2021-05-19
L’ingiusto processo al Cavaliere riguarda tutti noi
Silvio Berlusconi (Getty images)
Dalla Corte europea per i diritti dell'uomo 10 domande al nostro Paese. Una vicenda lontana nel tempo che però ci riguarda tutti.Da anni l'Italia è al primo posto tra i Paesi più condannati dalla Cedu, ossia dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. A questo tribunale - che non fa parte della Ue, ma è un organismo autonomo scaturito dalla firma della convenzione che salvaguarda i principi fondamentali degli individui - si rivolge chi ritiene di non essere riuscito a ottenere giustizia in casa propria, vuoi per la lentezza dei processi, vuoi per una detenzione che non abbia rispettato la persona oppure per una sentenza ritenuta ingiusta. La via di Strasburgo l'ho seguita io stesso, anni fa, dopo essere stato condannato a quattro mesi di carcere per aver pubblicato l'opinione di un parlamentare che conteneva una critica all'operato di alcuni magistrati. Dopo aver esaminato il caso, senza entrare nel merito della sentenza, la Cedu condannò l'Italia, ritenendo che la pena detentiva per un giornalista «colpevole» di aver resa pubblica una notizia o un'opinione, fosse contraria alla giurisprudenza adottata dai Paesi europei.Se ho citato il caso personale non è però per parlare di me, ma del motivo per cui, a distanza di anni, riemerge nel dibattito politico la condanna che cacciò Silvio Berlusconi dal Parlamento. La faccenda risale a otto anni fa e segnò una svolta nella politica di questo Paese perché, per effetto di una sentenza, una forza politica tra le più importanti d'Italia, fu privata del proprio leader, il quale oltre a essere affidato ai servizi sociali per scontare la propria pena, fu bandito da Camera e Senato e impossibilitato a ricandidarsi. Inutile dire che il Cavaliere ha sempre protestato la propria innocenza, e non avendo trovato ragione nei tre gradi di giudizio, si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo, ritenendo di non aver ricevuto un giusto processo. Dico subito che se la giustizia italiana è lenta, quella della Cedu è lentissima, dunque siamo arrivati al 2021, ma non a ottenere una sentenza che riconosca o respinga le ragioni del fondatore di Forza Italia, bensì solo per richiedere chiarimenti. La Corte ha infatti chiesto all'Italia di rispondere a dieci domande. Potrà sembrare questione da tecnici, oppure anche una questione preistorica, ma quei quesiti non sono affatto roba vecchia e nemmeno argomento per un raffinato dibattito giuridico, perché attengono a principi che riguardano tutti noi quando siamo davanti al giudice. Le prime tre domande sono riassumibili in una sola: Berlusconi ha avuto dei giudici indipendenti, un processo imparziale e la possibilità di manifestare in un'aula di giustizia la violazione dei suoi diritti? In pratica, chi ha emesso la sentenza era davvero sopra le parti? Potranno sembrare domande poco importanti, ma in realtà riguardano la formazione del collegio che lo giudicò e anche la fretta con cui si arrivò davanti a quei magistrati. Il Cavaliere avrebbe dovuto essere processato davanti a una sezione della Cassazione competente per i reati fiscali e societari, ma in realtà, con la motivazione che il reato si stava prescrivendo, Berlusconi finì in tutta fretta davanti alla cosiddetta sezione feriale, che non era particolarmente competente della materia su cui era chiamata a esprimersi. Tuttavia, il reato non stava affatto per prescriversi il giorno dopo, dunque la fretta di emettere la sentenza non c'era. In pratica, il capo di Forza Italia non fu giudicato dai suoi giudici naturali, ma da quelli assegnati da un'emergenza inesistente. Fu giusto tutto ciò? Fu una decisione imparziale e indipendente? Queste domande, di fronte alle quali molti fanno spallucce come se fossero ininfluenti, sono tutt'altro che superflue, perché quello sotto processo era un leader politico e se a un cittadino comune si deve garantire un giusto processo, a maggior ragione lo si deve assicurare a chi ha un ruolo nella vita pubblica e proprio per questo può essere colpito.La Cedu poi solleva altri quesiti, sulla regolarità dei processi, sui testimoni che non vennero sentiti, sulle carte che non vennero tradotte, sull'equità del procedimento. Ma forse la domanda più interessante è l'ultima, quella riguardante il fatto che il Cavaliere sia stato processato più volte per lo stesso reato. Siccome tutto verteva intorno all'acquisto dei diritti cinematografici, che secondo la sentenza fu eseguito tramite un intermediario allo scopo di frodare il fisco, su questa benedetta storia dei contratti con un mediatore americano esistono tre sentenze, tutte passate in giudicato, tutte con i medesimi protagonisti, ma emesse da giudici diversi. Due di esse assolsero Berlusconi e solo una lo condannò. Erano fatti differenti, dice chi sostiene la sentenza. No, erano fatti identici: diritti acquistati da una stessa società cinematografica da tre società del gruppo Mediaset. La sola diversità era la sede sociale, che quindi comportò indagini non delle stesse procure e sentenze emesse non dallo stesso tribunale né dagli stessi giudici. Il problema è che uno di questi giudizi assolutori fu emesso prima di quello che condannò Berlusconi, il quale dunque sostiene di essere stato processato due volte per le stesse ragioni, ma con sentenze diverse. C'è poi un ultimo fatto: il relatore della sentenza di condanna, ovvero il magistrato più esperto nel reato di frode, usando motivazioni esattamente contrarie a quelle usate con il fondatore di Forza Italia, in seguito assolse altri imputati del medesimo reato, proprio come aveva fatto nel passato quando gliene si era presentata l'occasione. Anzi, a un certo punto, scrivendo le motivazioni di una sua decisione, spiegò che la giurisprudenza era assolutamente costante e pacifica, contraria a quella che condannò Berlusconi. Un pentimento tardivo, che poi avrebbe manifestato direttamente al Cavaliere con un colloquio privato. Insomma, ce n'è abbastanza perché la Corte dei diritti dell'uomo si interroghi e si chieda se in Italia esiste il giusto processo. E la faccenda, anche se lontana nel tempo, visto quel che è successo di questi tempi nel Csm, ma anche nelle Procure di Roma e Milano, non riguarda solo Berlusconi, ma anche tutti noi.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco