Con i cinghiali è il flagello biblico dei campi. Spedita dai mercati globali grazie alle frontiere groviera dei porti del Nord Europa che hanno risibili controlli fitosanitari. Dove passa non cresce più nulla: si rischia di perdere tutta la frutta e il mais del Settentrione.
Con i cinghiali è il flagello biblico dei campi. Spedita dai mercati globali grazie alle frontiere groviera dei porti del Nord Europa che hanno risibili controlli fitosanitari. Dove passa non cresce più nulla: si rischia di perdere tutta la frutta e il mais del Settentrione.Ve lo ricordate M49, al secolo Papillon? No? Eppure è stato per molti giorni una star mediatica. È l'orso trentino riuscito a evadere per ben tre volte e che ora tutti cercano: chi per farlo fuori, chi per salvarlo. Ma per un orso che scappa ci sono migliaia di cinghiali che devastano tutto e c'è oggi nelle campagne un altro animaletto infinitamente piccolo, ma che un flagello biblico: la cimice cinese. Cosa li mette insieme? È il danno che creano all'agricoltura, ma soprattutto la confusione normativa che non consente ai contadini di difendersi. Ma mal che vada Papillon si mangia qualche quintale di mele, se non si trova invece il modo di fermare la cimice cinese sarà l'apocalisse. Sul banco degli imputati sale un malinteso ambientalismo e la marginalità dell'agricoltura. La cimice cinese è arrivata in Italia dal 2012, ce l'hanno spedita i mercati globali grazie alle frontiere groviera dei porti del Nord Europa dove i controlli fitosanitari fanno ridere e si è impiantata in Italia dove, anche in virtù del cambiamento climatico, ha trovato un habitat ideale per riprodursi e campare senza nemici: essendo una specie aliena non ha qui nessun predatore. Dove passa non cresce più nulla: ama le pere, le drupacee, va pazza per le pesche, si diletta di granturco. Una femmina depone fino a 500 uova. Se la Xilella fastidiosa - l'epidemia che ha colpito e distrutto gli uliveti del Salento con un danno oggi stimato attorno al miliardo e mezzo di euro - è una sciagura, la vera cimice cinese è la catastrofe. Si stima che abbia fatto circa un miliardo e mezzo di danni, ma se attaccherà mais, soia, pere e kiwi il conto può arrivare a 3,8 miliardi. Per ora sta devastando i frutteti del Nord, ha attaccato le orticole e si teme moltissimo per i seminativi, in particolare mais e soia. Ma non basta perché in alcune zone del Friuli, del basso Polesine e in Liguria l'invasione di cimici cinesi sta creando seri problemi anche alla gente che vive in campagna perché essendo resistenti ai comuni insetticidi comincia da infestare le abitazioni. In comune con la Xilella questa nuova emergenza ha che è d'importazione (l'insetto è penetrato nel nostro Paese attraverso l'importazione non controllata di alberi da frutta), che è stata sottovalutata e che finirà - com'è successo con l'olio extravergine di oliva - per favorire i nostri principali competitors nel settore ortofrutticolo: la Spagna, la Francia e la Polonia senza che l'Europa muova un dito. A fronteggiare la cimice cinese hanno provato le Regioni con alcuni piani straordinari. L'Emilia Romagna ha disposto finanziamenti per 2,5 milioni alle imprese agricole perché si dotino di reti che proteggano i frutteti, la Regione Veneto ha fatto altrettanto e sta pensando di mettere in campo aiuti per gli agricoltori soprattutto della zona del Veronese e del Polesine dove la cimice si sta mangiando tutti i raccolti, in Friuli c'è una task force per cercare di limitare l'invasione con le reti ed eradicare in qualche modo il proliferare dell'insetto, mentre in Trentino è la ricerca che si muove. Sembra infatti che la cimice sia resistente agli insetticidi più diffusi e a bassa latenza (quelli che non lasciano residui sulla frutta). Oggi la frutta che spunta i prezzi più alti è quella bio: non si può combattere la cimice a colpi di chimica senza rischiare di rimetterci due volte, non avere certezza di salvare il raccolto e se si salva doverlo svendere. Così si pensa alla lotta biologica. A San Michele all'Adige alla fondazione Mach - uno dei massimi centri di studio in agricoltura d'Europa - si sta cercando di rendere sterili i maschi di cimice asiatica per evitare la fecondazione visto che in Italia non ci sono antagonisti naturali a questa specie. Un piano nazionale è stato affrontato dal ministro dell'agricoltura Gian Marco Centinaio che ha dato il via libera all'importazione di un altro insetto: la cosiddetta Vespa Samurai che si nutre delle uova della cimice. La Vespa, a dispetto del nome, è quasi microscopica, ma pare molto efficace, almeno nel sud est asiatico patria di entrambi gli insetti in «lotta integrata». Ma - ecco il paradosso italiano - per mettere al lavoro la Vespa Samurai c'è voluta la firma di Sergio Mattarella. Non è uno scherzo. La legge italiana non consente l'importazione di insetti alloctoni - e allora viene da domandarsi come c'è arrivata la cimice cinese qui da noi? Semplice: ce l'ha spedita l'Europa globalizzate e un po' sbadata - e c'è voluto un voto del Senato, arrivato a fine giugno e controfirmato dal presidente della Repubblica, per dare il via al reclutamento di questo insetto con un programma che il ministro Centinaio ha fortemente voluto e che il Crea, il centro ricerche e braccio scientifico del Mipaaft, ha sviluppato in collaborazione principalmente con l'Università di Padova e con altri atenei. Solo che il reclutamento della Vespa richiede un po' di tempo per diventar efficace e in pratica tutto il nord Italia è sotto attacco.In Emilia Romagna dove la produzione frutticola vale quasi 8 miliardi di euro si rischia di non raccogliere le pere e il raccolto di nettarine è stato dimezzato, così come sono state attaccate le produzioni di susine, prugne e kiwi mentre un po' meno violento è stato l'attacco per le orticole coltivate in serra, mentre a campo aperto le zucchine sono andate di fatto perdute e molto si teme per il pomodoro da salsa indispensabile per l'industria conserviera, in Lombardia i frutteti sono sotto attacco ma si teme anche per i raccolti di orticole e soprattutto che ci sia un'invasione di cimici nei campi di mais e di soia. Invasione che è già avvenuta in Friuli Venezia Giulia dove ci sono state ingentissimi danni ai meleti, ma dove si teme la perdita di metà di raccolto di mais. In Veneto la situazione è particolarmente grave. Nel Veronese si stima una perdita di circa il 70 per cento del raccolto di mele e pere e anche sulle pesche si sono avuti cali produttivi che si avvicinano al 50 per cento e va considerato che il Veronese è il primo territorio di coltivazione ortofrutticola della regione. Ma c'è anche un'altra porzione di Veneto in gravissima sofferenza: il Polesine. Qui gli agricoltori stano pensando di estirpare i kiwi, i peschi e i meleti perché praticamente non fanno raccolto. Una stima della Confagricoltura di Rovigo sostiene che il danno si aggira a circa 8.000 euro all'ettaro su una superfice investita a frutteto di circa 2.000 ettari. E tutto questo in momento delicatissimo per l'ortofrutta italiana che è e resta il primo comparto agricolo del nostro paese. Ma è un comparto in sofferenza entrato inoltre in una crisi dell'export. Il 2018 si è chiuso con una perdita di 300 milioni di fatturato (meno 6,3% in valore) e di 450 mila tonnellate (meno 11,4%) con un brusco arretramento proprio della frutta fresca che ha perso in un solo anno il 16% in quantità e l'11% in valore. Un allarme serio quello lanciato da Dino Scanavino, presidente di Cia-Agricoltori Italiani, che pone l'accento sula necessità di una difesa più attenta dei campi: dagli insetti come dai predatori. «La cimice asiatica si sta trasformando nel nuovo flagello dell'agricoltura del Nord Italia: in Emilia-Romagna le perdite sul pero sono enormi arrivando anche al 100% dei frutti in alcune aziende, soprattutto del ferrarese. Danni accertati del 25-30% anche su pesco, susino, albicocco, ciliegio, mandorlo. Peggio ancora le colture di pomacee (melo, pero e nespolo) biologiche non protette da reti: il danno valutato ad oggi è tra il 40% e l'80%. Anche la soia subisce la numerosa presenza della cimice asiatica, in aumento anche in Veneto, dove le situazioni più gravi si registrano nel Polesine e nel Padovano.». Per Scanavino serve un piano come per la Xilella e bisogna accelerare l'arruolamento della Vespa Samurai. Ma non è questo il solo flagello per l'agricoltura. Sempre dalla Cia viene l'allarme sugli ungulati. «Non è più possibile assistere alla depredazione delle colture che stanno facendo cinghiali, cervi, daini, Ora che entra nel vivo la vendemmia bisogna pigliare adeguate misure per proteggere le vigne che sono il tesoro della nostra agricoltura. E c'è anche la questione dei lupi che stano falcidiando la zootecnia di montagna e delle zone svantaggiate». Ancora una volta entrano in ballo le leggi. La lobby animalista di fatto ha bloccato qualsiasi riforma del sistema selettivo di cattura, ma la Cia ha chiesto a Camera e Senato una riforma radicale della legge per la gestione della fauna selvatica. I cinghiali anche loro d'importazione visto che vengono dall'Est Europa - sono più grossi di quelli mediterranei tanto da aver sfrattato i nostrani e non temono l'uomo visto che orai banchettano tra i rifiuti delle città - nell'arco di cinque anni sono raddoppiati come popolazione e solo loro fanno danni valutati attorno ai 100 milioni di euro. I cinghiali sono fuori controllo: usati per ripopolare le riserve faunistiche sono diventati un flagello. Secondo gli agricoltori - la Coldiretti ha fatto scendere in piazza a luglio i contadini a Trento - ormai è necessario arrivare alla gestione degli animali selvatici, a cominciare dai lupi, con catture selettive. In Germania le associazioni agricole delle regioni del nord hanno «assediato» il Bundestag per chiedere provvedimenti per il controllo di lupi, orsi e cinghiali contro le leggi europee restrittive. In Europa c'è sì un Parlamento più verde, ma gli agricoltori sono sempre più esasperati. Figurarsi nell' Italia sotto attacco della cimice. E non è questione di spie. (5. Continua)
John Elkann (Getty Images)
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