2021-11-23
Un viaggio nel tempo per aiutare la Juve a zittire il Bernabeu e alzare la coppa
E se non ci fosse stato il rigore del 3-1 al Real Madrid nel quarto di Champions del 2018? Un racconto prova a riscrivere la storia.«Quando la sperimentiamo, in che anno andiamo?». «Gio', ricordati il codice etico del professor Prometei: niente manipolazioni storiche». «Sì, Marta, il principio di precauzione. Però, davanti a una birra, possiamo anche cazzeggiare». «Eheheh... Sì, Remo, altrimenti mi dite che sono la rompiballe del gruppo». «Rompiballe, dicci dove andresti tu». «Nel 1933. Per assassinare Hitler». «Che banalità». «Ah, è banale, Remo? E la tua idea originale?». «Proverei a impedire il dirottamento degli aerei dell'11 settembre 2001». [...] «In tutto ciò, Alessandro è rimasto zitto zitto. Ale, tu te lo sei fatto un progettino di viaggio nel tempo?». Marta, Giovanni e Remo sogghignavano. Lo sapevano, qual era il mio debole. Sì, me n'ero stato in silenzio, ad ascoltare i loro discorsi profondi anche quando si doveva gigioneggiare. Eravamo i quattro scienziati più premiati d'Europa. Con il professor Prometei, eravamo a un passo dal Nobel, per una scoperta cui avevamo dedicato la vita. Avevamo costruito il primo generatore di ponti di Einstein-Rosen. [...] Era servito «solo» qualche decennio, per creare un propulsore in grado di alterare il campo gravitazionale. Presto quella che la stampa chiamava, con poca originalità, «macchina del tempo» sarebbe stata collaudata con un equipaggio umano. [...] Ma mentre i miei illustri colleghi pensavano a liquidare un efferato dittatore, o a sventare un attentato catastrofico, io pensavo a una cosa mostruosamente normale. Io pensavo a una partita di calcio. Mio padre mi aveva portato a vederla in uno stadio che ricordo come un girone immenso, prima immerso in un surreale silenzio, poi esploso in un urlo feroce, quando avevo dieci anni. E tutto mi sembrava magico e gigantesco. Era l'11 aprile 2018. Ma a Madrid sembrava novembre. Papà mi aveva stretto al collo la sciarpa bianconera e, con quel vento umido che mi soffiava addosso, non ebbi il coraggio di toglierla nemmeno per celebrare i gol dell'illusione, alla faccia del Santiago Bernabeu. Era la prima partita che andavo a vedere fuori dall'Italia. Era Real Madrid-Juventus. Poteva essere un match insignificante. Non era una semifinale, non era una finalissima. Era soltanto il ritorno di Champions League, un quarto di finale che, fino al giorno prima, sembrava perso in partenza. Ma la sera precedente la Roma aveva atterrato all'Olimpico il Barcellona, con un rotondo 3-0, dopo il 4-1 del Camp Nou. Noi, invece, all'andata eravamo stati affossati a Torino, con un altro 3-0 impreziosito dalla celebre rovesciata di Cristiano Ronaldo. La conoscete tutti: è stata ritrasmessa per decenni. Di gol, quindi, ce ne servivano quattro. E dovevamo segnarli nel tempio dei Blancos. Ma quando la Juve cominciò a dominare… Be', ci stavamo credendo, nel miracolo. Due minuti: cross di Khedira dalla destra, la palla attraversa l'area, sopraggiunge Mandzukic e la infila in rete di testa. Trentasette minuti: un altro traversone dalla destra. Stavolta è di Lichtsteiner: parabola alta, la difesa del Real, naso all'insù, guarda la palla telecomandata finire ancora sulla fronte di Mandzukic. Il croato la schiaccia all'angolino, bucando il portiere Navas. Secondo tempo, minuto 60: ennesimo lancio di Douglas Costa. Navas esce, smanaccia, pasticcia, la palla gli sfugge, Matuidi è in agguato e, con un tocco goffo di stinco, a porta vuota sigla il terzo gol. Potevamo giocarcela ai supplementari, con in poppa il vento dell'entusiasmo. Ma nei secondi finali, la pugnalata. Ronaldo sovrasta Alex Sandro per raccogliere un cross. La appoggia a Lucas Vázquez, il quale si fionda sul pallone. Benatia alza la gamba, lo colpisce… Rigore. La bolgia del Bernabéu, fino ad allora ammutolita, umiliata, si sveglia di soprassalto. Ricordo la corsa di Gigi Buffon, che si avventa sull'arbitro. Cartellino rosso. E il solito CR7. Nessuno scampo per Szczesny, subentrato tra i pali. Nessuno scampo per noi. Real in semifinale. Avrebbe poi vinto il suo tredicesimo titolo, contro il Liverpool. Per i successivi 30 anni, ero rimasto convinto che, se avessimo vinto quella partita, avremmo vinto la Champions. [...] A quella partita ci pensavo di continuo. Lo ammetto: era per questo che mi ero dedicato ai ponti Einstein-Rosen, era per questo che avevo sognato la macchina del tempo. Volevo tornare a Madrid. Volevo impedire quel rigore. Volevo sperare nei supplementari. Volevo un'altra possibilità. [...] Scelsi la notte dell'11 aprile 2050, 32 anni dopo la sera di Madrid. Mancavano due settimane al completamento del protocollo di sicurezza. Ma non potevo più aspettare. [...] Avrei inserito le coordinate dello spogliatoio del Santiago Bernabéu. [...] Avrei impostato gli orari in modo tale da trovarmi lì esattamente tre minuti prima del 90', quando Benatia commise quel fallo (era fallo? Il rigore c'era? Mi ero tormentato per 32 anni). [...] Avrei fatto una rapida invasione di campo. L'arbitro avrebbe imposto uno stop. Avrebbe allungato il recupero. Ma spezzando i ritmi, avrei aiutato la Juve. E, soprattutto, avrei evitato che quella maledetta palla carambolasse nella nostra area. [...] Si aprì il ponte di Einstein-Rosen. L'autopilota spinse la macchina dentro il tunnel, sentii l'accelerazione gravitazionale, intensa, stomachevole. Poi… una botta. [...] Mi destai. Quanto ero rimasto svenuto? [...] Mi alzai a stento. Constatai il disastro. Lo spogliatoio - quello della Juventus - era in macerie. E il mio generatore di ponti spazio-temporali si era sfracellato, come se fosse stato sparato da una distanza siderale e, penetrato dal soffitto, si fosse spappolato sul pavimento, sfasciando panche e armadietti. [...] Mi precipitai fuori, corsi nella galleria, zoppicando, in fuga da già cinque uomini in divisa che mi stavano dietro. Dove trovai la forza? Riuscii a sbucare a bordo campo. Solo allora mi resi conto che tutto era andato storto. Mentre ero nel ponte, era successo qualcosa. Una perturbazione gravitazionale? Non so. Quel «qualcosa» aveva causato l'incidente, e si era anche tradotto in un fatale ritardo nel viaggio: due minuti e 30, cui sommare un'altra manciata di secondi di mancamento. Così, da bordo campo, stremato, ferito, mentre sentivo le guardie raggiungermi, osservai, impietrito, quel dannato pallone lanciato da Kroos. Un film visto un milione di volte: Ronaldo decolla, Vázquez si getta a capofitto per correggere in rete, Benatia lo stende… L'arbitro fischia. Il Bernabéu esplode. Era questo il vero paradosso temporale: un viaggio nel tempo, per non fare in tempo…
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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