2020-11-25
«La Cina alimenta le cleptocrazie africane»
Tom Burges (Eric Lafforgue/Art in All of Us/Corbis via Getty Images)
Il giornalista autore del libro che descrive la macchia del saccheggio ai danni del continente nero: «Nei singoli Stati prosperano centri di potere parallelo sostenuti dallo sfruttamento delle materie prime. Pechino lo sa e ne utilizza l'avidità per avvantaggiarsi».«L'Africa per la Cina è stata una grande risorsa per approvvigionarsi di materie prime a costi bassissimi, anche fuori mercato, a cominciare dal petrolio, di cui aveva un grande bisogno per la sua economia in rapida crescita». E in cambio? Ce lo ha spiegato Tom Burgis, un giornalista del Financial Times, che per oltre dieci anni ha soggiornato in ben 24 Paesi africani, come inviato e corrispondente. I suoi servizi sono stati pubblicati anche su The Guardian, il Daily Telegraph e l'Observer. Ora in un libro di quasi 400 pagine, La macchina del saccheggio (Francesco Brioschi editore), ha raccontato il continente africano in ogni risvolto: economico, sociale e politico. Un continente, quello africano, che si può sintetizzate in tre cifre, che troneggiano anche nella controcopertina del libro: il 30 % delle risorse naturali, il 14 % della popolazione mondiale (900 milioni), il 43 per cento dei poveri di tutto il mondo. Non a caso gli economisti e gli esperti dello sviluppo definiscono questo continente - anche per l'intensità dei conflitti locali e le pandemie ricorrenti (aids, colera, sars, ecc.) - «la maledizione della ricchezza».«Nei molti anni di lavoro di Africa», dice Burgis, «sono sempre rimasto affascinato da come le forze dell'economia globale plasmino così tante vite africane. Quello che mi ha colpito di più è il modo in cui la corruzione e i conflitti fra Paesi vicini, anche se spesso alimentati da nazioni occidentali, siano ancora così frequenti. Ma in Occidente, Europa compresa, se ne parla molto poco». Lo diceva anche il missionario comboniano Alex Zanotelli, che ha vissuto per una vita in Africa: «Il continente che ha dato origine alla razza umana continua ad essere relegato in un angolo buio del nostro universo mediatico».«È vero. Credo però che sia proprio l'Italia ad occuparsene di meno; uno spazio maggiore alle vicende africane viene dedicato, invece, dai media di altri Paesi, come il Regno Unito, la Francia, il Belgio, la Spagna, il Portogallo e la Germania. Probabilmente perché questi Paesi hanno avuto una storia coloniale molto più lunga e più importante di quella italiana».Il risultato però, per citare un solo esempio, è che la notizia di oltre 200 morti in una regione al centro della Nigeria (giugno scorso) è stata riferita da pochi quotidiani con poche righe. Ma parliamo della Cina, che sembra aver conquistato il continente africano, riducendo o, in molti casi, marginalizzando la presenza di Paesi europei tradizionalmente presenti (Gran Bretagna e Francia, soprattutto) ma anche gli stessi Stati Uniti. Come lo spieghi ? «Partiamo dalle cifre. Secondo i dati del ministero del Commercio della Cina nel primo semestre 2019 (ultimo dato disponibile) il volume degli affari cino-africani ha superato di poco i 101 miliardi di dollari, con una crescita del 3%. Di questi le esportazioni cinesi in Africa sono state di 52,86 miliardi di dollari (più 5,2%) e le importazioni nel gigante asiatico 49 miliardi di dollari. Una cifra considerevole che va raddoppiata per tutto l'anno scorso».Questo documenta la crescita dei rapporti economici di Pechino con i Paesi africani. Ma qual è il segreto del successo degli strateghi cinesi ? «La ricerca di materie prime in Africa non è cominciata da poco: l'inizio risale agli anni Settanta. I destini della nazione più popolosa del mondo e del continente più povero del pianeta si erano intrecciati da molti anni. La domanda della prima contribuiva a determinare le prospettive economiche del secondo attraverso il prezzo delle materie prime. Due terzi delle importazioni cinesi dall'Africa erano determinate dal petrolio, il resto era rappresentato da altri materiali grezzi, soprattutto minerali. Si diceva sempre quando la Cina starnutisce, l'Africa si prende il raffreddore…».Ma, ripeto, quali sono le ragioni del grande interesse dei Paesi africani per la Cina, invece dei Paesi occidentali con cui hanno sempre commerciato ?«Non sono certo ragioni politiche. All'inizio, negli anni '70-'80, abilmente, gli uomini d'affari di Pechino concedevano prestiti ,anche senza garanzie, ai Paesi più ricchi di materie prime. Poi sono cominciati gli accordi di cooperazione, che prevedevano la costruzione di infrastrutture (strade, ferrovie, acquedotti, dighe, pozzi, ecc.), di centri abitati, ospedali, scuole, moschee e altri luoghi di culto, progettati e costruiti, con tecnici e manodopera cinese, in cambio di petrolio e altre materie prime (rame, ferro, uranio, coltan), ma anche di oro e diamanti».I gruppi dirigenti dei partiti formatisi con le guerre di indipendenza del Congo, Nigeria, Niger, Angola, Guinea e degli altri Paesi hanno accettato queste condizioni per sfruttare le immense risorse a beneficio della Cina ?«L'Africa è sempre stata una polveriera. I colpi di Stato erano e sono ancora oggi frequenti, così come la conflittualità permanente all'interno e all'esterno dei singoli Stati ,dove si susseguono anche i processi per corruzione, anche se con scarsa incidenza politica e sociale. I governi sono sempre alle prese con progetti mirati ad alleviare la diffusa povertà, ma con risultati sempre modesti. Lo sfruttamento delle materie prime resta una grande risorsa economica, che viene impiegata non solo per ripagare le opere che la Cina costruisce ma anche per sostenere i governi e gli Stati invisibili ,paralleli, esistenti in molti Paesi».Che cosa sono i «governi o gli Stati paralleli invisibili»? «Nell'industria delle risorse la corruzione è endemica. La cleptocrazia o il “governo dei ladri" continua a prosperare. Dopo le guerre di indipendenza, una volta ottenuto il potere, l'incentivo a separarsene è minimo. Le nuove classi dirigenti emergenti si consolidano e “governano", utilizzando al massimo i redditi generati dalle risorse naturali. I presidenti eletti (o autoeletti) diventano di fatto dittatori, che decidono liberamente a chi vendere le risorse minerarie e petrolifere, senza più freni ideologici e politici (come esistevano un tempo); decidono quali ricavi economici possono ottenere (magari da trasferire in banche estere) non solo per il proprio Stato, ma anche per la propria famiglia e per i fedelissimi del proprio clan. Ordinano anche il tipo e il quantitativo di armi e di armamenti dagli stessi partner commerciali, ovviamente al di fuori dei contratti ufficiali di cooperazione. Così è stato fatto con l'Angola, la Nigeria, il Congo e con molti altri Paesi. Pensi solo che i quattro governanti rimasti in carica più a lungo nella storia - Teodor Obiang Nguema della Guinea Equatoriale, Josè Eduardo dos Santos dell'Angola, Robert Mugabe dello Zimbabwe e Paul Biya del Camerun - presiedono ognuno uno Stato africano ricco di petrolio e di minerali. Facendo la somma sono stati al potere per 140 anni».Come viene organizzato questo grande saccheggio, interno ed esterno, a ciascun Paese ? « Quando parlavo di governi e/o Stati invisibili mi riferivo alle grandi società per azioni (alcune diventate anche multinazionali), costituite da privati ,militari o ex militari, con incarichi statali; a società miste pubblico-private ,come quelle che esistono in Angola, Congo, Guinea e Nigeria. In questo modo i governanti fanno i loro interessi (economici), senza sporcarsi le mani, utilizzando uomini fedelissimi che eseguono i loro ordini».E la Cina si è adeguata a questo modello di comportamento basato sulla corruzione dei gruppi dirigenti ? «Alla Cina non interessa il colore politico dei governi e dei singoli politici: per loro è il business che conta. Uno dei primi uomini d'affari arrivato negli anni scorsi in Angola (ma poi si è occupato a lungo anche del commercio con altri Stati africani) era Sam Pa. Si è scoperto, in seguito, che si trattava di una spia di Pechino, con un grande potere politico. Ma questo mitico manager venne arrestato nel 2015. Da allora non si sono avute più sue notizie: forse è stato fucilato, oppure si trova rinchiuso in qualche carcere. È stato arrestato per corruzione, ma probabilmente aveva pestato i piedi a qualche papavero del regime, che aveva altre mire. Pechino, ancora oggi, non fa mistero di voler continuare sulla strada degli accordi di cooperazione, anche con i regimi più corrotti dell'Africa. In altre parole, il saccheggio continua, senza che le Nazioni Unite, la Banca mondiale, il Wto, il Fmi e le altre organizzazioni internazionali (compresa l'Unione europea) abbiamo mai qualcosa da criticare».