. In più, le differenze di scorte tra le diverse aziende rende anche difficile prevedere quando le interruzioni si tradurranno in blocchi produttivi. Va detto, inoltre, che molte aziende statunitensi hanno mantenuto scorte minime per ragioni finanziarie, una scelta che ora potrebbe rivelarsi controproducente. Tra le materie prime sotto controllo c’è, ad esempio, l’ossido di disprosio, utilizzato in applicazioni avanzate come motori elettrici e sistemi di guida. A Shanghai, il prezzo è di circa 204 dollari al chilo, ma fuori dalla Cina i prezzi sono molto più alti a causa delle incertezze sulle forniture.Per la prima volta nella sua storia, Nvidia ha reso noto che produrrà interamente un supercomputer per l’intelligenza artificiale negli Stati Uniti. L’azienda produrrà e testerà i suoi chip Blackwell in Arizona e i suoi supercomputer in Texas, secondo quanto comunicato all’interno del suo blog. Inoltre, Nvidia sta lavorando con Foxconn per dare il via a una fabbrica a Houston e con Wistron - società di Taiwan, come Foxconn - per una a Dallas. La volontà è di dare inizio alla produzione in circa 12-15 mesi. Entro quattro anni, Nvidia pianifica di produrre fino a 500 miliardi di dollari in infrastrutture per l’intelligenza artificiale negli Stati Uniti. C’è, però, anche chi getta acqua sul fuoco, spiegando che la limitazione di terre rare è di certo un problema, ma non di dimensioni così catastrofiche. «Il digitale non crollerebbe per mancanza di terre rare», afferma Alessandro Aresu, autore del libro dal titolo Geopolitica dell’intelligenza artificiale e consigliere scientifico di Limes, «perché si tratta di un settore che si basa sul silicio». Come spiega alla Verità l’esperto, sul tema serve, infatti, un chiarimento. Sebbene Pechino domini l’estrazione e la raffinazione di questi elementi, il loro ruolo è spesso «ingigantito dall’aggettivo rare». Il vero rischio, secondo gli analisti, risiede altrove: «Bisognerà capire quali riserve hanno gli Stati Uniti, quanto hanno fatto il cosiddetto stockpiling (stoccaggio, ndr) per Difesa ed elettronica». D’altronde, dice Aresu, si tratta di una «mossa prevedibile» perché la Cina da tempo usa le sue risorse come leva geopolitica. Al momento regna, però, l’incertezza. «Bisogna capire se questa mossa è qualcosa che va verso una situazione permanente oppure se, nel corso delle prossime settimane», qualcosa cambierà, osserva Aresu. «Non dobbiamo pensare che le terre rare siano l’unica cosa che conta nella tecnologia», avverte. La soluzione, come suggerito nel suo libro, sta nel «ricostruire queste filiere» e nel bilanciare risorse e innovazione. Una lezione che, tra scorte e diplomazia, potrebbe definire l’era della competizione tecnologica.Da parte degli Stati Uniti non sembrano essere arrivate reazioni ufficiali alla mossa cinese. Gli unici commenti hanno riguardato la tensione con Pechino in generale: il consigliere economico della Casa Bianca, Kevin Hassett, in un’intervista a Fox ha detto che «non ci aspettiamo una recessione quest’anno». Dal canto suo, il presidente Trump ha garantito che «i mercati saranno molto forti, una volta che si saranno abituati ai dazi». Ma tutta questa incertezza sta mettendo a dura prova i mercati, che non gradiscono per nulla questo tipo di guerra commerciale e sperano che tutto questo si fermi il prima possibile.