2022-01-06
Kazakistan in fiamme per il caro energia. La crociata ecologista destabilizza il mondo
Da giorni il Paese è dilaniato da scontri di piazza: i manifestanti hanno rubato le armi ai poliziotti. Rogo nel municipio di Almaty.È sempre più tesa la situazione in Kazakistan, la più grande economia dell’Asia centrale, che sta soffrendo per la caduta dei prezzi del petrolio (di cui è grande esportatore) e per la svalutazione del tenge, la moneta locale. Da alcuni giorni la popolazione manifesta contro l’aumento del prezzo del gas naturale liquido utilizzato per riscaldare le case e come carburante per le automobili. Ma questo ennesimo aumento è l’ultima goccia di benzina sul fuoco del dissenso della popolazione kazaka che da tempo vede aumentare il prezzo dei generi alimentari, della benzina, dei materiali da costruzione e del prezzo dei servizi pubblici, per altro inefficienti, mentre i loro salari restano sempre gli stessi, la disoccupazione aumenta e i membri dell’élite politica si arricchiscono a dismisura e mostrano senza alcun pudore sui social network auto di lusso, abiti firmati e vacanze da nababbi. Lo scorso 4 gennaio il governo guidato dal primo ministro Askar Uzakbaiuly Mamin aveva tentato di fare marcia indietro (seppur parziale) annunciando una riduzione dei prezzi, ma l’operazione non è servita a fermare le proteste di piazza che hanno messo in condizioni insostenibili l’esecutivo che è stato costretto alle dimissioni dal presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev che in queste ore avrebbe anche estromesso dal Consiglio di sicurezza il suo predecessore e padre padrone della repubblica ex sovietica Nursultan Nazarbayev, dopo che aveva imposto lo stato di emergenza ad Almaty, capitale finanziaria, e nella provincia occidentale di Mangystau oltre che nella capitale Nur-Sultan che in kazako vuol dire «Sultano di luce», dove ora vige il coprifuoco notturno. Ma anche queste misure non sono bastate a fermare le proteste tanto che ad Almaty, la città più popolosa del Kazakistan, migliaia di persone sono scese ancora in strada e alcune sono riuscite a entrare nel palazzo del municipio (mentre scriviamo è in fiamme); intanto l’aeroporto di Almaty è stato chiuso e le forze dell’ordine utilizzano granate stordenti e gas lacrimogeni contro i manifestanti. La riposta delle autorità non si è fatta attendere visto che Tokayev ha promesso una «risposta dura» ai tumulti, tanto che già 200 persone sono finite in carcere. Ma c’è un dato da non sottovalutare: tra le forze dell’ordine ci sarebbero dei morti e più di 100 feriti, alcuni dei quali colpiti da armi di fuoco che i manifestanti hanno rubato dalle stazioni di polizia assaltate, mentre nella città di Aktobe secondo il sito web Orda.kz «la polizia si rifiuta di arrestare i manifestanti in quanto solidale con loro». In queste ore, come già visto in questi casi, in altri Paesi dell’area e in Turchia le autorità stanno rendendo molto difficile l’utilizzo della rete internet, di Whatsapp, Telegram e di Signal per evitare che la protesta si allarghi in tutto il Paese ma non solo: il timore è che la miccia delle proteste di piazza si accenda anche nella altre Repubbliche dell’Asia centrale dove i segnali di inquietudine da mesi si fanno sempre più consistenti e dove il terrorismo islamico è spettatore interessato pronto a intervenire, come lo stesso Vladimir Putin ha recentemente sottolineato parlando degli oltre 100 attentati sventati solo nella Federazione Russa nel 2021. E da dove provenivano la maggior parte di coloro che volevano fare strage di innocenti ad esempio a Mosca? Dall’Asia centrale. Il Cremlino segue con attenzione quanto accade in queste ore in Kazakistan e il portavoce del ministero degli Esteri russo Dmitry Peskov, ha affermato all’agenzia stampa Ria Novosti: «Stiamo seguendo da vicino la situazione e al momento non vi sono informazioni di cittadini russi feriti nei disordini». Il portavoce ha anche aggiunto: «Il Kazakistan non ha chiesto assistenza alla Russia in relazione alle massicce proteste in corso nel Paese ed è importante che nessuno interferisca» nella crisi kazaka concludendo che «siamo convinti che i nostri amici del Kazakistan possono risolvere i loro problemi interni in modo autonomo». Mentre le proteste si allargano nel resto del Paese nessuno è in grado di prevedere come proseguirà la carriera politica di Kassym-Jomart Tokayev, diventato presidente come mero esecutore delle volontà di Nazarbayev che ha governato il Kazakistan dal 1989 al 2019 e che mantiene il controllo sul Paese come presidente del Consiglio di sicurezza e Leader della nazione, un ruolo questo che gli consente di definire le politiche del Kazakistan oltre a garantirgli l’immunità da qualsiasi azione giudiziaria. Se davvero Nazarbayev è stato messo nell’angolo due sono i casi: o Vladimir Putin, del quale Nazarbayev è stato ed è fedele alleato, sapeva e ha dato comunque il via libera, oppure Kassym-Jomart Tokayev ha tentato di emanciparsi cogliendo l’occasione delle proteste senza consultare lo Zar di Mosca. Se fosse così a Tokayev ci sentiamo di dare un buon consiglio: faccia le valigie. Velocemente.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)