2018-05-11
        Un ragazzo torcia umana in piazza preannunciò la fine del comunismo
    
 
Una mostra su iniziativa italiana celebra il centenario della nascita dello Stato cecoslovacco e il 50° della Primavera di Praga, di cui fu eroe Jan Palach. Prima che i carri armati sovietici schiacciassero la speranza di un Paese.Marzo 1970. Al cimitero di Praga viene posta una fotografia su una tomba protetta da un velo di cellophane, poi anche una lapide in bronzo con un nome, Jan Palach, e due date: quella di nascita e quella di morte. Il mondo sa già da mesi che il ventenne studente cecoslovacco si è dato fuoco a Praga per urlare a quello stesso mondo il desiderio di libertà: era il 16 gennaio 1969 e Palach era morto tre giorni dopo tra indicibili sofferenze. Nel marzo 1970 quella tomba appena realizzata viene rimossa nella notte dalla polizia della Cecoslovacchia comunista che, per impedire persino di poter identificare dove è stato sepolto lo studente martire, sposta tutte quelle vicine. Il regime vuole cancellare la memoria della «Primavera di Praga» togliendo un luogo simbolo dove depositare un fiore a chi non aveva esitato a sacrificare la propria vita. Quella tomba non c'è più, ma la memoria non si cancella con i picconi. E a volte resta fissata dall'obiettivo di una macchina fotografica, diventa storia visiva e patrimonio dell'immaginario collettivo.Gli scatti della tomba di Jan Palach davanti alla quale la gente comune rendeva omaggio fanno ora parte della grande mostra celebrativa (con catalogo) inaugurata a Praga per ricordare il 1968 in Cecoslovacchia, su impulso dell'Ambasciata d'Italia e dell'Istituto italiano di cultura, nelle persone dell'ambasciatore Aldo Amati e del direttore Giovanni Sciola. Un'iniziativa che si inserisce autorevolmente nelle celebrazioni per il centenario della nascita dello Stato cecoslovacco e nel cinquantesimo della Primavera di Praga e dell'invasione sovietica, eventi che segnarono profondamente le coscienze dell'Europa libera.Tutto si consumò nell'arco di pochi mesi, da gennaio ad agosto del 1968. Ai due estremi c'è l'ascesa del riformista Alexander Dubček e la decisione da parte dell'Urss di stroncare la «deviazione» dal percorso politico imposto da Mosca aggredendo la Cecoslovacchia con gli eserciti del Patto di Varsavia. Naufragava così nella violenza unilaterale e nel soffocamento delle legittime aspirazioni del popolo cecoslovacco il tentativo di inserire elementi di democrazia, di liberalismo e di libertà di stampa nel Paese che tra le due guerre era stato l'unica democrazia mitteleuropea e che dopo la guerra aveva ripristinato, fino al 1948, le forme condivise di civiltà democratica.Tutto era cominciato il 3 gennaio 1968, con la ripresa del plenum del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco e con lo scontro tra conservatori (Antonín Novotný), legati all'Urss di Leonid Breznev, e il gruppo dei riformisti (Dubček, Oldrik Cernik, Josef Smrkovsky e Zdenek Mlynar) che voleva una decisa riforma dell'economia e la progressiva separazione del ruolo e del potere del partito dagli organismi istituzionali e dal governo. Il 5, incapace di contenere il malcontento popolare, Novotný si dimette dalla carica di primo segretario del Pcc e il suo posto viene preso proprio da Alexander Dubček. Il 21 marzo Novotný è costretto pure a lasciare la presidenza della Repubblica. Il suo successore è Ludvík Svoboda, che ha il destino nel nome: Svoboda in ceco significa infatti «libertà» e il popolo cecoclovacco lo scandirà nelle vie e nelle piazze. Il 5 aprile il comitato centrale del Partito comunista vara il programma d'azione elaborato dal gruppo dei riformisti, che a maggio riceve pure la solidarietà del segretario del Pci, Luigi Longo, in visita ufficiale. Ma Mosca non sta solo a guardare. Alla fine del mese il ministero della Difesa annuncia per il giugno le manovre militari delle truppe del Patto di Varsavia proprio sul territorio cecoslovacco. Nello stesso mese viene pubblicato il Manifesto delle 2000 parole, elaborato dallo scrittore Ludvik Vasulik al quale aderiscono migliaia di esponenti del mondo della cultura, dell'arte e dello sport, innescando dibattiti e speranze. Il 7 luglio la Pravda ammonisce Belgrado, Bucarest e Praga sui tentativi di «deviazionismo» e la stampa della Repubblica democratica tedesca va ancora oltre, denunciando il «rischio imperialista» e la «controrivoluzione rampante» che si starebbe consumando in Cecoslovacchia. Il 19 agosto sul tavolo di Dubček arriva una lettera con la quale Breznev esprime profonda «insoddisfazione» per quanto sta accadendo in Cecoslovacchia. È il preludio all'invasione che scatta alle 23 del 20 agosto, quando truppe corazzate e fanteria di Urss, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Ungheria e Bulgaria invadono la Cecoslovacchia. I comunisti cecoslovacchi guidati da Alexander Dubček sono costretti a riunire d'urgenza nella gigantesca fabbrica di locomotori Čkd alla periferia di Praga il XIV congresso del partito che approva integralmente il Programma d'azione pubblicato in aprile. Pochi giorni dopo lui e gli altri esponenti del governo vengono portati a Mosca e costretti a chinare il capo di fronte a un diktat: accettare la presenza di eserciti stranieri e rinunciare alle riforme. Nel pomeriggio del 28 ottobre 1968, cinquantesimo anniversario della nascita della Cecoslovacchia, alcune centinaia di giovani, quasi tutti studenti, improvvisano un corteo con le bandiere nazionali e si dirigono verso l'ambasciata sovietica. Quando la polizia interviene i manifestanti sono ormai migliaia e migliaia. La rappresentazione al Teatro nazionale di un'opera in onore del presidente Svoboda è l'ultima occasione per dimostrare all'invasore di non voler accettare il ritorno all'ortodossia comunista. Lungo la via Narodni si potrebbe lanciare una monetina senza vederla cadere a terra, per l'impressionante folla che ha assiepato ogni spazio disponibile. Una marea umana contro cui la polizia non può fare nulla. Quando Svoboda compare, l'applauso sembra un terremoto. Poi tutti ammutoliscono quando dal teatro arrivano le note dell'inno nazionale. Impressionante. Dopo un altro applauso tutti tornano a casa. Fino alla caduta del muro di Berlino non ci sarà più nulla di simile.Il 16 gennaio 1969 Jan Palach arriva a piazza Venceslao a Praga, si cosparge di benzina e si dà fuoco. Il suo gesto suscita eco e commozione ai quattro angoli del mondo. Gli verrà risparmiato di vedere la sostituzione di Dubček, il 17 aprile, con Gustav Husák, e la «normalizzazione» liberticida con la fine dell'utopia del «socialismo dal volto umano».Gli scatti in mostra all'Istituto italiano di cultura realizzati dal cecoslovacco Pavel Šticha, dallo svedese Sune Jonsshon e dagli italiani Carlo Leidi e Alfonso Modonesi, restituiscono uno spaccato affascinante e inquietante di quei giorni permeati di speranze, di illusioni e di disillusioni.
        Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
    
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 31 ottobre con Carlo Cambi