2024-12-03
Jaguar lancia l’elettrico rosa. Concessionari in rivolta: «Non riusciremo a venderlo»
L’ex casa del giaguaro svela una supercar green e fluida subito ribattezzata «Barbie» Chi ha speso milioni per aprire uno showroom ora è spiazzato. E il gruppo fa spallucce.C’era una vola la Jaguar. Potrebbe tra non molto essere raccontata così, come un’esperienza passata, la storia della celebre automobilistica britannica nata nel 1922, visto quanto è viscerale il cambiamento in atto in questo periodo. Infatti, dopo la rimozione dal suo brand del mitico giaguaro - rimpiazzato da un segno geometrico, un cerchio con due «J» rivolte in senso opposto -, bocciata come «suicidio commerciale» da gente come Philip Porter, co-fondatore dell’International XK Jaguar club, è arrivata un’altra novità che sta lasciando assai perplessi gli appassionati dell’auto guidata anche da Diabolik.Stiamo parlando delle immagini del nuovo modello della casa automobilistica, la Jaguar Design vision concept - questo il nome della vettura -, trapelate online prima della presentazione ufficiale alla Miami Art week. Pubblicate in anteprima dal sito CocheSpias, le foto del nuovo modello stanno suscitando notevoli perplessità tra gli appassionati; non solo perché si tratta d’una vettura elettrica e dall’aspetto forse troppo avveniristico, con un lungo cofano orizzontale e i gruppi ottici a quattro strisce led parallele, ma perché si è scelto di presentarla di colore rosa.A onore del vero, è trapelata anche l’immagine di un prototipo celeste spento, ma ad attirare i commenti graffianti di molti è statom appuntom il rosa scelto per il lancio del nuovo modello, che segue sia la notizia della scomparsa dell’iconico giaguaro - già raccontata dalla Verità - sia i nuovi spot dell’azienda, che ritraggono otto modelli variopinti e «fluidi». Emblematico al riguardo il commento di Emiliano Perucca Orfei, esperto di aiuto che sul canale Youtube MasterPilot - in un video che ha superato le 12.000 visualizzazioni in poche ore, ha espresso tutta la sua incredulità. «Io non so cosa dire», ha detto dopo due minuti di silenzio carichi di incredulità Perucca Orfei, «siamo quasi nella sfera dell’insulto a un brand. Ma sinceramente pensare alla Jaguar rosa, elettrica…È un passaggio molto forte, perché da una macchina ultramaschile a una fatta per Elton John, per i designer di moda e quelli che fanno i profumini e le borsette...».Sui social, dove molti devono ancora riprendersi dalla scomparsa del logo ideato nel 1945 dal fondatore del brand, sir William Lyons, noto anche come «Mr Jaguar», i commenti sul prototipo rosa sono anche più duri. Per quanto, infatti, quella presentata a Miami sia una concept car, ovvero una vettura che fungerà da musa ispiratrice rispetto a quella che verrà poi immessa nel mercato nel 2026, gli inequivocabili segnali della svolta woke e fluida della celebre automobilistica non stanno piacendo.«La “Barbie” della Jaguar è un disastro per l’iconico marchio», ha commentato Matthew Lynn sul Telegraph, osservando che «le immagini trapelate del nuovo modello sono ben lontane dallo splendore sobrio delle auto precedenti». «Jaguar ha uno dei più grandi marchi nella storia dell’automobile», ha aggiunto Lynn, «gli appassionati di auto d’epoca impazziscono ancora per modelli come la E-Type, la Mark 2 o la XJ220», mentre quello cui si sta assistendo è uno «dei peggiori esempi di marketing di tutti i tempi».Parole senza sconti che, però, rispecchiano appieno una delusione palpabile anche nel mondo dei concessionari britannici, letteralmente imbufaliti per il nuovo corso del marchio automobilistico. Secondo l’Imda, acronimo di Independent motor dealers association, l’associazione che dal 1997 dà voce ai concessionari indipendenti nel Regno Unito, questo rebranding costerà molto caro a decine di partner commerciali dell’azienda automobilistica. «Ci sono molte concessionarie arrabbiate là fuori», ha spiegato Umesh Samani, presidente dell’Imda, «perché alcune hanno investito milioni di sterline in questi concessionari in franchising, ma ora non saranno in grado di continuare a portare il marchio Jaguar. Ci sarà un impatto importante e non sono sicuro che l’azienda abbia ancora realizzato quale sarà l’effetto completo».In realtà, i conti in Jaguar su cosa potrà comportare la transizione all’elettrico, per non parlare poi della svolta woke del marchio, sembrano esserseli già fatti. Prova ne è quanto dichiarato da Rawdon Glover, amministratore delegato del gruppo, il quale, nell’ambito del piano radicale di passare esclusivamente all’elettrico nel 2026, da una parte ha liquidato le polemiche sul restyling come una «fiammata di intolleranza» e, dall’altra, ha fatto sapere che il suo marchio ridurrà drasticamente la sua rete britannica di showroom da 80 a circa 20. Quella che si profila è, insomma, una riduzione delle concessionarie ufficiali di ben il 75%, cambiamento che non potrà essere indolore. Attualmente, la maggior parte dei concessionari che lavorano con la casa madre Jaguar-Land Rover ha sedi divise a metà tra i marchi Land Rover e Jaguar.Un’azienda ha speso fino a 10 milioni di sterline per costruirne uno a Lincoln, secondo la rivista di settore Car Dealer. Il fatto è che con gli ultimi cambiamenti, come si diceva, circa 60 showroom si troveranno, nel giro di poco, a perdere il marchio Jaguar e a doversi, pertanto, concentrare invece esclusivamente Land Rover Range Rover, Defender e Discovery.L’obbiettivo di cotanta strategia di Jaguar? Semplice: puntare a restare sì presenti, ma solo nelle zone più ricche del Paese, con autovetture che costeranno dalle 100.000 sterline in su. Qualora non fosse ancora chiaro, ecco una ulteriore e tangibile conferma del fatto che il woke, l’«inclusione» così sbandierata in tutto il mondo e la svolta green sono roba da ricchi.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?