2022-01-26
Giorgio Israel, il matematico che osò sfidare la religione della tecnoscienza
Nel riquadro Giorgio Israel (IStock)
Torna d’attualità il pensiero dell’intellettuale ebreo. Denunciò la violenza del pensiero progressista che ha trasformato la scienza in un culto, squalificando i dissenzienti come «oscurantisti» e «barbari».Alla vigilia del Giorno della memoria, gli scaffali delle librerie si riempiono di volumi storici o di testimonianze sulla Shoah. Tra questi non è semplicissimo, purtroppo, rintracciare saggi - che pure restano fondamentali - come Il fascismo e la razza o Scienza e razza nell’Italia fascista. A dire il vero, non è affatto facile mettere le mani su tutti i libri firmati da Giorgio Israel (1945-2015), uno degli studiosi più raffinati e coraggiosi di ogni tempo. Matematico, ordinario alla Sapienza e professore a Parigi, Israel meriterebbe d’essere ricordato sempre, ma il suo pensiero torna di potente attualità oggi, in tempi di delirio pandemico. Già nei suoi lavori sul fascismo il grande intellettuale ebreo aveva mostrato quali aberrazioni potesse produrre una visione gelida e disumana della scienza, rilevando come presso numerosi esperti italiani di antropologia, demografia e altre discipline avessero trovato terreno fertile le teorie eugenetiche. E forse è stato proprio in virtù di questi approfondimenti - edotto di ciò che possono generare certe visioni del mondo meccanicistiche - che Israel, per lungo tempo, ha combattuto contro lo scientismo. Cioè contro la degenerazione della scienza in ideologia: una malattia da cui ancora adesso siamo afflitti.libri introvabiliAccademico puntuale e autore di centinaia di articoli specialistici, Israel ha sempre mantenuto una notevole attività pubblicistica, collaborando con Il Foglio, Libero, Tempi. Arrivò alle soglie della militanza culturale senza mai perdere il rigore dello scienziato, si espose in prima fila sui temi roventi della bioetica, della manipolazione del corpo, della genetica. E ne pagò le conseguenze, subendo attacchi anche feroci. Anche da questa militanza tutta particolare trassero linfa i libri che egli diede alle stampe nei primi anni Duemila, e che sembrano descrivere perfettamente la situazione in cui ci troviamo immersi in questi giorni.Si tratta di testi, dicevamo, che non è facile trovare nei negozi. Parliamo di La macchina vivente (Bollati Boringhieri, 2004), Liberarsi dei demoni (Marietti, 2006) e Chi sono i nemici della scienza? (Lindau, 2008). È in quest’ultimo, in particolare, che si trova una diagnosi straordinaria dei mali del nostro tempo. Israel prendeva le mosse da un’acuta analisi della superiorità morale progressista. «È come se nella disintegrazione politica del comunismo una serie di elementi identitari si fossero propagati ovunque, per una sorta di metastasi», scriveva. «Fra questi, il principale è proprio il sentimento della diversità, della diversità dell’uomo di sinistra. Nell’Italia bipolare dell’ultimo quindicennio, questo è stato, ed è tuttora, il collante principale della sinistra: ritenersi diversi dagli altri, dalla gente “di destra”, ritenersi come i soli capaci, onesti, intelligenti e interessati alle sorti del Paese più che al proprio tornaconto personale». Che ancora adesso, a oltre dieci anni di distanza, funzioni così non c’è nemmeno bisogno di dimostrarlo.contro i «selvaggi»Ma è ancora più interessante osservare come prosegue il ragionamento. «Quel che è rimasto, in tutta la sinistra, è il sentimento che occorre chiudere le porte ai “barbari”, ai “selvaggi”, ai “reazionari”, agli “antidemocratici”. Per quanto la sinistra possa dilaniarsi nei suoi conflitti interni e nelle sue liti, essa conserva un comune collante rappresentato dalla necessità assoluta di far fronte all’altro - identificato nella destra, nella reazione, nel fascismo, nell’oscurantismo - e di occupare tutte le posizioni con persone che partecipino di quel minimo comun denominatore di convinzioni “progressiste”».la cattedrale sanitariaE tra gli aspetti fondamentali di questo progressismo c’è, appunto, il culto della scienza. O, come spiegava Israel, la «nuova teologia sostitutiva: la fede nella scienza e nella tecnologia, nel progresso scientifico e tecnologico. “Nemici della scienza” sono tutti coloro che non credono ciecamente nella nuova religione e che osano avanzare una sia pur minima critica delle tendenze e delle realizzazioni pratiche della tecnoscienza contemporanea. Quando si tratta di letterati o di religiosi, la cosa più semplice è metterli all’indice come persone ignoranti oppure ostili alla ragione scientifica. Nel caso malaugurato in cui si tratti di scienziati, li si censura, sperando che nessuno si accorga della loro presenza e, se questo non è possibile, li si bolla come traditori e venduti».Pensateci bene: non è esattamente ciò che negli ultimi due anni è accaduto qui da noi? Nel 2008 (e già prima) Israel aveva intuito come sarebbe stata costruita la Cattedrale sanitaria che ora ci domina. Aveva capito che trattamento sarebbe stato riservato agli «eretici», che si trattasse di scienziati o meno. chi sono i veri nemiciE aveva già fatto notare come, nel mondo scientifico, non si andasse tanto per il sottile con i dissidenti. «Oggi, che i dogmi dello scientismo sono divenuti un elemento caratterizzante dell’essere “di sinistra” e “progressista”, chiunque non vi aderisca è automaticamente collocato nella schiera della reazione, indipendentemente da quali siano le sue convinzioni e senza alcuna possibilità di far ascoltare la sua voce al di fuori di un contesto di contrapposizione frontale», scriveva. Lui stesso fu costretto a difendersi da critiche brutali e per lo più infondate.Intendiamoci: non abbiamo nessuna intenzione di tirare per la giacchetta un intellettuale di tale livello. Non gli mettiamo casacche, e non ci permettiamo di stabilire che cosa egli avrebbe o non avrebbe scritto oggi. Resta, in ogni caso, la precisione con cui Israel seppe sviscerare e descrivere le evoluzioni culturali del progressismo, la determinazione con cui condannò lo scientismo nel tentativo di salvare la sua amata scienza. Sì, Israel lo aveva capito e scritto: i veri nemici della scienza sono coloro che vogliono trasformarla in una religione.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)