
Dal bilancio 2017 dello Ior, oltre all'utile da 31,9 milioni, emergono un calo di redditività e una crescita dei margini d'intermediazione. Su 5,3 miliardi di patrimonio, quasi 3 sono in gestione. Il resto, depositi e case.Ogni anno che passa lo Ior sembra sempre di più una boutique di private banking, di quelle che investono e amministrano le somme dei propri clienti. È quanto emerge dal rapporto annuale 2017 dell'Istituto per le opere di religione. Seguendo comunque i dettami del cattolicesimo, la banca nel 2017 ha gestito patrimoni per 2,95 miliardi di euro su un totale di 5,3 miliardi di patrimonio composto anche da 1,83 miliardi di depositi e 474,5 milioni di valori terzi in custodia (immobili, ma non solo) . In totale, nel 2016, lo Ior gestiva beni e finanze della clientela per 5,7 miliardi.La trasformazione in atto all'interno dello Ior è in realtà ben nota alla gran parte delle banche italiane. Con i tassi in caduta libera, molti istituti di credito hanno sentito il bisogno di aumentare i margini prestando sempre più servizi di intermediazione finanziaria perché i depositi, ormai, rendono sempre meno. A questo bisogna aggiungere l'arrivo di Papa Francesco che negli ultimi cinque anni ha imposto allo Ior una politica di investimento ancora più trasparente. Per questo il Papa ha voluto ridurre il bacino dell'istituto vaticano a «opere di religione», ovvero congregazioni religiose e diocesi, di cui gestisce depositi con strategie rigide e considerate maggiormente etiche.Lo ricorda, nella relazione annuale, lo stesso presidente dello Ior, Jean-Baptiste de Franssu. Il risultato del 2017, scrive, «riflette la continua tendenza al ribasso dei tassi d'interesse in Europa e l'approccio conservativo» che lo Ior ha adottato dal suo ingresso, nel 2014, con la gestione dei propri attivi (principalmente nel reddito fisso)». Come spiega de Franssu, gli investimenti, prudenti, sono coerenti con l'etica cattolica ed escludono quelli «in imprese che violano o non rispettano in pieno i principi globalmente riconosciuti in materia di diritti umani, standard lavorativi, lotta alla corruzione e lotta alla criminalità ambientale».A dare il via libera all'accelerazione delle gestioni finanziarie è stata l'Aif (l'Autorità di informazione finanziaria del Vaticano) che ha autorizzato lo Ior a offrire ai propri clienti «i servizi di raccolta di depositi, gestioni patrimoniali, custodia titoli e valori, trasferimenti internazionali di denaro attraverso banche corrispondenti».Insomma, nella trasparente relazione dello Ior si capisce come nel bilancio ci sia più finanza e ancora più etica. Una scelta che in alcuni casi ha prodotto qualche segno meno. La redditività sintetizzata dal margine di interesse sul totale attivo nel 2017 risulta pari all'1% contro l'1,1% registrato nel 2016, per via della riduzione del margine di interesse. Al contrario, invece, l'altro indice di redditività calcolato come rapporto fra il margine di intermediazione e il totale attivo è aumentato sensibilmente grazie alle minori svalutazioni delle quote di fondi in portafoglio e al maggior contributo del comparto azionario (1,7% nel 2017, contro 1,3% nel 2016). In poche parole, l'investimento in fondi ha dato i suoi frutti.A ogni modo le scelte di investimento dello Ior appaiono decisamente mirate. Su 19,8 miliardi di euro di investimenti, il 68% dei fondi presenti in portafoglio risultano essere fondi chiusi, ossia fondi sottoscrivibili da specifici soggetti. Solo il 32% degli strumenti in pancia allo Ior è costituito da fondi aperti, cioè di quelli possono essere sottoscritti da diversi soggetti e per qualsiasi ammontare. I fondi in possesso dello Ior investono in titoli azionari (per 27%), in titoli obbligazionari (per il 32%) e in proprietà immobiliari (per il 41%).Tutte queste scelte di natura etica, insieme a condizioni di mercato non certo favorevoli, hanno comportato una lieve diminuzione dell'utile della società. Lo Ior ha chiuso il bilancio 2017 con un risultato netto di 31,9 milioni (erano 36 milioni nel 2016). L'istituto vaticano, contemporaneamente, ha anche dato una sforbiciata ai suoi costi. Lo scorso anno ha ridotto le spese a 18,7 milioni (19,1 milioni nel 2016) con un ratio patrimoniale Cet1 di tutto rispetto: 68,2% (64,5% l'anno precedente) «che evidenzia l'elevata solvibilità e il profilo di basso rischio» dell'istituto. Insomma, anche lo Ior si è trovato a fronteggiare nel 2017 gli stessi problemi di molte banche italiane. A giudicare dai numeri, però, a differenza di altri istituti del Belpaese è riuscito a trovare una soluzione molto efficiente.
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