Kazakistan in fiamme per il caro energia. La crociata ecologista destabilizza il mondo

È sempre più tesa la situazione in Kazakistan, la più grande economia dell’Asia centrale, che sta soffrendo per la caduta dei prezzi del petrolio (di cui è grande esportatore) e per la svalutazione del tenge, la moneta locale. Da alcuni giorni la popolazione manifesta contro l’aumento del prezzo del gas naturale liquido utilizzato per riscaldare le case e come carburante per le automobili. Ma questo ennesimo aumento è l’ultima goccia di benzina sul fuoco del dissenso della popolazione kazaka che da tempo vede aumentare il prezzo dei generi alimentari, della benzina, dei materiali da costruzione e del prezzo dei servizi pubblici, per altro inefficienti, mentre i loro salari restano sempre gli stessi, la disoccupazione aumenta e i membri dell’élite politica si arricchiscono a dismisura e mostrano senza alcun pudore sui social network auto di lusso, abiti firmati e vacanze da nababbi.
Lo scorso 4 gennaio il governo guidato dal primo ministro Askar Uzakbaiuly Mamin aveva tentato di fare marcia indietro (seppur parziale) annunciando una riduzione dei prezzi, ma l’operazione non è servita a fermare le proteste di piazza che hanno messo in condizioni insostenibili l’esecutivo che è stato costretto alle dimissioni dal presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev che in queste ore avrebbe anche estromesso dal Consiglio di sicurezza il suo predecessore e padre padrone della repubblica ex sovietica Nursultan Nazarbayev, dopo che aveva imposto lo stato di emergenza ad Almaty, capitale finanziaria, e nella provincia occidentale di Mangystau oltre che nella capitale Nur-Sultan che in kazako vuol dire «Sultano di luce», dove ora vige il coprifuoco notturno. Ma anche queste misure non sono bastate a fermare le proteste tanto che ad Almaty, la città più popolosa del Kazakistan, migliaia di persone sono scese ancora in strada e alcune sono riuscite a entrare nel palazzo del municipio (mentre scriviamo è in fiamme); intanto l’aeroporto di Almaty è stato chiuso e le forze dell’ordine utilizzano granate stordenti e gas lacrimogeni contro i manifestanti.
La riposta delle autorità non si è fatta attendere visto che Tokayev ha promesso una «risposta dura» ai tumulti, tanto che già 200 persone sono finite in carcere. Ma c’è un dato da non sottovalutare: tra le forze dell’ordine ci sarebbero dei morti e più di 100 feriti, alcuni dei quali colpiti da armi di fuoco che i manifestanti hanno rubato dalle stazioni di polizia assaltate, mentre nella città di Aktobe secondo il sito web Orda.kz «la polizia si rifiuta di arrestare i manifestanti in quanto solidale con loro». In queste ore, come già visto in questi casi, in altri Paesi dell’area e in Turchia le autorità stanno rendendo molto difficile l’utilizzo della rete internet, di Whatsapp, Telegram e di Signal per evitare che la protesta si allarghi in tutto il Paese ma non solo: il timore è che la miccia delle proteste di piazza si accenda anche nella altre Repubbliche dell’Asia centrale dove i segnali di inquietudine da mesi si fanno sempre più consistenti e dove il terrorismo islamico è spettatore interessato pronto a intervenire, come lo stesso Vladimir Putin ha recentemente sottolineato parlando degli oltre 100 attentati sventati solo nella Federazione Russa nel 2021.
E da dove provenivano la maggior parte di coloro che volevano fare strage di innocenti ad esempio a Mosca? Dall’Asia centrale. Il Cremlino segue con attenzione quanto accade in queste ore in Kazakistan e il portavoce del ministero degli Esteri russo Dmitry Peskov, ha affermato all’agenzia stampa Ria Novosti: «Stiamo seguendo da vicino la situazione e al momento non vi sono informazioni di cittadini russi feriti nei disordini». Il portavoce ha anche aggiunto: «Il Kazakistan non ha chiesto assistenza alla Russia in relazione alle massicce proteste in corso nel Paese ed è importante che nessuno interferisca» nella crisi kazaka concludendo che «siamo convinti che i nostri amici del Kazakistan possono risolvere i loro problemi interni in modo autonomo».
Mentre le proteste si allargano nel resto del Paese nessuno è in grado di prevedere come proseguirà la carriera politica di Kassym-Jomart Tokayev, diventato presidente come mero esecutore delle volontà di Nazarbayev che ha governato il Kazakistan dal 1989 al 2019 e che mantiene il controllo sul Paese come presidente del Consiglio di sicurezza e Leader della nazione, un ruolo questo che gli consente di definire le politiche del Kazakistan oltre a garantirgli l’immunità da qualsiasi azione giudiziaria. Se davvero Nazarbayev è stato messo nell’angolo due sono i casi: o Vladimir Putin, del quale Nazarbayev è stato ed è fedele alleato, sapeva e ha dato comunque il via libera, oppure Kassym-Jomart Tokayev ha tentato di emanciparsi cogliendo l’occasione delle proteste senza consultare lo Zar di Mosca. Se fosse così a Tokayev ci sentiamo di dare un buon consiglio: faccia le valigie. Velocemente.






