2024-11-11
L'eredità di Arcuri commissario: pagare 203 milioni per una causa
Il Tribunale di Roma ha condannato Palazzo Chigi a risarcire un fornitore di Dpi: il contratto fu revocato su basi illegittime.L’ultimo dei disastri lasciato in eredità della struttura commissariale per l’emergenza Covid è stato certificato dai giudici del Tribunale civile di Roma, che con una sentenza hanno trasferito le conseguenze della catastrofica gestione dell’ex commissario Domenico Arcuri sulla presidenza del Consiglio. Il macroscopico danno ammonta a 203 milioni di euro (interessi a parte) più altri 100.000 di spese legali. Ma leggendo le 31 pagine della decisione non è solo la gigantesca rilevanza economica a colpire, ma anche la descrizione della gestione che avrebbe prodotto il danno. A intentare il giudizio è stata la Jc electronics Italia srl, una società che ha sede a Colleferro, in provincia di Roma. Nel marzo del 2020, in piena emergenza pandemica, l’azienda aveva firmato un contratto di fornitura di mascherine filtranti KN95, commissionate dal dipartimento Protezione civile di Palazzo Chigi, per far fronte alla carenza di dispositivi di protezione individuale. Dopo la nomina di Arcuri a commissario straordinario per l’emergenza Covid i contratti sottoscritti in precedenza era stati trasferiti alla nuova struttura commissariale. La Jc electronics sostiene di aver adempiuto a tutte le obbligazioni del contratto, tra cui la consegna dei Dpi nei magazzini designati, compresa la validazione da parte dell’Inail. A fronte della consegna, però, si è ritrovata con una serie di fatture non pagate. E lamenta di essere stata costretta a ricorrere a risorse proprie per garantire la fornitura. Ma il punto centrale della questione non è questo. Alcune mascherine consegnate sono state contestate dal commissario straordinario con comunicazioni ufficiali, affermando che le certificazioni tecniche richieste erano assenti, sebbene la Jc electronics avesse già ottenuto una validazione alternativa dall’Inail e successivamente anche dalle Dogane. A complicare la situazione è stata la struttura commissariale di risolvere parzialmente e poi totalmente il contratto, chiedendo il ritiro di migliaia di mascherine dai magazzini per presunte irregolarità. La Jc electronics nelle sue memorie ha bollato come «illegittime» le risoluzioni dei contratti, ma ha sostenuto anche che la decisione della controparte avrebbe «influito negativamente sulla sua liquidità, costringendola anche a cedere i crediti per coprire i costi operativi».La battaglia legale verte non solo sulle presunte inadempienze, ma anche sulla legittimità delle risoluzioni contrattuali e sull’efficacia delle mascherine (si parla di 7.857.000 pezzi), in una vicenda che mette in luce le criticità delle procedure d’emergenza durante la pandemia. Il cavillo, poi usato da Arcuri per stracciare il contratto firmato, è legato alla mancata validazione della fornitura da parte del Comitato tecnico scientifico, il Cts, per una asserita mancanza di documentazione tecnica. Ma dal procedimento civile è emerso che il diniego del Cts era dovuto a un difetto di comunicazione interna tra uffici. Le attività giudiziarie hanno rilevato che l’approvazione dell’Inail era stata trasmessa alla struttura commissariale ma, per un errore del responsabile del procedimento, Antonio Fabbrocini, la documentazione non era stata inoltrata al Cts. Sentito sul punto, Fabbrocini ha dichiarato che ciò sarebbe accaduto «per mera svista, o non me ne sono proprio accorto, oppure ho pensato che fosse la stessa email precedente». Test seguenti condotti dalle Dogane, su richiesta del successore di Arcuri, il generale Francesco Figliuolo, hanno confermato la conformità delle mascherine agli standard previsti all’epoca dell’importazione.Arcuri è stato quindi accusato di aver gestito le importazioni in modo da favorire un circuito esclusivo, quello di Vincenzo Tommasi e Mario Benotti (oggi scomparso), due dei mediatori della maxicomessa da 800 milioni di mascherine, pagate 1,2 miliardi di euro. Un’azione che presuppone il «dolo intenzionale». La tesi della Procura di Roma, riportata anche negli atti di un procedimento penale (archiviato) intentato dalla Jc in si fonda su un’informativa del Nucleo valutario della Guardia di finanza del 7 luglio 2022. Secondo l’accusa, Arcuri avrebbe operato intenzionalmente per favorire un sistema di importazioni gestito da Tommasi, creando «una sorta di esclusiva alle importazioni» di del mediatore. Tuttavia, evidenziano i giudici civili, «da tale elemento di giudizio non può desumersi, con la ragionevolezza che richiede l’esercizio dell’azione penale, che il commissario Arcuri abbia dato espressa disposizione a Fabbrocini di ignorare la seconda Pec». Poi, però, aggiungono: «Se ne può avere il sospetto, ma si resta nel campo dell’intuizione personale e non della prova penale». La mancanza di prove dirette, insomma, si è rivelata un ostacolo insormontabile per dare seguito alla denuncia della società. Sta di fatto che la pasticciata gestione del contratto della Jc da parte della struttura commissariale costa allo Stato (presidenza del Consiglio in solido con il ministero della Salute) 203.012.065 euro oltre gli interessi di mora e 119.000 euro di compensi professionali per i legali dell’azienda di Colleferro. La vicenda del contenzioso legale tra la Jc electronics e Palazzo Chigi era diventata di pubblico dominio nel 2023 e sull’onda dell’eco mediatica il deputato di Fratelli d’Italia Paolo Pulciani aveva presentato un’interrogazione parlamentare, indirizzata al ministro per la Protezione civile Nello Musumeci. Nell’atto ispettivo Pulciani riportava un virgolettato dell’informativa finale della Guardia di finanza nel procedimento a carico di Arcuri, di Fabbrocini e dei mediatori: «La scrupolosità seguita dalla struttura commissariale per le mascherine della Jc non sembrerebbe essersi registrata con gli acquisti in Cina delle mascherine fatte dalla stessa struttura con la mediazione del giornalista Rai Mario Benotti. In particolare, le mascherine importate da Benotti presentavano delle criticità sia in fase di sdoganamento che in relazione all’autenticità delle certificazioni».
Roberto Gualtieri, sindaco di Roma (Imagoeconomica)
Il corteo contro lo sgombero del Leoncavallo a Milano (Ansa)
Antonio Decaro (Imagoeconomica)