2024-06-26
Italia brutta, sporca e cattiva. E va bene così
Pioggia di critiche sulla Nazionale poiché non fa bel gioco. La realtà è che siamo un gruppo tignoso, senza i fenomeni di Spagna o Francia. Diamo il meglio nella lotta nel fango e non c’è nulla di cui vergognarsi, anzi: eravamo nel girone di ferro e siam passati noi. Goodfellas. Otto bravi ragazzi più due campioni e mezzo. A parte i badili di Gigio Donnarumma, i chilometri di concretezza di Nicolò Barella e qualche strappo tarantolato di Federico Chiesa questa Italia è individualmente poco altro. È sperduta, senza bussola, senza centravanti e con un tecnico in giacca da camera Armani che comincia a straparlare. Eppure la Nazionale è agli ottavi di finale agli Europei, in uscita da quello che la critica definì dal primo minuto «il girone di ferro», con vista sulla Svizzera da mordere sabato a Berlino all’ora dell’apericena. Quindi dovremmo essere contenti. Lo sarebbe chiunque guardasse la situazione con un pizzico di realpolitik del pallone, senza calarsi nella parte del Gianni Brera da sottoscala. E invece, mucche volanti bombardano sterco.La situazione è surreale. Fin qui c’è da essere contenti perché abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo dato. Perché il brodo di coltura della squadra è la Serie A, non la Premier League, ma non giochiamo peggio dell’Inghilterra del damerino Gareth Southgate. E viste all’opera Olanda e Francia, neppure gli altri sembrano fenomeni. C’è da essere contenti perché lo stellone è sempre lì da qualche parte nella galassia infinita, pronto ad accendersi. E c’è da essere contenti perché la breve storia di questo torneo è tutt’altro che negativa. Contro l’Albania eravamo sotto dopo 23 secondi e abbiamo vinto. Contro la Spagna (che dà l’impressione di giocare un altro sport) potevamo tornare a casa con quattro gol fra le scapole ma senza l’autorete di Riccardo Calafiori avremmo pareggiato. E contro i giocolieri croati, proprio nella situazione peggiore possibile, abbiamo rimesso in piedi la baracca a 35’ dalla fine aggrappandoci all’ultima stella alpina mentre sotto di noi il costone franava.Vuoi non essere soddisfatto, giornalista collettivo? Tu che ancora pendi dalle labbra di Arrigo Sacchi, dimenticando il terrificante girone mondiale del ’94 negli Stati Uniti, con una squadra di presunti zombie salvata da Roberto Baggio, quando decise (contro la Nigeria a Boston) di mettersi in proprio e di portarci in finale. Il profeta di Fusignano ieri ha preso a cinghiate la squadra con una frase da sociologo: «La Nazionale è in crisi come il Paese, troppo individualista; con la furbizia non si va avanti». È possibile che succeda e che i «diversamente Federer» sabato ci consegnino il biglietto di solo ritorno. Ma sarebbe sempre una partita dopo rispetto all’Italia allenata dallo stesso Sacchi nel 1996 (Europei d’Inghilterra) ed eliminata vergognosamente ai gironi. Quella squadra sarà anche stata meno individualista e speculativa, ma aveva l’impianto del Milan stellare (Paolo Maldini, Billy Costacurta, Alessandro Nesta, Demetrio Albertini) più Alex Del Piero, Gianfranco Zola, Pigi Casiraghi, Fabrizio Ravanelli e il papà di Chiesa. Se Luciano Spalletti ne avesse anche solo uno a disposizione, si sentirebbe Gesù. Prima di spargere letame su una piccola Italia che sta facendo con fatica e dignità il proprio dovere, dovremmo forse ricordare gli exploit della sontuosa Nazionale di Cesare Prandelli ai mondiali brasiliani del 2014, con l’ossatura della Juventus (Andrea Barzagli, Leo Bonucci, Claudio Marchisio, Andrea Pirlo) più Ciro Immobile, Lorenzo Insigne, Mario Balotelli, Antonio Cassano in attacco. E dietro a soffiare, il trombonismo stereo dei commentatori. Risultato: a casa subito. «Avanti senza gloria», scrive la Gazzetta dello Sport per esorcizzare il cammino. E fa bene. È lo stesso titolo del 24 giugno 1982 dopo il pareggio contro il Camerun ai mondiali di Spagna, che consentì a quell’Italia descritta come debosciata e derelitta di lucrare il passaggio del turno. Finì con l’urlo di Tardelli e tutti sul carro del vincitore. Forse qui non sarà necessario perché la 500 elettrica di Gabriele Gravina sembra avere autonomia limitata, ma commentare con il sopracciglio alzato le prestazioni di Mateo Retegui, Gianluca Scamacca e Giacomo Raspadori (zero gol in tre partite) come se fossimo abituati a lasciare in panchina Harry Kane e Kylian Mbappè pare un filo esagerato. Chi pensava che l’Italia di Spalletti fosse il Brasile di Pelè o l’Olanda di Johann Cruijff torni a guardare i memoriali di Federico Buffa o i documentari di RaiPlay e lasci perdere la mixed zone.Nessun calciatore di movimento italiano di prima fascia gioca in un campionato estero; nessun attaccante italiano è titolare in una grande squadra tranne Scamacca, ma per riprodurre il sistema Gasperini non bastano tre mesi, servono tre anni. Eppure siamo agli ottavi di finale e se battiamo la Svizzera ci sarà da divertirsi. Eppure che mediocrità, signora mia. Gli stessi soloni che hanno visto Max Allegri torturare la Juventus senza fare un plissè, ecco che si scagliano contro le mancate sovrapposizioni degli esterni e «il deficit di personalità». Pretenderebbero assalti da ussari di Napoleone, con i destrieri a far tremare il suolo e gli avversari a impallinarci in contropiede (Spagna docet). Alla fine ha sbroccato anche Spalletti: «Ma quale prudenza, sbagliamo per i troppi errori in ripartenza. Siamo stati timidi, ma non sopporto le critiche preconcette (il professor Franco Scoglio le avrebbe definite «critiche ad minchiam», ndr). La qualificazione è meritata. Ed è stata difficile perché questo era il girone della morte. Lo avete detto voi a me. E allora?».Allora avanti Goodfellas azzurri, con la cera nelle orecchie per non sentire le baronesse in crinolina che adesso chiedono di cambiare, di «modificare l’identità tattica con la Svizzera», di «provare a dare sfogo alla creatività perché così non ci si diverte». Chi non si diverte può consolarsi con le comiche di Stanlio e Ollio, con un monologo a caso di Vincenzo De Luca o con il primo tempo di Real Madrid-Borussia Dortmund, quando la creatività del Carletto cosmico si chiamava catenaccio. Lottare nel fango, solo questo sanno fare le squadre operaie come la nostra. Ci si sporca, ma qualche volta si vince.
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
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