2022-03-04
La Bicocca si scusa ma Nori non perdona. «Di Dostoevskij parlerò altrove»
Fëdor Dostoevskij. Nel riquadro, Paolo Nori (Ansa)
Lo scrittore non sa dove terrà il corso «congelato»: «Ho decine di offerte». L’autore dei Karamazov cancellato anche a Genova.Fatale fu la tardiva e tartufesca argomentazione: urgeva ristrutturare il corso, ampliare gli insegnamenti, spalancare l’angusta mente degli universitari. Allo studio del temibilissimo Fëdor Dostoevskij, insomma, bisognava sommare quello di altri defunti autori ucraini, doveroso ossequio al benpensantismo bellico. Maurizio Casiraghi, prorettore della Bicocca di Milano, l’ateneo che ha cassato gli incontri sul romanziere, reo d’esser nato nel 1821 a Mosca, rifugge così ogni accusa. Il censurato, ovvero lo scrittore Paolo Nori, chiude però le ostilità letterarie: «Non condivido questa idea che se parli di un autore russo devi parlare anche di un autore ucraino», obietta. E comunque lui, che ha vergato Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij, giura di non conoscere letterati ucraini: «Per cui li libero dall’impegno che hanno preso. Il corso che avrei dovuto fare in Bicocca lo farò altrove».Nori dunque ci riferisce che, dopo la surreale tenzone, ha accumulato decine di inviti: «Il primo è stato di Andrea Moro, rettore a Pavia». Poi l’università di Siena. O la Iulm di Milano, dove insegna Traduzione editoriale della saggistica russa. E perfino la confindustriale Luiss. Quindi? «Non ho ancora deciso». Intanto la rettrice della Bicocca, Giovanna Iannantuoni, invia un prostrato messaggio: «Mi scuso per avere urtato diverse sensibilità in un momento così delicato», assicura. «Non era intenzione dell’ateneo esercitare alcuna forma di censura», reitera. «Rimane un luogo di libera manifestazione del pensiero, dell’insegnamento e della ricerca», giura. «Agisce contro ogni discriminazione ed ha sempre dimostrato di essere accogliente verso tutte e tutti», garantisce. S’è trattato solo di un disguido, ecco: «L’errore è umano». Basta superarlo con «consapevolezza e riconciliazione». Infine, reitera l’invito allo scrittore: lui e Fëdor, giura, sono ben accetti.Il cospargimento del capo di cenere, del resto, era inevitabile. Anche perché colei che l’ha preceduta alla guida dell’ateneo meneghino è nientemeno che l’attuale ministra dell’Università, Maria Cristina Messa. A cui, vedi che imbarazzo, è toccato stigmatizzare: «Il nostro deve essere luogo di confronto e di crescita comune, ancora di più in una situazione tanto delicata». Comunque sia: pentimento tardivo. Di Dostoevskij si parlerà altrove. Resta il memorabile inciampo. Lo scrittore moscovita e il suo esegeta parmense sono le ultime vittime della russofobia. Per il pensiero unico vigente non basta esecrare la violenza putiniana e struggersi per i morti ucraini. Bisogna recidere ogni legame, financo letterario, con gli illustri trapassati. Nori ricostruisce: «Arrivato a casa, ho aperto il computer, ho trovato una mail della Bicocca. Io dovevo fare un corso su Dostoevskij, quattro mercoledì, su quattro romanzi, Delitto e castigo, Il villaggio di Stepancikovo e i suoi abitanti, Memorie del sottosuolo, L’idiota e raccontare il modo in cui Dostoevskij parla di noi, il modo in cui ci ha descritto prima ancora che venissimo al mondo». Non esattamente una lezione di geopolitica, quindi. «Caro professore», lo avverte così il solerte funzionario, «questa mattina il prorettore alla Didattica mi ha comunicato la decisione, presa con la Rettrice, di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è quello di evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione». Nori riferisce di aver riletto il messaggio due o tre volte: «Ho risposto: “Sono senza parole”». Poi, quasi in lacrime, racconta la disavventura in un video, mentre ricorda «quanto sia terribile quello che sta succedendo in Ucraina». Il commento che gli è piaciuto di più, dettaglia sul Foglio, è del fratello: «Ma sono scemi!». Lui, invece, come riferito alla Stampa, dopo la lettura della timorata mail, è stato assalito da pensieri meno ecumenici: «Che teste di c…». Nell’intervista, Nori esplode con una gragnola di interrogativi. «Cosa può far paura di Dostoevskij?». «Cosa temono di un uomo che è stato condannato a morte perché aveva letto pubblicamente una lettera proibita nel 1849?». «Cos’hanno ritenuto imbarazzante di Dostoevskij riguardo alla guerra?». Dicono ora che si tratta di un malinteso, «ma che malinteso può esserci in una lettera del genere?». La Bicocca fa persino scuola tra le file russofobe. Vittima del delirante conformismo è, ancora una volta, il vecchio Fëdor. A Genova il Teatro Govi annulla un evento per i duecento anni dalla nascita del romanziere. Di concerto con il municipio della Valpolcevera, ha deciso infatti di non ospitare il terzo «Festival internazionale di musica e letteratura russa». Un’altra presa di posizione contro il conflitto in Ucraina: sacrosanta, inevitabile, tempestiva. E a Firenze un gruppo di arrembanti cittadini chiede al sindaco, Dario Nardella, di abbattere la statua del romanziere nel parco delle Cascine. Manco fosse quella di Saddam Hussein.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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