
Un giudice scozzese rifiuta di bloccare lo stop al Parlamento. Altri due processi, uno intentato dall'ex primo ministro John Major.Boris Johnson ha scelto di fermare i lavori del Parlamento britannico per tenersi anche la carta del «no deal» nel mazzo per i negoziati sulla Brexit con l'Unione europea, che continua a respingere ogni revisione all'accordo raggiunto da Theresa May. Questo ha mandato su tutte le furie le opposizioni. Probabilmente il primo ministro l'aveva messo in conto: una forzatura del genere avrebbe unito il fronte europeista che non era mai stato così unito, neppure nel 2016, quando c'era da fare campagna per il Remain. La questione è tra il politico e il legale, così, oltre alle manifestazioni di piazze, alle petizioni e agli appelli dei vip, gli anti Brexit hanno deciso di provare anche la via giudiziaria. Ma ieri è arrivata la loro prima sconfitta. Una corte scozzese ha rifiutato la richiesta di un gruppo bipartisan di 75 parlamentari di bloccare provvisoriamente l'ordine del primo ministro britannico che sospende i lavori del Parlamento; tuttavia, il giudice, lord Raymond Doherty, non ha respinto la petizione su cui si ripronuncerà martedì. Ma ci sono altri due procedimenti in attesa di giudizio: Irlanda del Nord e l'altro a Londra. E proprio all'udienza nella capitale del Regno Unito dovrebbe intervenire anche l'ex primo ministro John Major, conservatore europeista che guidò il Paese dopo Margaret Thatcher e prima della Terza via laburista di Tony Blair e Gordon Brown, cioè tra il 1990 e il 1997. Infatti, Major ha scelto di unirsi alla causa legale intentata da Gina Miller, la paladina della sinistra e degli europeisti d'Oltremanica che già nel 2016 era riuscita a vincere in tribunale sul governo di Theresa May ottenendo che ogni accordo sulla Brexit deve essere provato dal Parlamento. Proprio quella vittoria ha generato il caos istituzionale e l'impasse politico del Regno Unito che stiamo vedendo in questi giorni.Sarà uno scontro tra due giganti del Partito conservatore, una battaglia fratricida figlia delle spaccature emerse con la decisione di David Cameron di indire un referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea: da una parte il primo ministro, ex sindaco di Londra ed ex capopopolo della battaglia per il Leave, dall'altra un suo predecessore che, da fervente europeista, rischiò la carriera scommettendo sull'approvazione del Trattato di Maastricht, cioè sulle basi dell'attuale Unione europea. Ma attenzione. C'è proprio il nome di John Major tra quelli dei primi ministri britannici che nel dopoguerra hanno utilizzato l'escamotage della prorogation per evitare l'intervento del Parlamento. E oltre al suo c'è solo un altro nome: quello di un laburista, Clement Attlee, che si servì nel 1948 della sospensione dei lavori di Aula per ridurre il potere dei Lord ed evitare che si opponessero al suo grande piano di nazionalizzazioni. Quasi mezzo secolo più tardi, nel 1997, toccò quindi a Major (che allora sfruttò questo cavillo ma che ora si batte contro l'uso che ne sta facendo Johnson), chiedere alla regina Elisabetta II di attuare la prorogation. Ottenne dalla sovrana la sospensione del Parlamento per evitare che fosse discusso il report sullo scandalo «Cash for questions», che vedeva implicati in un giro di mazzette due deputati conservatori e Mohamed Al Fayed, l'imprenditore allora proprietario dei grandi magazzini Harrod's. In quel caso, la prorogation iniziò il 21 marzo e si interruppe l'8 aprile quando furono sciolte le Camere per tenere, il 1° maggio, nuove elezioni (vinte dal Labour di Tony Blair).Ecco l'agenda della prossima settimana. Il giudice scozzese si pronuncerà nuovamente martedì 3 settembre non avendo respinto la petizione, mentre la decisione sul ricorso di Miller e Major è attesa giovedì prossimo, il 5. Il giorno dopo arriverà l'altra sentenza, quella del ricorso presentato a Belfast, in Irlanda del Nord. Tre decisioni attese all'ultimo minuto, visto che la prorogation inizierà la settimana successiva.Con i tempi così stretti e le fragilità dei ricorsi (che, ricordiamolo, sfidano una decisione della Regina) alle opposizioni rimane un'altra carta, la sfiducia. Il leader dei laburisti Jeremy Corbyn ha assicurato che martedì appena riprenderanno i lavori parlamentari cercherà di «fermare politicamente» Johnson. La sfiducia? Al «momento giusto», ha dichiarato. La strada maestra è «un procedimento parlamentare per legiferare in modo da impedire una Brexit “no deal" e anche di impedirgli di chiudere il Parlamento in un momento così cruciale». Ma neppure la sfiducia potrebbe bastare: infatti, il premier potrebbe allungare i tempi dell'uscita di scena per realizzare, come promesso, la Brexit il 31 ottobre. Con accordo o senza.
Mattia Furlani (Ansa)
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