L’ex premier è a caccia di poltrone nella futura Commissione e spera che l’Italia l’appoggi. Ma quando è stato a Palazzo Chigi ha rovinato il nostro Paese, stroncando la crescita e facendo precipitare il Pil ai livelli del 1998.
L’ex premier è a caccia di poltrone nella futura Commissione e spera che l’Italia l’appoggi. Ma quando è stato a Palazzo Chigi ha rovinato il nostro Paese, stroncando la crescita e facendo precipitare il Pil ai livelli del 1998.Mario Monti, 81 anni, è tornato a occupare la scena da qualche settimana. Lo abbiamo visto e sentito, in televisione e in radio, e lo abbiamo letto in una genuina intervista al Corriere della Sera. Già commissario europeo nel 1994, poi ancora nel 1999, infine nominato senatore a vita, Monti subentrò nel novembre 2011 a Silvio Berlusconi quale presidente del Consiglio in un governo cosiddetto tecnico. Un governo che nasceva sotto i colpi dello spauracchio rappresentato dallo spread, a cui si opposero solo la Lega Nord e l’Italia dei valori.La contemporaneità tra l’uscita del suo nuovo libro (dall’austero titolo Demagonia) e la campagna per le elezioni europee, con la successiva scelta dei commissari per la nuova Commissione, è certo casuale, ma risulta una buona occasione per Monti per rilasciare interviste e commenti sull’attualità. Interviste i cui contenuti, dispensati con il consueto glaciale understatement, non risultano sorprendenti a chi abbia seguito negli anni il percorso del senatore a vita.Nell’intervista al Corriere della Sera il 4 maggio scorso, Monti ha detto: «Dovremmo recuperare una parola desueta: sacrifici. Davvero possiamo avanzare nell’integrazione europea, reggendo due guerre sulle nostre frontiere, senza sacrifici? L’Italia non si è fatta senza spargimenti di sangue: non sarebbe bastata la finezza di Cavour, è servito l’esercito piemontese, con i volontari, i garibaldini...». Più oltre, nella stessa intervista: «Oggi il quesito drammatico è: si potrà fare una vera Unione europea senza spargimenti di sangue? Quanto meno, servirà che i politici facciano sacrifici, compreso il più grande: non essere rieletti. Kohl perse le elezioni per difendere l’euro. Oggi lei vede un politico così?».L’argomento del sacrificio, questa volta di sangue, resta dunque la cifra distintiva del personaggio politico Monti. Il sottotitolo del libro in uscita («Dove porta la politica delle illusioni») è di per sé un compendio della sua retorica tipica, quello della politica spendacciona e irresponsabile, contrapposta all’etica del dovere del buon padre di famiglia, che fa ciò che deve e non ciò che vogliono gli elettori. Una visione che equipara sostanzialmente la democrazia rappresentativa a una sorta di inganno, dove i politici fanno promesse che non possono mantenere agli elettori creduloni.Questa visione paternalistica di un corpo elettorale fatto di infanti troppo cresciuti e del tecnico di buona volontà che sistema le cose, ha ricevuto un brutto colpo giusto un mese fa dal discorso di Mario Draghi, altro autorevole esponente della politica condotta «al riparo dal processo elettorale» (cit.). Riferito all’Europa, Draghi ha detto infatti: «Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale pro-ciclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale».Cioè, l’intenzionale aggressione al reddito dei cittadini voluta dalle regole europee (il sacrificio, per dirla in termini montiani) non è servita ad altro che ad impoverire chi le ha subite. Naturalmente, a vantaggio di qualcuno, anche se Draghi non lo dice. Per capire quanti sacrifici il governo di Mario Monti ha imposto agli italiani, e a vantaggio di chi, ci viene in soccorso un grafico che dovrebbe impressionare chiunque lo veda.Si tratta dell’andamento del Pil reale pro-capite tra il 1998 e il 2022 di alcuni Paesi, tra cui l’Italia, mostrato come indice. A seguito dello shock macroeconomico inflitto dalla crisi americana dei mutui subprime nel 2008-2009, l’Italia, applicando le regole europee, vede un crollo del Pil pro-capite dal +10% del 2007 a +2,5% rispetto al 1998. Il nostro Paese era già in difficoltà dal 2002, come mostra il grafico, dunque la crisi innescata dalla banca Lehman Brothers ci trova in condizioni peggiori rispetto agli altri Paesi. Ma proprio mentre l’Italia, nel 2010-11, trova una stentata ripresa (+3,7% rispetto al 1998 nel 2010 e +4,12% nel 2011), a Palazzo Chigi arriva Mario Monti. Le leggi di stabilità per il 2012 e il 2013 del suo governo, a base di tasse e tagli alla spesa, stroncano la crescita del nostro Paese, gettandolo in un abisso dal quale non siamo ancora risaliti. Nel 2012 il Pil pro capite italiano precipita al livello del 1998 e nel 2013 piomba in negativo (-1,16%), al di sotto dei livelli del 1998, dove resta per tre anni. Dal 2016 il Pil pro capite torna a essere superiore a quello del 1998, ma ormai la crescita è compromessa. Nel 2022 l’Italia era meno ricca di quanto lo era nel 2007, 15 anni di ricchezza perduta.I numeri sono di palmare evidenza. Risulta abbastanza facile vedere come siano le pro-cicliche regole europee (cioè l’austerità) a peggiorare la situazione durante la crisi del debito privato tra il 2011 e il 2013. Prova ne sia che Giappone e Stati Uniti crescono nel biennio e nel 2013 sono di nuovo sopra i livelli del 2007, il Regno Unito lo sarà nel 2014, mentre Spagna, Area euro e Unione a 27 decrescono nel biennio 2011-2013 e tornano a crescere dal 2014. In Europa, nel biennio, la Francia resta piatta e solo la Germania, che nel 2011 è già fuori dalla crisi dei mutui americani, continua a crescere, sia pure di poco.Come si vede, le politiche economiche imposte allora al nostro Paese hanno funzionato egregiamente, a patto di pensarle come tese al suo impoverimento scientifico. Il governo Monti di tredici anni fa ha fatto il suo lavoro, che i governi successivi non sono stati in grado di cancellare. Che ora l’ex premier, come ipotizzato dalla Verità, cerchi di proporsi per incarichi europei con l’appoggio dello stesso Paese a cui ha imposto tali politiche, dovrebbe suggerire a tutti un sano esercizio della memoria prima di una risposta univoca: no, grazie.
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