
Paola Renata Radaelli, accusata di aver assaltato il partitino di Emma Bonino con centinaia di iscritti all'ultimo minuto per ribaltare l'esito del congresso: «Macché scalata ostile sovranista. Si dicevano aperti a tutti, siamo stati radiati in 190».Pirata o piranha? L'hanno accusata di avere assaltato +Europa, il partitino di Emma Bonino, con centinaia di iscritti all'ultimo minuto per ribaltare i risultati del suo primo congresso. Una «scalata ostile sovranista»: così è stata definita la sua candidatura a segretaria con tanto di lista di candidati, tutti sconosciuti ai boniniani, a dirigenti e militanti della formazione europeista.«Volevamo soltanto portare avanti le nostre idee dentro al partito, che si dichiarava aperto a tutti», dice ora a La Verità Paola Renata Radaelli, che parla per la prima volta della sua iniziativa.Una provocazione? «No. Io e altre persone abbiamo preso sul serio lo statuto di +Europa, che permetteva di iscriversi e candidarsi fino a dieci giorni prima del congresso del 27 gennaio a Milano. E lo abbiamo fatto, pagando online 50 euro a testa».Ma signora, come pensavate di essere accettati in un partito dove nessuno vi aveva mai visto? Era uno scherzo? «No, le ripeto che eravamo in buona fede».Però vi siete iscritti in massa, cosa vietata dallo statuto. «Altre adesioni collettive sono state accettate nelle scorse settimane. Perché loro sì e noi no?».Perché gli ex democristiani di Bruno Tabacci hanno fondato +Europa un anno fa assieme ai radicali della Bonino. Anzi, se non le avessero offerto il loro simbolo, lei non sarebbe neanche riuscita a raccogliere le firme per le elezioni del 4 marzo, in cui ha preso il 2,6% ed eletto quattro parlamentari in coalizione col Pd. Mentre voi gravitate nel centrodestra.«Chi l'ha detto?». Lei si candidò alle amministrative in Liguria. E il suo capolista era nel partito di Gianpiero Samorì, alleato di Silvio Berlusconi.«Anche Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, è stato nel centrodestra in passato. Io ora sono solo la segretaria dell'Unavi, l'Associazione nazionale vittime di reati che si batte per la loro tutela. Volevo portare le nostre lotte anche in Europa. Per esempio, una petizione con 25.000 firme».La vostra lista si chiamava «In Europa sì, ma non così». E in una foto lei abbraccia Matteo Salvini.«Unavi è apartitica, e ci sono mie foto con politici di tutti i partiti. Per esempio con Andrea Orlando, l'ex ministro pd della Giustizia».Quindi lei non è sovranista? «Se sovranismo vuol dire stare dalla parte delle vittime, sì. Ma nel nostro programma c'era scritto chiaro che siamo europeisti. In Europa, per cambiarla».Dicono così anche leghisti e grillini, i principali avversari di +Europa. «Non sono vicina a loro. La foto con Salvini è di prima che diventasse segretario».Cos'ha votato alle ultime politiche? «È un fatto privato».Ma come, non voleva buttarsi in politica? «Io non mi butto da nessuna parte».Cosa pensa della Bonino? «La stimavo per le battaglie su divorzio e aborto».E ora?«Mi ha cacciato senza neanche sentirmi». Perché non le ha telefonato lei?«Al congresso avremmo potuto parlarci». E di Tabacci che pensa? «Non lo conosco». Fatto sta che vi hanno espulsi in 190, ridandovi i soldi. «I nostri erano molti meno».Ma lei ha parlato con qualche dirigente di +Europa?«Mi ha telefonato l'amministratrice Silvia Manzi chiedendomi i motivi delle nostre adesioni. Poi ci ha radiato, con la scusa che alcune provenivano dallo stesso indirizzo di posta elettronica».Però molti sono riusciti a rimanere. Due sono stati addirittura eletti dirigenti: Roberto Baldi e la lucana Isabella Gentile. Prima erano in lista con lei, ora sono passati nella lista di Tabacci. Quanti eravate in tutto? «Non glielo dico». E perché?«…».Quindi dentro +Europa è rimasta una vostra quinta colonna di «dormienti»?«Se usa questi termini la saluto».Chi erano i suoi candidati? «Amici di tutta Italia».Di che tipo?«Persone incontrate negli anni».Ma li conosceva tutti personalmente?«Certo che no, non potevo convincere centinaia di persone a iscriversi. Alcuni amici hanno portato altri amici».Come Matteo Riva, il quarto nella sua lista che poi ha avuto un abboccamento anche con la corrente di Della Vedova? Sapeva che era un dirigente tabacciano? «No».Ora i radicali accusano i democristiani di Tabacci di avere «cammellato» iscritti al congresso per vincerlo: decine di persone cui avrebbero pagato tessera e viaggio in pullman, soprattutto dal sud.«Quindi vede che il vero problema non ero io».
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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