2021-02-07
L’Italia è diventata una Repubblica semipresidenziale
La crisi sancisce la preminenza del Colle su Parlamento e partiti. Ma con un'anomalia da sanare: il capo dello Stato non è eletto.Il meccanismo è sempre lo stesso. Quando la litigiosità, l'incompetenza e l'inconcludenza dei molti che detengono il potere (pur avendolo, magari, nel passato, ben esercitato), supera un certo livello, inesorabilmente il potere passa nelle mani di uno solo. A volte il passaggio si realizza in modo subitaneo e violento; altre volte in modo graduale e pacifico.Ma, nell'essenziale, il risultato non cambia. Così avvenne nell'antica Roma, con il passaggio dalla Repubblica all'Impero. Così avvenne in Italia, fra il XIV ed il XV secolo, con la trasformazione di alcuni dei più grossi Comuni in Signorie. Così avvenne, per guardare a tempi più recenti, con la caduta della IV Repubblica francese e l'assunzione del potere da parte del generale Charles de Gaulle (il quale, nell'occasione, se mal non ricordo, ebbe a osservare che, in certe situazioni, il potere non lo si conquista: basta raccattarlo). E così sta avvenendo, sotto i nostri occhi, in Italia, per fortuna con modalità non traumatiche (anche se non, per questo, del tutto indolori). E ormai da tempo, infatti, soprattutto a partire dalla presidenza Napolitano, che il baricentro della vita politica tende a spostarsi verso l'organo monocratico che occupa il Quirinale, a spese del Parlamento e, per esso, dei partiti che ne determinano la composizione, rivelatisi sempre più incapaci di concepire e realizzare progetti politici dotati di un minimo di credibilità e di coerenza, quali che fossero i presupposti ideologici posti a loro fondamento. Poco importa andare a ricordare le singole e varie contingenze nelle quali la detta incapacità si è dimostrata, e meno ancora andare a ricercare le relative responsabilità. Sarebbe come chiedersi se della crisi finale della Repubblica romana, dalla quale scaturì poi l'Impero, si dovessero ritenere più responsabili, tanto per semplificare, Giulio Cesare o i congiurati che lo misero a morte. Quello che conta è, per dirla con Niccolò Machiavelli, la «verità effettuale» della cosa in sé, sulla quale non può esservi dubbio alcuno, perché la realtà parla da sola.Ed è una realtà che, in particolare, dopo il precedente del governo Monti, frutto della scelta operata dall'allora presidente Giorgio Napolitano, si è ora nuovamente manifestata con il conferimento dell'incarico ministeriale a Mario Draghi, anch'esso frutto di una scelta pienamente politica operata dal capo dello Stato. Il che, del resto, a stretto rigore, è perfettamente in linea con quanto testualmente previsto dall'articolo 92 della Costituzione, per il quale la nomina del presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di lui, quella dei singoli ministri, costituiscono prerogative esclusive del presidente della Repubblica, non soggette ad alcuna forma di condizionamento o di controllo. La rivitalizzazione di tale principio, che era rimasto a lungo negletto, comporta, però, anche un enorme rafforzamento del ruolo politico del presidente della Repubblica, rispetto alla tradizione che lo vedeva come organo essenzialmente «neutro», relegato (almeno nelle apparenze) allo svolgimento di funzioni pressoché esclusivamente «notarili» o di rappresentanza; rafforzamento, quello anzidetto, correlabile soprattutto al fatto che tra i poteri del presidente della Repubblica vi è quello, previsto dall'articolo 88 della Costituzione, di sciogliere in qualsiasi momento (escluso il cosiddetto «semestre bianco») le Camere, con l'unico obbligo di «sentire» preventivamente i rispettivi presidenti, senza doverne necessariamente ottenere il consenso.Il Parlamento che rifiutasse la fiducia al presidente del Consiglio nominato dal capo dello Stato e al suo governo si esporrebbe, quindi, al rischio di essere immediatamente sciolto, mentre il governo, nell'attesa delle elezioni e della formazione del nuovo Parlamento, pur essendo privo della fiducia, resterebbe in carica (sia pure, come si usa dire, per l'ordinaria amministrazione, i cui confini, però, sono alquanto labili ed evanescenti), dal momento che esso, in base all'articolo 93 della Costituzione, assume la pienezza delle sue funzioni già all'atto del giuramento nelle mani del capo dello Stato e, quindi, prima della presentazione alle Camere per la richiesta della fiducia. Ed è questa una prospettiva divenuta ora più che mai realistica, essendo prevedibile, in una situazione come quella che si è venuta a creare, che all'eventuale rifiuto della fiducia o, prima ancora, all'eventuale, forzata rinuncia del presidente incaricato non potrebbe che far seguito lo scioglimento delle Camere; evento che, nella maggior parte, i parlamentari temono, ovviamente, come la peste, ben consapevoli come sono del fatto che, anche a causa della drastica riduzione del numero dei componenti della Camera e del Senato, ben pochi di loro potrebbero contare sulla rielezione; il che rende ancora più forte, se possibile, la posizione del capo dello Stato. Non è dato, ovviamente, di prevedere con certezza quale sarebbe l'esito delle elezioni conseguenti all'eventuale scioglimento delle camere. Difficilmente esso potrebbe comunque esser tale da determinare un'inversione di quella che, come già detto, appare come una ormai radicata tendenza al rafforzamento del ruolo politico del presidente della Repubblica, quale che sia la persona chiamata a occupare la carica; tendenza manifestatasi, del resto, anche con l'avvenuta acquisizione, di fatto, da parte del capo dello Stato, come dimostrato in molteplici occasioni, del potere di interferire (anche pesantemente, fino all'imposizione, come talvolta è capitato, di un vero e proprio «veto»), sulle decisioni del governo circa l'adozione di decreti legge; e ciò a onta del fatto che, secondo quanto espressamente previsto dall'articolo 77 della Costituzione, i decreti legge sono adottati sotto la esclusiva responsabilità dello stesso governo, spettando al capo dello Stato solo il compito di provvedere alla loro emanazione sotto la forma del decreto presidenziale.In sostanza, l'Italia si avvia a diventare, di fatto, se pure non lo è già, una repubblica semipresidenziale, con l'unica, ma fondamentale, differenza, rispetto a tutte le altre dello stesso tipo sparse per il mondo, che il presidente non è direttamente eletto dal popolo. Fino a quando dovrà durare questa anomalia e chi si vorrà prendere la briga di adoperarsi per farla cessare?Pietro DubolinoPresidente di sezione a riposo della Corte di cassazione
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)