2020-02-28
La Chiesa non vuole più insegnare che cosa sia la morale in economia
A fine marzo ad Assisi una sorta di Davos cattolica. Sarà un'occasione perduta per parlare di bene comune nel globale o del futuro del capitalismo con un nuovo umanesimo civile.Non mi meraviglierei troppo che oggi qualche fanatico neomalthusiano stesse esultando con il coronavirus. Così non mi meraviglierei se qualche fanatico ambientalista stesse esultando alla notizia che in Cina detto virus ha fatto crollare le emissioni di CO2, concludendo che il virus porta beneficio all'ambiente. Non ci si deve meravigliare troppo di queste due apparentemente ciniche considerazioni. Nei primi tre decenni del 1800 un prete anglicano, Robert Malthus, fondatore del malthusianesimo, convinto fino alla esaltazione dei mali della crescita della popolazione che lui considerava eccessiva, aveva auspicato persino il ritorno della peste per ridurla. Affascinato da questa prospettiva, Filippo di Edimburgo, presidente del Wwf, in un'intervista del 1988 alla Deutsche Agentur, dichiarava che se si fosse reicarnato avrebbe voluto esserlo sotto forma di un virus mortale per contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione. Per una certa cultura, carestie, epidemie e pestilenze sono mezzi di controllo, considerato naturale, della popolazione, ad essi si aggiunge un mezzo straordinario chiamato guerra. Tutti mezzi che fanno paura, terrore, solo a evocarli. Ma vi è anche un altro mezzo che può esser mal utilizzato per fare paura. Si chiama economia. Grazie alla minaccia economica si può spaventare chiunque, con la paura di fargli perdere quello che ha o quello che spera di avere. È bene ricordare che la crisi economica che stiamo vivendo è stata originata grazie anche allo strumento della decrescita neomalthusiana delle nascite dagli anni Settanta in poi. Cerchiamo anche di non dimenticare che neomalthusianesimo e ambientalismo sono molto correlati se entrambi considerano la creatura umana solo un bacillo evoluto, ma «cancro della natura». Sorprendentemente oggi chi concorre a proporre soluzioni alla crisi economica e al problema ambientale è anche chi ha concorso a generarne le cause. Ma in questo momento la soluzione ai problemi economici non si pone solo per i problemi strutturali, creatisi dopo lo scoppio della crisi del 2007 ed aggravati nel 2011, ora dobbiamo fronteggiare anche le conseguenze della quarantena per il virus, nel suo impatto su alcuni settori economici e sull'effetto fiducia che si riflette sulle borse valori. Cosicchè la valutazione di ordine morale sulla opportunità e bontà di soluzioni economiche, anche a breve termine, diventa particolarmente significativo e responsabilizzante.Ecco l'importanza dell'evento di fine marzo ad Assisi, «Economy of Francesco», una specie di incontro di Davos in materia di morale in economia. Dove però capiremo se è l'autorità morale della Chiesa cattolica a essere maestra o a essere allieva. Perché, quindi, questo evento di Assisi potrà esser importante, nel bene e nel male? Perché la posta in gioco è alta e l'ambizione percepita è quella di voler proporre soluzioni economico-morali per il futuro. La preoccupazione sta nel fatto che queste proposte che si formuleranno ad Assisi, patrocinate da istituzioni della Santa Sede, con la presenza di illustri rappresentati della Chiesa stessa, possano fondarsi su «utopie economiche». Non ci si meravigli, utopie economiche possono esser anche elaborate in ottica assolutamente morale, orientate con rettitudine di intenzioni, ma resterebbero utopistiche. Il problema esiste da sempre poiché l'economia non è una scienza, e talvolta sogna e crea utopie (lo hanno fatto anche santi come Tommaso Moro). Ma se queste utopie venissero poi incorporate nel magistero della Chiesa, diverrebbero norme morali che possono ispirare eticamente le scelte economiche. Ecco perché l'economia, quale strumento, può esser per l'uomo o contro, e fare perciò paura. Per esempio, i temi più sensibili che mi meraviglierei non venissero affrontati e trattati ad Assisi sono il problema di cosa deve essere bene comune nel globale. Oppure quale futuro del capitalismo si debba perseguire con un nuovo umanesimo civile. O se si auspicherà il ritorno della politica (accusata di esser assirvita al mercato) nella gestione dell'economia, lasciando immaginare forme di statalismo in sostituzione di un capitalismo autoreferenziale, obsoleto, che ha creato troppe diseguaglianze. Ora se l'autorità morale affrontasse questi temi come Leone XIII li affrontò nella Rerum novarum, o Benedetto XVI in Caritas in Veritate, potremmo essere tranquilli, ma avendo percepito che la Chiesa non pretende più di voler insegnare, ma piuttosto apprendere, possiamo verosimilmente temere che le proposte di Assisi siano «apprese» piuttosto che «insegnate» da una Chiesa che non si sente più maestra?
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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