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2022-03-26
L’«arma» del Papa: un mondo in preghiera
Papa Francesco (Ansa)
«A Maria, Madre del Redentore, affidiamo il grido di pace delle popolazioni oppresse dalla guerra e dalla violenza, perché il coraggio del dialogo e della riconciliazione prevalga sulle tentazioni di vendetta, di prepotenza, di corruzione». Con queste parole, affidate a un tweet, papa Francesco ha cominciato la sua giornata di ieri, culminata poi nel tardo pomeriggio con la preghiera di consacrazione al cuore immacolato di Maria del mondo intero e in modo particolare di Russia e Ucraina. Un momento di grande significato spirituale, ma anche di grande valore per la vita terrena, perché tra anima e corpo, tra preghiera e azione, c’è un canale diretto. «Alzare lo sguardo alle stelle», ha scritto ieri monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico di Mosca, «significa introdurre un fattore imprevisto, ma certo sul destino degli uomini». Lo ha ripetuto anche Francesco nella liturgia penitenziale che ha preceduto la consacrazione: «Noi da soli non riusciamo a risolvere le contraddizioni della storia e nemmeno quelle del nostro cuore. Abbiamo bisogno della forza sapiente e mite di Dio…».
Non comprendere che una preghiera può fermare un missile è parte di quella malattia che attraversa il mondo e che Benedetto XVI, che ieri si è unito alla consacrazione in forma privata dal monastero Mater Ecclesiae, diagnosticava nel «vivere come se Dio non esistesse». È, infatti, la conversione del cuore che permette di cambiare lo sguardo sulla realtà e così vedere quello che agli occhi sembra invisibile. Le parole di vergogna del Papa su quel «gruppo di Stati» che «si sono impegnati a spendere il 2% del Pil in armi, come risposta a ciò che sta succedendo», hanno fatto balbettare molti. Per il Papa, è una «pazzia», ma tanti commentatori, anche intraecclesiali, indossato l’elmetto, non si capacitano del perché non lo indossi anche Francesco. In realtà non è difficile comprendere il senso delle parole del Papa, spese per instaurare «un modo diverso di governare il mondo». Per farlo basta avvertire il senso «metafisico» di ciò che è accaduto ieri pomeriggio.
Non si è pronunciato un pio rituale scaramantico, ma una preghiera. Peraltro, il riferimento è al messaggio di Fatima, dove ieri il cardinale Konrad Krajewski ha realizzato in contemporanea l’atto. La Vergine nel 1917 ha rivelato a tre pastorelli che per evitare guerre e dolori (anche nella Chiesa) era necessario pentirsi e tornare a Dio. Un messaggio rivolto innanzitutto all’Occidente, a quell’Europa che era sul punto di dimenticare completamente le proprie radici cristiane e alla vigilia della rivoluzione bolscevica; perché «la Russia non sparga i suoi errori per il mondo» è necessario, chiese la Madonna, compiere «la consacrazione della Russia al mio cuore immacolato e la comunione riparatrice nei primi sabati del mese». Questa richiesta, al di là delle polemiche sull’effettiva precisione della consacrazione, si ritiene sia stata esaudita nel 1984, sempre il 25 di marzo, da Giovanni Paolo II, tanto che in molte interpretazioni il crollo del muro di Berlino nel 1989 e quello del sistema imperiale socialcomunista, consumato nel 1991, sarebbero appunto frutto di quell’atto finalmente accolto dal Cielo. In ogni caso ci sono alcuni passaggi del messaggio di Fatima che sono ancora «aperti», il primo riguarda proprio la «conversione» della Russia. L’altro punto ancora aperto è la promessa del trionfo finale del cuore immacolato di Maria per cui la condizione è: «Penitenza, penitenza, penitenza!». «Se vogliamo che il mondo cambi», ha detto ieri Francesco, «deve cambiare anzitutto il nostro cuore», e ha chiesto di fissare lo sguardo sul cuore di Maria perché «lì la storia ha svoltato».
La consacrazione al cuore immacolato, ha detto il Papa, non è «una formula magica, ma un atto spirituale» che rimanda alla conversione. Per far fermare i missili con la preghiera occorre che il cuore dell’uomo si penta. L’atto di consacrazione, ha scritto il vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, «non vuol cambiare il cuore di Maria santissima o di Gesù [...], ma chiede il loro aiuto per cambiare i cuori degli uomini». Il Papa si è recato nel confessionale, dando l’esempio di quello che ieri ha predicato: è necessario mettere «in primo piano la prospettiva di Dio: così torneremo ad affezionarci alla confessione. Ne abbiamo bisogno, perché ogni rinascita interiore, ogni svolta spirituale comincia da qui, dal perdono di Dio».
Il rinnovo della consacrazione della Chiesa e dell’umanità intera e, in modo particolare, il popolo ucraino e il popolo russo, ha detto Francesco, «è il gesto del pieno affidamento dei figli che, nella tribolazione di questa guerra crudele e insensata che minaccia il mondo, ricorrono alla Madre, gettando nel suo cuore paura e dolore, consegnando sé stessi a lei». Nel mondo intero è stato impressionante il coinvolgimento di vescovi, santuari mariani, parrocchie, gruppi, famiglie, tutti in ginocchio in una preghiera corale come raramente si era vista, forse mai prima d’ora.
L’inno alla Vergine di Dante ci ricorda che Maria «è di speranza fontana vivace» e, rivolgendosi a lei, il sommo poeta dice che chi «vuol grazia e a te non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali». Papa Francesco, con tutti i vescovi del mondo uniti a lui, compreso il Papa emerito, dimostra che vuole volare e sa dove sono le ali: «E mentre il rumore delle armi non tace, la tua preghiera ci disponga alla pace», implora il Papa mettendo nel cuore della Madre di tutte le grazie il mondo intero e in modo speciale Russia e Ucraina. Perché «abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi».
Bersani sposa la linea militarista. A sinistra il pacifismo non tira più
La sinistra e le armi all’Ucraina: il cortocircuito tra il tradizionale «pacifismo» degli ex compagni e la svolta militarista che invece sta caratterizzando le dichiarazioni dei big (se così si possono chiamare leader di partiti del 2%) è assai curioso, e altrettanto interessante. Semplificando al massimo un tema articolato, i sinistrati al governo ingoiano tutte le decisioni di Mario Draghi senza fiatare, mentre quelli all’opposizione sono liberi di esprimere il loro dissenso.
Prendiamo quel mansuetone di Pier Luigi Bersani, deputato di Articolo uno, il micro partito di Roberto Speranza. Sull’invio delle armi all’Ucraina e sull’aumento delle spese militari, Bersani parla come un «falco» dell’amministrazione americana: «Io su questo», dice Bersani a Tpi, «sono molto netto: non possiamo decidere noi se loro devono resistere o no. Trovo molto cinico il discorso di chi dice che è meglio se si arrendano. Solo loro possono deciderlo, ma finché non lo decidono la nostra linea è aiutarli ad aiutarsi. Che significa mandare armi e intensificare le sanzioni contro Putin, ma senza andare oltre. L’aumento delle spese militari? Nel tragico», aggiunge Bersani, «spunta sempre il ridicolo. Si fa polemica su un ordine del giorno che sostanzialmente conferma un impegno preso nel 2014 e sempre disatteso. Io penso che dopo l’Ucraina il mondo non sarà come prima e l’Europa dovrà darsi un nuovo modello di difesa».
A cosa è dovuta questa posizione di Bersani? Innanzitutto al fatto che, come dicevamo, Articolo uno è al governo, ma indiscrezioni attendibili raccontano anche che il partitino di Roberto Speranza starebbe per confluire nel Pd. O meglio: visto che alle prossime elezioni politiche sarebbe impossibile per Bersani & C. essere eletti con il loro simbolo, l’ipotesi più accreditata è che alcuni degli esponenti principali saranno ospitati come indipendenti nelle liste dem, in modo da ottenere qualche poltroncina in Parlamento.
Per sondare un po’ gli umori della sinistra cosiddetta radicale abbiamo sfogliato anche il Manifesto di questi ultimi giorni, e la confusione regna sovrana: editoriali pacifisti si alternano a commenti favorevoli all’invio delle armi in Ucraina.
Chi invece, essendo all’opposizione, può dire quello che vuole è Sinistra italiana, altro partitino di sinistra: «Condanniamo l’invasione della Russia in maniera molto netta», dice alla Verità Peppe De Cristofaro, ex sottosegretario ed esponente della segreteria nazionale di Si, «è un fatto gravissimo che nulla e nessuno può giustificare. Pensiamo che l’invio delle armi in Ucraina alimenti la guerra, piuttosto che aiutare a fermarla. Ci vorrebbe una grande offensiva diplomatica dell’Europa, il cui limite è proprio quello di non riuscire ad agire come soggetto politico».
Manco a dirlo, nel M5s regna il caos dopo che Giuseppe Conte ha annunciato il «no» del M5s all’aumento delle spese militari, senza escludere una crisi di governo. Un’affermazione che ha scatenato la consueta bagarre interna, in vista dell’ordine del giorno sull’argomento che verrà votato la settimana prossima in Senato. Alla Camera, i pentastellati hanno votato a favore dell’aumento al 2% del Pil delle spese militari, ora c’è incertezza su cosa accadrà a Palazzo Madama: «Si sta parlando di ordini del giorno», minimizza il capogruppo del M5s al Senato, Mariolina Castellone, «e gli ordini del giorno non sono un decreto o una legge ma un impegno che si chiede al governo. io credo che il prossimo momento di discussione sulle spese militari sarà il Documento di economia e finanza dove verranno stanziate le risorse».
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Con la consacrazione della Russia e dell’Ucraina a Maria, il Pontefice ha invitato tutti i popoli a una «svolta spirituale». Da Roma e da Fatima, dove ha inviato il cardinale Konrad Krajewski. Chiarendo che la pace non arriverà né da «formule magiche», né dai missili.Il padre di Articolo Uno Pierluigi Bersani: «Cinico chiedere la resa, sul riarmo vedo polemiche inutili».Lo speciale contiene due articoli.«A Maria, Madre del Redentore, affidiamo il grido di pace delle popolazioni oppresse dalla guerra e dalla violenza, perché il coraggio del dialogo e della riconciliazione prevalga sulle tentazioni di vendetta, di prepotenza, di corruzione». Con queste parole, affidate a un tweet, papa Francesco ha cominciato la sua giornata di ieri, culminata poi nel tardo pomeriggio con la preghiera di consacrazione al cuore immacolato di Maria del mondo intero e in modo particolare di Russia e Ucraina. Un momento di grande significato spirituale, ma anche di grande valore per la vita terrena, perché tra anima e corpo, tra preghiera e azione, c’è un canale diretto. «Alzare lo sguardo alle stelle», ha scritto ieri monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico di Mosca, «significa introdurre un fattore imprevisto, ma certo sul destino degli uomini». Lo ha ripetuto anche Francesco nella liturgia penitenziale che ha preceduto la consacrazione: «Noi da soli non riusciamo a risolvere le contraddizioni della storia e nemmeno quelle del nostro cuore. Abbiamo bisogno della forza sapiente e mite di Dio…».Non comprendere che una preghiera può fermare un missile è parte di quella malattia che attraversa il mondo e che Benedetto XVI, che ieri si è unito alla consacrazione in forma privata dal monastero Mater Ecclesiae, diagnosticava nel «vivere come se Dio non esistesse». È, infatti, la conversione del cuore che permette di cambiare lo sguardo sulla realtà e così vedere quello che agli occhi sembra invisibile. Le parole di vergogna del Papa su quel «gruppo di Stati» che «si sono impegnati a spendere il 2% del Pil in armi, come risposta a ciò che sta succedendo», hanno fatto balbettare molti. Per il Papa, è una «pazzia», ma tanti commentatori, anche intraecclesiali, indossato l’elmetto, non si capacitano del perché non lo indossi anche Francesco. In realtà non è difficile comprendere il senso delle parole del Papa, spese per instaurare «un modo diverso di governare il mondo». Per farlo basta avvertire il senso «metafisico» di ciò che è accaduto ieri pomeriggio.Non si è pronunciato un pio rituale scaramantico, ma una preghiera. Peraltro, il riferimento è al messaggio di Fatima, dove ieri il cardinale Konrad Krajewski ha realizzato in contemporanea l’atto. La Vergine nel 1917 ha rivelato a tre pastorelli che per evitare guerre e dolori (anche nella Chiesa) era necessario pentirsi e tornare a Dio. Un messaggio rivolto innanzitutto all’Occidente, a quell’Europa che era sul punto di dimenticare completamente le proprie radici cristiane e alla vigilia della rivoluzione bolscevica; perché «la Russia non sparga i suoi errori per il mondo» è necessario, chiese la Madonna, compiere «la consacrazione della Russia al mio cuore immacolato e la comunione riparatrice nei primi sabati del mese». Questa richiesta, al di là delle polemiche sull’effettiva precisione della consacrazione, si ritiene sia stata esaudita nel 1984, sempre il 25 di marzo, da Giovanni Paolo II, tanto che in molte interpretazioni il crollo del muro di Berlino nel 1989 e quello del sistema imperiale socialcomunista, consumato nel 1991, sarebbero appunto frutto di quell’atto finalmente accolto dal Cielo. In ogni caso ci sono alcuni passaggi del messaggio di Fatima che sono ancora «aperti», il primo riguarda proprio la «conversione» della Russia. L’altro punto ancora aperto è la promessa del trionfo finale del cuore immacolato di Maria per cui la condizione è: «Penitenza, penitenza, penitenza!». «Se vogliamo che il mondo cambi», ha detto ieri Francesco, «deve cambiare anzitutto il nostro cuore», e ha chiesto di fissare lo sguardo sul cuore di Maria perché «lì la storia ha svoltato».La consacrazione al cuore immacolato, ha detto il Papa, non è «una formula magica, ma un atto spirituale» che rimanda alla conversione. Per far fermare i missili con la preghiera occorre che il cuore dell’uomo si penta. L’atto di consacrazione, ha scritto il vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, «non vuol cambiare il cuore di Maria santissima o di Gesù [...], ma chiede il loro aiuto per cambiare i cuori degli uomini». Il Papa si è recato nel confessionale, dando l’esempio di quello che ieri ha predicato: è necessario mettere «in primo piano la prospettiva di Dio: così torneremo ad affezionarci alla confessione. Ne abbiamo bisogno, perché ogni rinascita interiore, ogni svolta spirituale comincia da qui, dal perdono di Dio». Il rinnovo della consacrazione della Chiesa e dell’umanità intera e, in modo particolare, il popolo ucraino e il popolo russo, ha detto Francesco, «è il gesto del pieno affidamento dei figli che, nella tribolazione di questa guerra crudele e insensata che minaccia il mondo, ricorrono alla Madre, gettando nel suo cuore paura e dolore, consegnando sé stessi a lei». Nel mondo intero è stato impressionante il coinvolgimento di vescovi, santuari mariani, parrocchie, gruppi, famiglie, tutti in ginocchio in una preghiera corale come raramente si era vista, forse mai prima d’ora.L’inno alla Vergine di Dante ci ricorda che Maria «è di speranza fontana vivace» e, rivolgendosi a lei, il sommo poeta dice che chi «vuol grazia e a te non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali». Papa Francesco, con tutti i vescovi del mondo uniti a lui, compreso il Papa emerito, dimostra che vuole volare e sa dove sono le ali: «E mentre il rumore delle armi non tace, la tua preghiera ci disponga alla pace», implora il Papa mettendo nel cuore della Madre di tutte le grazie il mondo intero e in modo speciale Russia e Ucraina. Perché «abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/l-arma-del-papa-un-mondo-in-preghiera-2657041124.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bersani-sposa-la-linea-militarista-a-sinistra-il-pacifismo-non-tira-piu" data-post-id="2657041124" data-published-at="1648244188" data-use-pagination="False"> Bersani sposa la linea militarista. A sinistra il pacifismo non tira più La sinistra e le armi all’Ucraina: il cortocircuito tra il tradizionale «pacifismo» degli ex compagni e la svolta militarista che invece sta caratterizzando le dichiarazioni dei big (se così si possono chiamare leader di partiti del 2%) è assai curioso, e altrettanto interessante. Semplificando al massimo un tema articolato, i sinistrati al governo ingoiano tutte le decisioni di Mario Draghi senza fiatare, mentre quelli all’opposizione sono liberi di esprimere il loro dissenso. Prendiamo quel mansuetone di Pier Luigi Bersani, deputato di Articolo uno, il micro partito di Roberto Speranza. Sull’invio delle armi all’Ucraina e sull’aumento delle spese militari, Bersani parla come un «falco» dell’amministrazione americana: «Io su questo», dice Bersani a Tpi, «sono molto netto: non possiamo decidere noi se loro devono resistere o no. Trovo molto cinico il discorso di chi dice che è meglio se si arrendano. Solo loro possono deciderlo, ma finché non lo decidono la nostra linea è aiutarli ad aiutarsi. Che significa mandare armi e intensificare le sanzioni contro Putin, ma senza andare oltre. L’aumento delle spese militari? Nel tragico», aggiunge Bersani, «spunta sempre il ridicolo. Si fa polemica su un ordine del giorno che sostanzialmente conferma un impegno preso nel 2014 e sempre disatteso. Io penso che dopo l’Ucraina il mondo non sarà come prima e l’Europa dovrà darsi un nuovo modello di difesa». A cosa è dovuta questa posizione di Bersani? Innanzitutto al fatto che, come dicevamo, Articolo uno è al governo, ma indiscrezioni attendibili raccontano anche che il partitino di Roberto Speranza starebbe per confluire nel Pd. O meglio: visto che alle prossime elezioni politiche sarebbe impossibile per Bersani & C. essere eletti con il loro simbolo, l’ipotesi più accreditata è che alcuni degli esponenti principali saranno ospitati come indipendenti nelle liste dem, in modo da ottenere qualche poltroncina in Parlamento. Per sondare un po’ gli umori della sinistra cosiddetta radicale abbiamo sfogliato anche il Manifesto di questi ultimi giorni, e la confusione regna sovrana: editoriali pacifisti si alternano a commenti favorevoli all’invio delle armi in Ucraina. Chi invece, essendo all’opposizione, può dire quello che vuole è Sinistra italiana, altro partitino di sinistra: «Condanniamo l’invasione della Russia in maniera molto netta», dice alla Verità Peppe De Cristofaro, ex sottosegretario ed esponente della segreteria nazionale di Si, «è un fatto gravissimo che nulla e nessuno può giustificare. Pensiamo che l’invio delle armi in Ucraina alimenti la guerra, piuttosto che aiutare a fermarla. Ci vorrebbe una grande offensiva diplomatica dell’Europa, il cui limite è proprio quello di non riuscire ad agire come soggetto politico». Manco a dirlo, nel M5s regna il caos dopo che Giuseppe Conte ha annunciato il «no» del M5s all’aumento delle spese militari, senza escludere una crisi di governo. Un’affermazione che ha scatenato la consueta bagarre interna, in vista dell’ordine del giorno sull’argomento che verrà votato la settimana prossima in Senato. Alla Camera, i pentastellati hanno votato a favore dell’aumento al 2% del Pil delle spese militari, ora c’è incertezza su cosa accadrà a Palazzo Madama: «Si sta parlando di ordini del giorno», minimizza il capogruppo del M5s al Senato, Mariolina Castellone, «e gli ordini del giorno non sono un decreto o una legge ma un impegno che si chiede al governo. io credo che il prossimo momento di discussione sulle spese militari sarà il Documento di economia e finanza dove verranno stanziate le risorse».
Marco Scatarzi in foto piccola (Ansa)
Marco Scatarzi, dal 2017 direttore di Passaggio al bosco, è stanco ma tranquillo, di sicuro soddisfatto nonostante i momenti di tensione. Con La Verità ripercorre i passaggi che hanno portato il suo marchio ad avere uno stand alla fiera romana «Più libri più liberi». «Da anni facevamo domanda di partecipazione con la regolare modulistica e per anni siamo stati sempre avvisati che gli spazi non erano disponibili», spiega. «Anche quest’anno in realtà avevamo ricevuto l’email che appunto ci avvisava della mancanza di spazi disponibili, poi però siamo stati ripescati a settembre e ci è stato concesso uno stand».
Come mai?
«Perché lo scorso anno, in polemica con l’organizzazione, molte case editrici di sinistra avevano disdetto la prenotazione e quindi hanno liberato spazi».
Dunque esiste una polemica interna fra la direzione della fiera e le case editrici?
«Mi sembra di aver colto questa polemica che si protrae da anni, per le più svariate motivazioni che ogni anno cambiano. Quest’anno è stata Passaggio al bosco l’oggetto del contendere, ma una dialettica accesa esiste da tempo».
Che cosa vi è stato richiesto per partecipare?
«C’è un regolamento da sottoscrivere con varie clausole, che per altro molti hanno citato nei giorni scorsi. Si chiede il rispetto della Costituzione, dei diritti umani... E poi ovviamente c’è la quota di pagamento che attesta appunto l’affitto dello spazio».
Fate richiesta da anni. Nessuno vi aveva mai detto nulla?
«No, assolutamente no».
Poi è arrivato l’appello, la richiesta di cacciarvi da parte di un centinaio tra autori e case editrici. Come ne siete venuti a conoscenza?
«Lo abbiamo appreso dai social network dopo che l’onorevole Fiano, con un post, ha chiesto il nostro allontanamento dalla fiera. Quel post ha generato nei giorni seguenti l’appello di Zerocalcare e degli altri intellettuali, se così possiamo definirli, che appunto chiedevano di mandarci via».
Vi hanno accusato di essere fascisti e neonazisti. Cosa rispondete?
«Che abbiamo un catalogo vastissimo, con parecchie di collane, 300 titoli e un pluriverso di autori che spaziano geograficamente in tutto il mondo e in tutte le anime della cosiddetta “destra”. Abbiamo un orientamento identitario e cerchiamo di rappresentare le varie anime del pensiero della destra, dando corpo ad un approfondimento che abbraccia storia, filosofia, società, geopolitica, sport, viaggi e molto altro. Ovviamente, come da prassi, il tutto viene sistematicamente strumentalizzato attraverso i soliti spauracchi caricaturali: ciò che disturba, senza dubbio, è la diffusione di un pensiero non allineato, soprattutto sui temi di stretta attualità. Le voci libere dal coro unanime del progressismo, si sa, sono sempre oggetto di demonizzazione».
Vi hanno rimproverato di aver pubblicato Léon Degrelle.
«Rispondo citando ciò che Roberto Saviano ha detto a Più libri più liberi, quando ha risposto alle polemiche alzate dai firmatari della petizione: tutti i libri hanno il diritto di essere letti e di esistere. Non abbiamo bisogno di badanti ideologiche… Ebbene, noi cerchiamo di offrire uno sguardo diverso, un punto di vista anche radicale, perché riteniamo che sia importante conoscere tutto. E non ci sentiamo di dover prendere lezioni di morale da chi magari nei propri cataloghi - del tutto legittimamente, perché io per primo li leggo - ha libri altrettanto radicali, benché di orientamento opposto a quello che viene rimproverato a noi».
Come è stata la permanenza alla fiera?
«Ci sono state molte contestazioni, diverse aggressioni verbali, cortei improvvisati, cori con “Bella ciao” e tentativi di boicottaggio che hanno cercato di minare la nostra partecipazione. Non ce ne lamentiamo: abbiamo risposto con la forza tranquilla del nostro sorriso, svolgendo il nostro lavoro».
E i vertici della fiera? È venuto qualcuno a parlare con voi?
«Sì, naturalmente. Hanno apprezzato il nostro profilo asciutto e professionale. Qualcuno ha scambiato la fiera per un centro sociale, ma non ci siamo mai fatti intimorire o provocare. Abbiamo evitato in ogni modo possibile di alimentare la polemica e non ci siamo prestati alla ribalta mediatica provocazioni anzi le abbiamo anche accolte col sorriso e non abbiamo neanche cercato la ribalta mediatica: il nostro - appunto - è un lavoro editoriale di approfondimento. Può non piacere, ma ha diritto di esprimersi».
Zerocalcare dice che avete organizzato un’operazione politica, che siete organici al partito di governo.
«Ovviamente non esiste alcuna operazione politica: esiste soltanto una casa editrice che partecipa ad una fiera dedicata ai libri. L’operazione politica - semmai - è quella della sinistra radicale che si organizza per montare una polemica, cercando di censurare chi la pensa diversamente. Hanno montato una polemica politica stucchevole, che molti hanno condannato anche da sinistra. Peraltro, sottolineo ancora una volta che Passaggio al bosco contiene in sé un pluriverso enorme di autori, di esperienze, di persone e di realtà: alcune sono impegnate politicamente, molte altre no. Di certo, non può essere ritenuta organica ad alcunché, se non alla propria attività di divulgazione culturale. Ma poi, con quale coraggio una sinistra radicale che fa sistema da anni, spesso con la logica della “cupola”, si permette di avanzare simili obiezioni?»
Chiederete di partecipare a Più libri più liberi anche l’anno prossimo?
«Certamente. Chiederemo di partecipare - come quest’anno - ad un festival che ospita gli editori. Saremo felici di esserci con i nostri testi, con i nostri autori e con la nostra attività. Sicuramente, anche al di là delle contestazioni, quella appena conclusa è stata un’esperienza importante, in una fiera ben organizzata e molto bella. Avremmo piacere di ripeterla».
Avete venduto bene?
«Abbiamo venduto benissimo, terminando tutti i nostri libri. Per quattro volte siamo dovuti tornare a rifornirci in Toscana e il nostro è stato certamente uno degli stand più visitati della fiera. Il boicottaggio ha sortito l’effetto contrario: ci hanno contattato già centinaia di autori, di distributori, di traduttori, di agenti pubblicitari e di addetti ai lavori. Ogni tipo di figura operante nel campo dell’editoria non solo ci ha mostrato solidarietà, ma è venuta da noi a conoscerci e a proporci nuove collaborazioni. Quindi, se prima eravamo una casa editrice emergente, adesso abbiamo accesso ad un pubblico più ampio e a canali che ci permetteranno di arrivare là dove non eravamo mai arrivati».
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Un’associazione che non ha mai fatto del male a nessuno e che porta avanti un’agenda pro life attraverso tre direttrici fondamentali: fare pressione politica affinché anche questa visione del mondo venga accolta dalle istituzioni internazionali; educare i giovani al rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale; e, infine, promuovere attività culturali, come ad esempio scambi internazionali ed Erasmus, affinché i giovani si sviluppino integralmente attraverso il bello.
In passato, la World youth alliance ha ottenuto, come è giusto che sia, diversi finanziamenti da parte dell’Unione europea (circa 1,2 milioni) senza che nessuno dicesse alcunché. Ora però qualcosa è cambiato. La World youth alliance, infatti, ha partecipato ad alcuni bandi europei ottenendo oltre 400.000 euro di fondi per organizzare le proprie attività. La normalità, insomma. Poi però sono arrivate tre interrogazioni da parte dei partiti di sinistra, che hanno evidenziato come gli ideali portati avanti da questa associazione siano contrari (secondo loro) all’articolo 14 dell’Accordo di sovvenzione, secondo cui «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società in cui prevalgono il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra donne e uomini».
Il punto, però, è che la World youth alliance non ha mai contraddetto questi valori, ma ha semplicemente portato avanti una visione pro life, come è lecito che sia, e sostenuto che si può non abortire. Che c’è sempre speranza. Che la vita, di chiunque essa sia, va sempre difesa. Che esistono solamente due sessi. Posizioni che, secondo la sinistra, sarebbero contrarie ai valori dell’Ue.
Come nota giustamente l’eurodeputato Paolo Inselvini (Fdi) da cui è partita la denuncia dopo che la World youth alliance si è rivolta a lui affidandogli i documenti, le interrogazioni presentate fanno riferimento a documenti politici che non esistevano nel momento in cui è stata fatta la richiesta di fondi e che ora vengono utilizzati in modo retroattivo. Come, per esempio, la Strategia europea Lgbtiq 2026-2030, che è stata adottata lo scorso ottobre, e la Roadmap sui diritti delle donne, che è stata comunicata in Commissione nel marzo del 2025. Documenti che ora vengono utilizzati come clave per togliere i fondi.
Secondo Inselvini, che a breve invierà una lettera in cui chiederà chiarimenti alla Commissione europea, «si stanno costruendo “nuovi valori europei” non sulla base dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali o della tradizione giuridica europea, ma sulla base di orientamenti politici tutt’altro che condivisi dai cittadini europei».
Ma non solo. In questo modo, prosegue l’eurodeputato, «i fondi vanno sempre agli stessi. Questa vicenda, infatti, si inserisce in un quadro più ampio: fondi e spazi istituzionali sembrano essere accessibili solo a chi promuove l’agenda progressista. Basta guardare alle priorità politiche ed economiche: 3,6 miliardi trovati senza esitazione per la nuova strategia Lgbtq+, mentre le realtà che non si allineano vengono marginalizzate, ignorate o addirittura sanzionate. L’Europa non può diventare un sistema di fidelizzazione ideologica in cui si accede a risorse pubbliche solo a condizione di adottare un certo vocabolario e una certa visione del mondo».
Perché è proprio questo che è diventata oggi l’Ue: un ente che punisce chiunque osi pensarla diversamente. Un’organizzazione che è diventata il megafono delle minoranze, soprattutto quelle Lgbt, e che non ammette alcuna contraddizione. Chi osa esprimere dubbi, o semplicemente il proprio pensiero, viene punito. Via i fondi alla Fafce e alla World youth alliance, quindi.
Il tutto in nome del rispetto per le opinioni degli altri. «Se oggi si arriva a censire, controllare e punire un’organizzazione non per quello che fa, ma per quello che crede, allora significa che qualcosa si è rotto», conclude Inselvini.
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(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.