2025-02-23
Jacopo Coghe: «Ai genitori la priorità educativa»
Jacopo Coghe (Imagoeconomica)
Il portavoce dei pro life: «Il 76% di loro lo pretende. Presto lanceremo una petizione contro la campagna Lgbt nelle scuole. Il governo si svegli e mantenga le promesse».Battagliero e determinato come sempre, Jacopo Coghe, portavoce di Pro vita & famiglia, è reduce da «Gender: tempo scaduto-Appello al governo», una conferenza stampa tenuta mercoledì scorso all’Hotel Nazionale di Roma, durante la quale sono stati illustrati gli esiti di una nuova indagine demoscopica di «Noto sondaggi» sull’educazione sessuale e, appunto, sul gender nelle scuole; ed è proprio da qui che partiamo per saperne di più.Coghe, quali sono i dati più significativi che il nuovo sondaggio ha messo in luce? «Il sondaggio fotografa uno scenario nettissimo. Per il 76% degli italiani il diritto di priorità educativa spetta alla famiglia e per l’83% la scuola deve chiedere ai genitori il consenso informato preventivo su ogni attività inerente sessualità e affettività. La maggioranza degli italiani, poi, non vuole che gli attivisti Lgbt parlino in classe di orientamento sessuale e identità di genere».Il consenso informato preventivo sui corsi di educazione sessuale nelle scuole per voi oggi non risulta rispettato? «Assolutamente no. La scuola considera il consenso prestato in via generale e astratta all’atto dell’iscrizione del minore, con l’adesione al piano dell’offerta formativa che, però, contiene linee di indirizzo vaghe e imprecisate e, soprattutto, può essere modificato e integrato anche dopo l’iscrizione. Di fatto, si firma una “cambiale educativa” in bianco».Eppure c’è da anni una circolare - la 1972/2015 - fatta da un governo di sinistra e in cui si vietava espressamente la propaganda dell’ideologia gender: è disapplicata? «Sia quella circolare sia quella ancor più chiara diffusa dal ministro Bussetti nel 2018 sono del tutto inapplicate, purtroppo lo restano anche quando segnaliamo casi concreti di abusi al ministero dell’Istruzione. Mandiamo Pec in continuazione, senza alcuna risposta».Quante segnalazioni genitoriali ricevete, in media, su presunti casi di corsi gender nelle scuole? «In media almeno tre a settimana, da scuole di ogni ordine e grado di tutta Italia. L’ultimo caso che abbiamo denunciato ha avuto rilievo nazionale: un progetto di Arcigay a Pavia per leggere alle elementari la favola di un “coniglio gay” e usare i cartoni animati per “alfabetizzare” i bambini sui temi Lgbt. Il titolo già diceva tutto: Dentro l’arcobaleno».La sua associazione aveva mandato centinaia di diffide ai dirigenti scolastici i cui istituti aveva istituito la carriera alias. Che risposte avete ottenuto? «Diversi istituti hanno bloccato l’approvazione della carriera alias, un regolamento totalmente illegale che consente a un minore di scegliere se essere trattato come maschio o femmina dalla scuola in base a una presunta disforia di genere. L’hanno, però, approvata più di 400 scuole ed è incomprensibile come il governo continui a permettere questo abuso amministrativo».Come Pro vita, state lanciando una nuova campagna: «Mio figlio no». Di che si tratta e qual è il suo scopo? «Lanceremo una petizione nazionale per chiedere una legge a difesa della libertà educativa della famiglia e contro la propaganda Lgbt nelle scuole. Tramite convegni, flash mob, affissioni, campagne social e manifestazioni, vogliamo mobilitare migliaia di padri e madri stanchi di questo incessante lavaggio del cervello. Ogni aggiornamento sarà diffuso sui nostri canali social».Cosa chiedete, invece, al governo? «Di mantenere gli impegni presi con gli elettori. Meloni, Salvini, Tajani hanno sempre espresso parole nette contro la propaganda gender nelle scuole. Parole che, in più di due anni di governo, non si sono mai concretizzate in azioni politiche e legislative. Il tempo è scaduto: le famiglie si ricorderanno di chi ha difeso la loro libertà educativa o è restato a guardare mentre migliaia di giovani venivano convinti di essere nati nel corpo sbagliato».
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