2022-12-17
La cieca Bce insiste con la gabbia finanziaria
Christine Lagarde (Getty images)
Dopo l’annuncio dell’aumento dei tassi continuano le vendite dei nostri Btp. La ricetta dell’Eurotower è sbagliata e avrà come risultato la desertificazione industriale e l’imposizione di nuovi vincoli esterni: non a caso è ripreso il martellamento sul Mes.I binari su cui si muove l’Europa, che sia l’attività politica della Commissione o l’attività monetaria della Banca centrale, si confermano come sempre a senso unico e senza sistema frenante. Una volta messa in corsa la locomotiva nessuno sembra in grado di intervenire o semplicemente di invertire la rotta. Così all’indomani delle dichiarazioni di giovedì targate Bce, il mercato italiano dei titoli di Stato continua a essere sotto pressione. Motivo? Rialzo dei tassi di 50 punti base e soprattutto l’annuncio di ulteriori aumenti per riportare i prezzi «all’obiettivo inflattivo del 2%». Gli analisti hanno subito aggiornato le loro stime, anticipando ulteriori aumenti di 50 punti base nelle riunioni di febbraio e marzo, prima di un rallentamento non prima di maggio 2023. Già nella giornata di giovedì i titoli di Stato italiani erano stati colpiti dalle vendite, con i rendimenti che erano schizzati sopra quelli dei titoli greci. Ieri a metà pomeriggio, il rendimento del Btp decennale è arrivato al 4,34%, in aumento di 20 punti base rispetto alla chiusura del giorno precedente. Il corrispondente Bund si attesta al 2,17% (+9 punti base), per uno spread a quota 217 punti base, un livello che non si vedeva da inizio novembre. Il decennale britannico è al 3,37%, quello francese al 2,70%, quello spagnolo al 3,27%, quello portoghese al 3,19% e quello greco al 4,22%. Il crollo delle Borse europee e le vendite sui nostri titoli hanno, così, spinto diversi esponenti del governo a criticare l’operato di Francoforte e del presidente Christine Lagarde, la quale ha sottolineato che il ciclo di rialzi della Bce non è giunto al termine e suggerito che è attualmente più lontana dal suo tasso terminale rispetto alla Fed e anche alla Boe. «Incredibile, sconcertante e preoccupante che mentre c’è un governo che sta facendo di tutto per aumentare stipendi e pensioni e tagliare le tasse, la Bce, in un pomeriggio di metà dicembre, approvi una norma che brucia miliardi di euro di risparmi in Italia e in tutta Europa» ha detto ieri mattina il leader leghista Matteo Salvini, che è anche ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Molto critico pure il titolare degli Esteri, Antonio Tajani, secondo cui «fermo restando l’indipendenza della Bce, non è positivo per l’Ue e per l’economia reale italiana alzare i tassi di interesse. È giusto che lo faccia la Fed, ma in Europa non ha senso, visto che l’inflazione è legata all’aumento del costo dell’energia». Vero. Si tratta del primo tema da prendere in considerazione. Mentre l’inflazione Usa è da crescita, la nostra è indotta. A sbagliare non è però solo la Bce. L’errore sta nel fatto che le autorità europee non riescono in alcun modo a coordinare una strategia parallela. Non ci aspettiamo che la Bce si metta a destinare liquidità all’economia reale come avviene in alcuni Paesi cosiddetti Brics, ma al contrario vorremmo che le principali economie Ue capiscano che per risolvere il tema è ormai necessario intervenire sul Patto di stabilità e affrontare la vera debolezza del Vecchio continente. Ci riferiamo al fatto che le nostre aziende non sono più competitive, non riescono a produrre ricchezza e quindi non aiuteranno gli Stati a sostenere il debito. Un esempio su tutti, anche il più esplicativo, è quello riguardante l’acciaio. L’America utilizzando a suo favore la guerra è riuscita a tornare leader del gas naturale liquido e al tempo stesso a imporre il rientro in patria di una larga fetta di produzione. Con l’ingente piano di sussidi, gli Usa diventeranno calamita anche delle nostre imprese. Con il rischio concreto di trovarci senza posti di lavoro e diventare un mero continente di consumatori. La crisi dell’ex Ilva è la punta dell’iceberg, ma anche la Francia e la Germania hanno lo stesso problema. Se i tre Stati non risolveranno il problema assieme non ci sarà margine per affidarsi alle mosse finanziarie della Bce. Non solo. Le scelte della Bce continueranno a essere dannose. Prima si affronta questo tema e prima ci si mette in salvo. Al contrario, il direttivo di Francoforte insiste con la dottrina «tedesca» ormai decotta. Il modello è quello di ingabbiare e comprimere i bilanci. Da qui l’insistenza sul Mes. Sempre ieri il ministro Tajani ha spiegato la posizione dell’Italia sul Meccanismo di stabilità. «Io sono stato sempre favorevole all’utilizzo del Mes. Qui si parla del suo regolamento: tutti quanti hanno avuto delle riserve. Per quanto mi riguarda non c’è un controllo sufficientemente democratico da parte delle istituzioni», ha detto intervistato su Radio anch’io. «Il Parlamento si è espresso in maniera critica, deciderà se procedere o meno. Se ne discuterà anche a Bruxelles, vediamo come procedere. Da parte della maggioranza di governo», ha concluso, «qualche perplessità c’è». Purtroppo, da tale dichiarazione sembra di capire che non c’è alcuna intenzione di disinnescare la bomba. Non è il regolamento sbagliato, è la filosofia sbagliata. Permettere al modello tedesco di evolversi nel Mes significa solo cambiare la serratura della gabbia. Togliere il salvagente Bce al debito e far schizzare i rendimenti significherà esporre l’Italia alla Troika e al soffocamento del Pil. Il tutto fingendo di combattere l’inflazione. È vero, il nostro debito è enorme e il governo dovrà cercare di farlo dimagrire per una via finanziaria. Ma prima bisogna tornare a produrre e ad avere accesso alle materie prime come un gruppo di Paesi che ambiscono a essere Primo mondo e non Terzo mondo. Per farlo serve la forza, la potenza. Non la resilienza, tanto meno la transizione ecologica.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)