2020-09-23
La Chiesa zittisce i progressisti: «L’eutanasia un male in ogni caso»
Papa Francesco (Massimiliano Donati/Awakening/Getty Images)
L'ex Sant'Uffizio Luis Ladaria Ferrer pubblica con l'approvazione del Papa un «documento necessario» di fronte alle derive di legge (e alle aperture di alcuni cattolici) sul fine vita. «Non è mai lecito collaborare a un atto omicida».Nessuna circostanza, nessun dubbio. «L'eutanasia», si legge in Samaritanus bonus, lettera della Congregazione per la Dottrina della fede approvata dal Papa, «è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza». Un testo, quello pubblicato ieri, che lascia poco spazio ai cultori della morale à la carte, e che impegna in modo netto la Chiesa cattolica. A dire il vero nessuna novità sostanziale, perché questa è dottrina che poggia «sulla legge naturale e sulla parola di Dio scritta, e trasmessa dalla tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale». Ma, ha dichiarato il prefetto dell'ex Sant'Uffizio, cardinale Luis Ladaria Ferrer, è «un documento necessario» a fronte di nuove norme e leggi sempre più permissive su eutanasia, suicidio assistito e disposizioni sul fine vita.«Dunque», conclude il documento, «l'eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva. Coloro che approvano leggi sull'eutanasia e il suicidio assistito si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno», un attentato alla vita umana, «un'offesa alla dignità della persona, un crimine contro la vita, un attentato contro l'umanità». Fischieranno le orecchie ai giudici della Corte costituzionale che nel 2019 ritennero non punibile l'aiuto al suicidio «in certi casi», spianando la strada all'assoluzione di Marco Cappato che accompagnò Fabiano Antoniani, dj Fabo, in una clinica svizzera a morire.Sono «gravemente ingiuste, pertanto, le leggi che legalizzano l'eutanasia o quelle che giustificano il suicidio e l'aiuto allo stesso, per il falso diritto di scegliere una morte definita impropriamente degna soltanto perché scelta».Non si pensi però a una questione sollevata per ragioni di fede: il rifiuto di leggi che odorano di «cultura della morte», secondo una celebre definizione di Giovanni Paolo II, non avviene, infatti, «in virtù di una convinzione religiosa privata», si legge in Samaritanus bonus, «ma di un diritto fondamentale e inviolabile di ogni persona, essenziale al bene comune di tutta la società». Parole che meriterebbero attenzione, se non fosse che si scontrano con un concetto di laicità ormai alla deriva e incapace di comprendere le ragioni del realismo filosofico. Anche nello stesso mondo cattolico, ormai abitato da fedeli che si pensano tanto più «adulti» quanto meglio separano il loro credo privato dal loro agire politico. Lo dimostra lo straniamento che ha sollevato pochi giorni fa la domanda posta dal cardinale Antonio Cañizares, arcivescovo di Valencia, ai governanti spagnoli, intenti all'approvazione di una legge sull'eutanasia. «Signor presidente del governo, membri del governo, ministri, parlamentari che avete approvato una simile ingiustizia, davvero mostruosa», ha detto Cañizares, «siete matti, avete perso la testa o è la vostra morale a mancare completamente?». Una domanda nemmeno troppo retorica, viste le idee in circolazione in materia di «morte degna», best interest, qualità della vita e «morte compassionevole». Il tutto con il sottofondo di quello che il documento di ieri chiama «individualismo crescente, che induce a vedere gli altri come limite e minaccia alla propria libertà».Il perno di controcultura nel documento pubblicato ieri è piantato proprio su di un concetto di libertà che nella sua essenza si considera relazionale, cioè costituito di affetti profondi e capaci di sacrificio per amore dell'altro. È così che si può comprendere il senso della sofferenza, altrimenti senza soluzione. Anche l'esperienza recente della pandemia dimostra come la scienza, per quanto importante, non può mai eliminare l'imponderabile fragilità umana: arriva sempre «'a livella» per dirla con Totò. La risposta non può essere solo umana, ma «solo ri-significando l'evento stesso della morte - mediante l'apertura in essa di un orizzonte di vita eterna, che annuncia la destinazione trascendente di ogni persona - il “fine vita" può essere affrontato in un modo consono alla dignità umana».Quindi, riprendendo una celebre frase di Giovanni Paolo II, «inguaribile non è mai sinonimo di incurabile» e per chiunque c'è un diritto ad essere accolto, curato e amato. Nessuno deve essere lasciato solo. «Tutelare la dignità del morire significa escludere sia l'anticipazione della morte sia il dilazionarla con il cosiddetto “accanimento terapeutico"», ma in quest'ultimo caso bisogna fare attenzione. Non è lecito sospendere, dice il documento, «le cure efficaci per sostenere le funzioni fisiologiche essenziali, finché l'organismo è in grado di beneficiarne (idratazione, nutrizione, termoregolazione; ed altresì aiuti adeguati e proporzionati alla respirazione, e altri ancora, nella misura in cui siano richiesti per supportare l'omeostasi corporea e ridurre la sofferenza d'organo e sistemica)». C'è anche un riferimento a quei casi, come ad esempio quello del piccolo paziente inglese Alfie Evans, che tanto interesse ha suscitato nell'opinione pubblica mondiale, per cui «il concetto etico/giuridico del “miglior interesse del minore" in nessun modo può costituire il fondamento per decidere di abbreviare la sua vita al fine di evitargli delle sofferenze, con azioni od omissioni che per loro natura o nell'intenzione si possono configurare come eutanasiche».L'eutanasia e il suicidio assistito quindi «sono una sconfitta di chi li teorizza, di chi li decide e di chi li pratica». Perché tali leggi, sottolinea Samaritanus bonus, «colpiscono il fondamento dell'ordine giuridico: il diritto alla vita, che sostiene ogni altro diritto, compreso l'esercizio della libertà umana». Un tour de force linguistico che in una riga contiene forse il più grande misunderstanding dei tempi nostri (anche dentro la Chiesa).
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