2018-12-20
La battaglia del deficit è stata vinta, il prezzo è un’altra minaccia sull’Iva
I gialloblù chiudono al 2,04%, ma a coprire le misure chiave saranno le clausole di salvaguardia sull'imposta nel 2020-21. Pierre Moscovici ottiene anche l'appoggio sulla Web tax: già in manovra il prelievo del 3% per i big. Avremmo sperato di assistere a una legge finanziaria più coraggiosa con più deficit e meno tasse, così non è stato. Tant'è che alla pace fiscale si sono sommate le maggiorazioni degli interessi in caso di ritardo nei pagamenti delle tasse. Sono comparse l'imposta sulle auto non ecologiche e le riduzioni di incentivi fiscali sulle aziende.L'accordo è fatto e il mazzo di carte è stato adeguatamente mischiato, passato di mano e ridistribuito. Niente procedura d'infrazione, in cambio il governo italiano ha accettato di portare il rapporto tra deficit e Pil al 2,04% contro il 2,4 previsto inizialmente. Gli obiettivi di deficit scendono di conseguenza all'1,8% dal 2,1% nel 2020 e all'1,5% dall'1,8% nel 2021. In termini strutturali il deficit resta sugli stessi livelli del 2018, mentre nella precedente bozza di manovra mostrava un deterioramento di 0,8 punti percentuali di Pil. In termini contingenti, invece, passa dall'1,2 a poco sopra il 2%. Come anticipato due giorni fa, cambia anche il quadro macroeconomico: il Pil programmatico è visto crescere all'1% sia nel 2018 sia nel 2019, a fronte rispettivamente di un +1,2 e +1,5%. In pratica il taglio per il 2019 è di circa 10 miliardi di euro, la cui spesa relativa slitterà in parte all'anno successivo, purtroppo con il giogo dell'Iva.Dopo la stretta di mano tra governo e Ue si è scatenata la ridda di polemiche su chi si sia calato le braghe. In termini politici, la trattativa Stato-Ue ha sicuramente comportato una vittoria politica del governo che è riuscito, rispetto a giugno, a creare una breccia a Bruxelles. L'eredità Gentiloni ha schierato l'Italia su posizioni totalmente succubi di Francia e Germania. La logica sovranista ha consentito di rompere l'asse franco-tedesco. Siamo certi che Luigi Di Maio e soprattutto Matteo Salvini si giocheranno la carta in vista delle elezioni europee. «In queste settimane abbiamo lavorato per avvicinare le posizioni, senza mai arretrare - desidero rimarcarlo - rispetto agli obiettivi che con il voto del 4 marzo gli italiani hanno ritenuto prioritari nell'azione di governo», ha detto Conte nel corso di un'informativa in Senato ieri pomeriggio. Ciò che però è stata sacrificata è la linea originaria della manovra nel suo sviluppo triennale. Infatti, per arrivare al 2,04% e poi a scendere all'1,8 e all'1,5% di deficit, come più volte abbiamo scritto, si sono spostati quota 100 e reddito di cittadinanza nella seconda parte del 2019. Mentre per gli anni successivi i gialloblù hanno adottato la stessa tecniche dei precedenti governi, a partire dal 2011 di berlusconiana memoria. Lega e 5 stelle hanno accettato di rimettere in manovra le clausola di salvaguardia nella loro interezza sia per il 2020 che per il 2021. In pratica a coprire quota 100 e reddito di cittadinanza sarà l'aumento dell'Iva. E non va bene dal momento che la misura affosserebbe i consumi interni che già non ripartono. Anzi, restano in fondo alla classifica europea. Un tratto tipicamente italiano ci porta a pensare che domani è un altro giorno e quindi la manovra del 2020 sarà qualcosa di nuovo che rimanderà le clausole ancora più avanti nel tempo.Avremmo sperato di assistere a una legge finanziaria più coraggiosa con più deficit e meno tasse, così non è stato. Tant'è che alla pace fiscale si sono sommate le maggiorazioni degli interessi in caso di ritardo nei pagamenti delle tasse. Sono comparse l'imposta sulle auto non ecologiche e le riduzioni di incentivi fiscali sulle aziende. E si discute persino di inserire la Tari in bolletta. Nel complesso, insomma, la manovra è migliore delle precedenti perché almeno mette mano al settore pensionistico e cercherà di riordinare il mondo degli ammortizzatori sociali, che da troppo tempo è frastagliato e inutilmente dispersivo. Si poteva fare meglio? Certo, speriamo che lo si faccia in futuro, soprattutto adesso che il governo gialloblù ha acquisito nuovi margini di trattativa nella Ue. Intanto, come in tutte le trattative, ci sono stati i punti di caduta e pure e pure gli accordi sottobanco, o meglio non alla luce del sole. Secondo quanto apprende la Verità, il Commissario Ue, Pierre Moscovici, avrebbe chiesto in cambio della sua posizione pro Italia il sostegno nell'applicazione della web tax europea. Il governo era contrario, da oggi in avanti avrà una posizione filo francese. I primi riflessi si vedono già nella manovra in via di definizione. L'esecutivo ha inserito un prelievo del 3% per le imprese che si occupano di commercio, ma anche quelle che vendono dati e fanno pubblicità online. È la nuova imposta sui servizi digitali, che il governo inserirà nella manovra attraverso il pacchetto di modifiche che dovrebbe arrivare a breve in commissione Bilancio al Senato. Il prelievo interessa «i soggetti esercenti attività d'impresa che singolarmente o a livello di gruppo, nel corso di un anno solare realizzano» uno dei seguenti risultati: un ammontare complessivo di ricavi ovunque realizzati non inferiore a 750 milioni e uno di ricavi derivanti da servizi digitali, realizzati nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni. In pratica, colpirà Amazon, eBay e Netflix non gli intermediari italiani. «Il limite dei 750 milioni è forse un po' basso», spiega alla Verità Davide Rossi, direttore Aires e avvocato esperto di questi temi, «ma in generale mi sembra che colpisca i grossi player internazionali. La chiamerei infatti tassa sulle web-intermediazioni». In Italia non ci sono piattaforme che fatturano più di 750 milioni (ePrice è di poco sopra i 400) e chi è retail non viene colpito. Salvo il teme dal market place di Amazon. Il colosso di Seattle consente ai piccoli artigiani e alle Pmi di vendere sul proprio sito. Sicuramente su un settore che viaggia sul 2/3% di margini c'è da scommettere che l'imposta del 3% si trasformerà in un maggiore costo per gli esportatori made in Italy. Purtroppo anche se un'azienda tricolore vende sul market place tedesco viene registrata alla fonte, cioè in Italia. L'azienda tedesca che vende in Italia viene a sua volta registrata a Berlino e avrà un 3% di margine in più rispetto alla concorrenza italiana.