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2024-04-14
Julie Mehretu e Pierre Huyghe in mostra tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana
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Portrait Julie Mehretu /Photo: Josefina Santos
Dannatamente cool , ma straordinariamente «alla mano», abbigliamento minimal e sorriso che conquista, Julie Mehretu, nata 53 anni fa ad Addis Abeba , è l’artista di origine africana attualmente più quotata al mondo. Nota per i suoi dipinti astratti multistrato di grandi dimensioni («mappe di non luoghi», come li definisce lei stessa), mix di architetture, diagrammi, graffiti, prospettive aeree, paesaggi urbani, frammenti di foto, pennellate di inchiostro nero, attraverso queste opere, e con un linguaggio straordinariamente personale, la Mehretu intende (e invita a) riflettere su tematiche di grande attualità: dalla frammentazione della vita nelle metropoli alla guerra, dalla violenza alle discriminazioni, dalla politica al razzismo, dalle fake al potere dei soldi. Argomenti importanti raccontati da opere di grande impatto visivo, che catturano come magneti l’attenzione di chi guarda. E basta visitare la mostra attualmente in corso a Palazzo Grassi per rendersene conto…
La Mostra
Curata da Caroline Bourgeois e distribuita sui due piani dello storico e magnifico Palazzo affacciato sul Canal Grande, l’esposizione è una sintesi della parabola artistica della Mehretu, una summa dei lavori realizzati negli ultimi 25 anni e di opere più recenti, prodotte tra il 2021 e il 2023. Per non «ingabbiare» il visitatore in schemi cronologici, il percorso espositivo è libero, scelta azzeccatissima per cogliete al meglio l’origine e l’incessante rinnovamento dell’arte della Mehretu che, in questa mostra - una sorta di spazio corale intitolata, significativamente, Ensemble - ha invitato ad esporre un gruppo di amici/artisti , in un confronto costruttivo e vitale con altri sguardi e altri contesti, perché, come scrive Bruno Racine nella prefazione del catalogo della mostra «…per la Mehretu la creazione ha sempre una dimensione collettiva e il lavoro degli artisti più grandi è costantemente alimentato dall’interazione co una comunità di pari… ».
I suoi amici si chiamano Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Tacita Dean, David Hammons, Robin Coste Lewis, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin, sono iraniani, pakistani, statunitensi, britannici, hawaiani, australiani, tutti - al pari della Mehretu - hanno vissuto come fondante e formativa l’esperienza di fuga o di abbandono del proprio Paese ed è soprattutto per questo che le loro opere danno vita ad un dialogo fecondo e significativo con i più noti lavori dell’artista americana.
Senza nulla togliere agli altri, a colpire particolarmente le sculture in legno - realizzate nelle Filippine e intagliate da encarnadores locali (scultori di santi e icone cattoliche) - dello scultore, fotografo e videoartista Paul Pfeiffer (Honolulu,1966): la particolarità di queste opere, di un verismo eccezionale, sta nel fatto che, al posto dei soggetti religiosi, l’artista immortala popstar contemporanee. Un esempio? Justin Bieber, raffigurato come Cristo risorto…
Da Palazzo Grassi a Punta della Dogana:Liminal
Passando da Palazzo Grassi a Punta della Dogana, altro polo espositivo della Pinault Collection, un’altra mostra fa da degno «antipasto » all’attesissima Biennale 2024, che aprirà i battenti il 20 aprile (con una pre-apertura il 17,18 e 19) e calerà il sipario il 20 novembre.
La mostra in questione si intitola Liminal, è curata da Anne Stenne e (sino al 24 novembre) riunisce le opere dell’artista francese Pierre Huyghe provenienti dalla Collezione Pinault , oltre a una serie di nuove e inedite produzioni.Un’esposizione davvero particolare , a tratti (molto) inquietante, che conduce il visitatore in una dimensione transitoria, dove il tempo e lo spazio - come tutto ciò che lo attraversa, visibile o invisibile - diventano parte integrante delle opere d’arte, opere che spesso si rivelano come l’unione di diverse forme di intelligenza che apprendono, si modificano ed evolvono nel corso dell’esposizione.
Negli ampi spazi di Punta della Dogana si formano soggettività, con o senza corpo, che circolano e si manifestano in modo imprevedibile attraverso opere in continuo divenire, in perenne trasformazioni. Volti e corpi che si materializzano e smaterializzano, si piegano e si ergono. Che lasciano attonito lo spettatore. Tu sei li, in un luogo buio, osservi, aspetti che succeda qualcosa, anche se non sai bene che cosa:l’effetto sorpresa è garantito . Pierre Huyghe vuole lasciar emergere ciò che si trova al di fuori dalla nostra comprensione, fuori dalla nostra possibilità di farne esperienza. Per lui «le finzioni sono veicoli per accedere al possibile o all'impossibile - a ciò che potrebbe essere o a ciò che non potrebbe essere » e con Liminal mette in discussione la nostra percezione della realtà e ci propone di decentrarci, in modo da percepirci come estranei a noi stessi.
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E ’la splendida cornice di Palazzo Grassi, che insieme a Punta della Dogana è uno dei due musei di arte contemporanea della Pinault Collection a Venezia, ad ospitare ( sino al 6 gennaio 2025) la prima grande mostra europea di Julie Mehretu, nota artista statunitense di origine etiope. Tra grandi tele e incisioni, esposte una cinquantina di sue opere , in un vivace dialogo con quelle di alcuni amici artisti, con i quali la Mehretu condivide una forte affinità e un rapporto stretto di scambio e collaborazione. A Punta della Dogana, Liminal, la visionaria mostra (sino al 24 novembre 2024) del'artista francese Pierre Huyghe , che da sempre si interroga sul complesso rapporto tra l'umano e il non umano. Dannatamente cool , ma straordinariamente «alla mano», abbigliamento minimal e sorriso che conquista, Julie Mehretu, nata 53 anni fa ad Addis Abeba , è l’artista di origine africana attualmente più quotata al mondo. Nota per i suoi dipinti astratti multistrato di grandi dimensioni («mappe di non luoghi», come li definisce lei stessa), mix di architetture, diagrammi, graffiti, prospettive aeree, paesaggi urbani, frammenti di foto, pennellate di inchiostro nero, attraverso queste opere, e con un linguaggio straordinariamente personale, la Mehretu intende (e invita a) riflettere su tematiche di grande attualità: dalla frammentazione della vita nelle metropoli alla guerra, dalla violenza alle discriminazioni, dalla politica al razzismo, dalle fake al potere dei soldi. Argomenti importanti raccontati da opere di grande impatto visivo, che catturano come magneti l’attenzione di chi guarda. E basta visitare la mostra attualmente in corso a Palazzo Grassi per rendersene conto…La MostraCurata da Caroline Bourgeois e distribuita sui due piani dello storico e magnifico Palazzo affacciato sul Canal Grande, l’esposizione è una sintesi della parabola artistica della Mehretu, una summa dei lavori realizzati negli ultimi 25 anni e di opere più recenti, prodotte tra il 2021 e il 2023. Per non «ingabbiare» il visitatore in schemi cronologici, il percorso espositivo è libero, scelta azzeccatissima per cogliete al meglio l’origine e l’incessante rinnovamento dell’arte della Mehretu che, in questa mostra - una sorta di spazio corale intitolata, significativamente, Ensemble - ha invitato ad esporre un gruppo di amici/artisti , in un confronto costruttivo e vitale con altri sguardi e altri contesti, perché, come scrive Bruno Racine nella prefazione del catalogo della mostra «…per la Mehretu la creazione ha sempre una dimensione collettiva e il lavoro degli artisti più grandi è costantemente alimentato dall’interazione co una comunità di pari… ». I suoi amici si chiamano Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Tacita Dean, David Hammons, Robin Coste Lewis, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin, sono iraniani, pakistani, statunitensi, britannici, hawaiani, australiani, tutti - al pari della Mehretu - hanno vissuto come fondante e formativa l’esperienza di fuga o di abbandono del proprio Paese ed è soprattutto per questo che le loro opere danno vita ad un dialogo fecondo e significativo con i più noti lavori dell’artista americana.Senza nulla togliere agli altri, a colpire particolarmente le sculture in legno - realizzate nelle Filippine e intagliate da encarnadores locali (scultori di santi e icone cattoliche) - dello scultore, fotografo e videoartista Paul Pfeiffer (Honolulu,1966): la particolarità di queste opere, di un verismo eccezionale, sta nel fatto che, al posto dei soggetti religiosi, l’artista immortala popstar contemporanee. Un esempio? Justin Bieber, raffigurato come Cristo risorto…Da Palazzo Grassi a Punta della Dogana:LiminalPassando da Palazzo Grassi a Punta della Dogana, altro polo espositivo della Pinault Collection, un’altra mostra fa da degno «antipasto » all’attesissima Biennale 2024, che aprirà i battenti il 20 aprile (con una pre-apertura il 17,18 e 19) e calerà il sipario il 20 novembre.La mostra in questione si intitola Liminal, è curata da Anne Stenne e (sino al 24 novembre) riunisce le opere dell’artista francese Pierre Huyghe provenienti dalla Collezione Pinault , oltre a una serie di nuove e inedite produzioni.Un’esposizione davvero particolare , a tratti (molto) inquietante, che conduce il visitatore in una dimensione transitoria, dove il tempo e lo spazio - come tutto ciò che lo attraversa, visibile o invisibile - diventano parte integrante delle opere d’arte, opere che spesso si rivelano come l’unione di diverse forme di intelligenza che apprendono, si modificano ed evolvono nel corso dell’esposizione. Negli ampi spazi di Punta della Dogana si formano soggettività, con o senza corpo, che circolano e si manifestano in modo imprevedibile attraverso opere in continuo divenire, in perenne trasformazioni. Volti e corpi che si materializzano e smaterializzano, si piegano e si ergono. Che lasciano attonito lo spettatore. Tu sei li, in un luogo buio, osservi, aspetti che succeda qualcosa, anche se non sai bene che cosa:l’effetto sorpresa è garantito . Pierre Huyghe vuole lasciar emergere ciò che si trova al di fuori dalla nostra comprensione, fuori dalla nostra possibilità di farne esperienza. Per lui «le finzioni sono veicoli per accedere al possibile o all'impossibile - a ciò che potrebbe essere o a ciò che non potrebbe essere » e con Liminal mette in discussione la nostra percezione della realtà e ci propone di decentrarci, in modo da percepirci come estranei a noi stessi.
Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
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