Per secoli rimasero segnate sulle carte nautiche e credute realmente esistenti. Spesso furono descritte con dovizia di particolari dai naviganti che ritennero di averle viste. Così i geografi unirono ai resoconti e ai loro calcoli elementi mitologici e religiosi.
Per secoli rimasero segnate sulle carte nautiche e credute realmente esistenti. Spesso furono descritte con dovizia di particolari dai naviganti che ritennero di averle viste. Così i geografi unirono ai resoconti e ai loro calcoli elementi mitologici e religiosi.Quella delle isole fantasma è una storia che attraversa i secoli e concentra su di sé un misto di credenze, mitologia classica, cristianesimo e paganesimo, testimonianze orali e scritte dei grandi navigatori del passato e opere dei grandi cartografi dei secoli XVI e XVII, l’era delle grandi scoperte geografiche. Una commistione che per secoli fece ritenere veritiere le mappe redatte dalla cartografia che in quei tempi si affacciava gradualmente alla scienza, pur mancando ancora di elementi di calcolo fondamentali come quello della longitudine. Fu in questo periodo che i regni di Spagna e Portogallo si fecero promotori delle spedizioni atlantiche alla ricerca della via occidentale alle Indie non considerando ancora la presenza del Continente americano avendo ancora un’errata concezione dell’estensione dell’Oceano Atlantico, considerato molto meno esteso che nella realtà. Fu da queste premesse che i navigatori dell’epoca riportarono notizie di terre inesplorate e mitiche, spesso descritte con dovizia di particolari nei diari di viaggio che venivano in seguito consultati dai geografi e riportati sui portolani e sugli atlanti, dove sarebbero rimaste per secoli. La storia delle isole fantasma ha aperto anche un dibattito sulla possibilità che il Continente americano fosse stato visitato almeno un secolo prima di Cristoforo Colombo, quando i navigatori nordici ed europei (tra cui diversi furono gli italiani) divulgarono elementi geografici che avrebbero potuto corrispondere alla descrizione della costa atlantica del Canada e degli Stati Uniti. Oppure, come alcuni studiosi hanno ipotizzato, alle isole caraibiche. Pochi sono gli elementi che possono oggi confermare l’esistenza di queste terre mai trovate ed altrettanto esigui gli elementi che possano fornire una spiegazione ad un’eventuale scomparsa di quelle isole dalle carte geografiche, come l’affondamento, l’eruzione vulcanica oppure l’illusione ottica che genera un miraggio ricorrente. Se la maggior parte delle testimonianze che hanno lasciato traccia delle isole fantasma sono concentrate nell’Atlantico settentrionale (dalla latitudine della penisola iberica fino ai ghiacci della Groenlandia), vi furono casi di terre ritenute realmente esistenti anche nel Mediterraneo, quel «Mare Nostrum» che i naviganti ed i geografi antichi ritenevano di conoscere a fondo. Quelle che seguono, sono le storie di sette tra le principali isole fantasma della storia.1. Frislanda (o Frixlandia) L’isola fantasma dell’Atlantico settentrionale fu menzionata per la prima volta dal nobile veneziano Nicolò Zeno nelle memorie del suo viaggio del 1380 oltre le coste scozzesi. I diari delle sue esplorazioni e le mappe redatte al ritorno furono recuperati ed interpretati da un suo omonimo discendente soltanto alla metà del secolo XVI e successivamente inserite nelle mappe dal cartografo spagnolo Matteo Prunes nel 1553, per rimanere segnata sino all’Ottocento. Secondo il resoconto del suo discendente, Nicolò Zeno sarebbe partito da Venezia per raggiungere le Fiandre a scopo di commercio. Appena uscito dalla Manica sarebbe stato colto da una violenta tempesta che lo spinse a nord fino alle coste di un’isola sconosciuta, fertile e popolata. Zeno e i suoi uomini, come naufraghi omerici, sarebbero stati portati al cospetto del principe, che il navigatore veneziano chiamò Zichmni. Le ipotesi sull’identità del reggente di Frislanda sono varie. Le più accreditate indicano la possibilità che si trattasse di Henry Sinclair, principe scozzese delle Orcadi. Di discendenza mista con un ramo novegese, sarebbe stato reggente delle Faroe ed in seguito anche delle isole Shetland. Nel racconto di Zeno, il principe avrebbe sfruttato la presenza dell’ospite veneziano (poi raggiunto dal fratello Antonio Zeno) per assoggettare con la forza le isole dell’arcipelago. Da un punto di vista geografico l’isola fantasma di Frislanda, descritta minuziosamente in mappe dettagliate, poteva assomigliare per forma all’Islanda. Tuttavia, la descrizione oro geografica e climatica resa da Zeno differiva profondamente da quella dell’isola vulcanica dell’Atlantico. Fu il cartografo e geografo britannico Robert Henry Mayor il primo a dubitare sia del racconto degli Zeno sia dell’esistenza della Frislanda. Alla metà dell’Ottocento, analizzando il resoconto del viaggio dei veneziani, non soltanto dubitò dell’autenticità del viaggio stesso ma anche dell’esistenza dell’isola. Secondo i suoi studi, La latitudine 61°N (la longitudine non era ai tempi di Zeno calcolabile) e la conformazione geomorfologica della Frislanda corrisponderebbero alle isole Faroe, la cui dimensione sarebbe stata aumentata dalle difficoltà di calcolo dell’epoca. In altri passaggi del racconto tramandato dal discendente dei navigatori della Serenissima viene descritto il viaggio verso una terra vulcanica a 370 miglia a Nord della Frislanda, il che significa che quest’ultima fosse la base da cui Zeno sarebbe partito per ulteriori viaggi esplorativi che lo avrebbero spinto anche in Groenlandia e in Estotiland, che il grande cartografo Ortelius identificò secoli dopo con le coste del Labrador. Nelle carte dei fratelli Zeno appare anche il resoconto di un viaggio verso l’isola fantastica di Drogeo. Situata a poca distanza da Estotiland navigando verso Sud la terra fantasma, che si ipotizzò in seguito poter corrispondere all’odierno Newfoundland, fu descritta come popolata da nativi estremamente aggressivi e dediti al cannibalismo. A partire dalla tesi di Henry Mayor, la Frislanda è catalogata come isola fantasma in quanto sintesi geografica tra le isole Faroe e l’Islanda.2. Isola di BussCome la Frislanda, l’isola di Buss è un’isola fantasma dell’Atlantico settentrionale. Fu menzionata per la prima volta durante il terzo viaggio alla ricerca del passaggio a Nordovest del navigatore inglese Martin Frobisher nell’anno 1578. Incaricato dal regno britannico del viaggio esplorativo alla ricerca della rotta diretta verso Cipango (il Giappone) e il Catai (la Cina come fu raccontata da Marco Polo) e della corsa all’oro delle Indie, fece rotta verso nord con un convoglio navale e approdò all’isola di Baffin, che fu scambiata da Frobisher per il passaggio verso l’Estremo Oriente. Durante la spedizione il busso «Emmanuel» (il busso era un’imbarcazione nordica nata per la pesca d’altura delle aringhe) ebbe un’avaria e decise di salpare anzitempo verso la madrepatria con un carico di minerali. A circa metà del viaggio un fortunale spinse l’imbarcazione fuori rotta fino ad un punto ipoteticamente localizzato 150 miglia a Sud-est della Frislanda. Al termine della tempesta un lembo di terra sconosciuta apparve tra le nebbie. Dalla costa frastagliata, la terra sconosciuta parve al capitano Thomas Wiars molto fertile. Dopo un breve bordeggiamento della costa, la nave proseguì il suo viaggio e il navigatore della flotta di Frobisher battezzò la nuova scoperta «Buss Island» in onore della classe della sua imbarcazione. Per anni l’isola non fu più menzionata fino alla sua seconda apparizione nel 1606 quando il capitano inglese James Hall, al servizio della corona danese per una spedizione artica, sostenne di avere intravisto Buss tra le nebbie, circondata dai ghiacci e in una posizione geografica diversa dalla precedente. L’isola risulta indicata nelle mappe già dal 1592 anche se in punti molto divergenti tra le diverse carte nautiche (tra 57°N e 61°N). Nel 1671 il mercante Thomas Shepherd sostenne di averla vista e visitata, avendone in seguito redatta una mappa dettagliata. Quest’ultima apparve nell’atlante di John Seller del 1673 completa della posizione dei due centri abitati sulle coste. A partire dalla descrizione di Shepherd furono organizzate diverse spedizioni alla sua ricerca, sempre infruttuose. Negli anni si moltiplicarono anche gli avvistamenti, ma sempre da parte di navigatori che non erano alla ricerca di Buss. Con la crescita dei traffici commerciali nei secoli successivi, il mito di Buss andò sfumando. Dapprima con un ridimensionamento della sua estensione, inizialmente descritta come isola di medie dimensioni, quindi con l’ipotesi che quella terra misteriosa potesse essere frutto di illusioni ottiche o iceberg in movimento. La teoria dell’affondamento fu esclusa nel 1818 quando l’ultima spedizione della nave «Isabella» determinò che nella zona dell’ipotetica localizzazione di Buss i fondali atlantici non fossero sufficientemente profondi per la scomparsa totale dell’isola. Scomparsa che si verificò invece sugli atlanti, dove Buss fece la sua ultima apparizione nel 1856. Un miraggio lungo tre secoli. 3. Antilia, l’isola delle sette cittàSpostando lo sguardo molto più a Sud di Frislanda e dell’isola mai trovata di Buss, un’altra leggendaria terra in mezzo all’Atlantico meridionale trovò posto tra le leggende dei mari. Le origini di Antilia (o Antillia) sono da ricercare nella Spagna dell’Ottavo secolo, conquistata dai «mori» sotto il regno di Roderigo ultimo dei re visigoti della penisola iberica. La persecuzione dei cristiani seguita all’invasione avrebbe spinto un arcivescovo e sei vescovi spagnoli a fuggire dalla costa portoghese attraverso l’Atlantico. Dopo alcuni giorni di navigazione «guidati dal Paradiso», i prelati sarebbero giunti sulle rive di un’isola dove avrebbero deciso di vivere per sempre assieme ad un gruppo di fedeli che li aveva seguiti. Per non cedere alla tentazione di fare ritorno in patria, affondarono le navi. Dopo quasi sette secoli di silenzio, l’isola di Antilia comparve nella cartografia e nei documenti per la prima volta nel 1424 nelle mappe della Bibliotheca Philippica di Londra redatte da Giovanni Pizzigano, cartografo veneziano. Quasi sicuramente l’isola comparve sui portolani precedenti il viaggio di Colombo in seguito ad un’interpretazione delle notizie successive alla scoperta delle Azzorre. Localizzata a sudovest della penisola iberica non molto distante da Madeira, di forma quasi perfettamente rettangolare, si suppone che Antilia debba il suo toponimo al portoghese «ante-ilha», ossia l’isola che sta di fronte (alla penisola iberica). Popolosa e ricca di metalli preziosi, la mitica isola dei sette vescovi fu identificata spesso come l’«isola delle sette città», ciascuna delle quali originariamente fondata da uno dei sette prelati esuli dalla Spagna islamizzata. Tra i resoconti dei naviganti inviati dai regni di Spagna e Portogallo alla scoperta dell’Atlantico, che alimentarono il mito di Antilia e che contribuirono alla sua permanenza sulle carte geografiche, figura quello di Giovanni Caboto. Il prosecutore dell’impresa di Cristoforo Colombo, nei diari del suo viaggio verso l’America del 1497 fece intendere di aver trovato Antilia, alimentando così il mito dell’isola fantasma. La notizia fu amplificata da uno dei più vicini collaboratori dell’esploratore veneziano, il milanese Raimondo de Soncino, il quale fece un resoconto iperbolico del viaggio di Caboto. Senza mezzi termini riportò la scoperta di Antilia e delle sette città, influenzando in tale modo la cartografia successiva. Una diversa interpretazione della storia dell’isola dei sette vescovi, molto affascinante ma priva di riscontri geografici, è quella di William Babcock, studioso americano. Secondo quest’ultimo il nome dell’isola fantasma sarebbe rimasto sulle carte geografiche nel toponimo «Antille» e l’isola delle sette città sarebbe stata Cuba. La forma allungata e la presenza di isole minori come quelle rappresentate sulle antiche mappe nelle vicinanze di Antilia suggerirebbero una precoce conoscenza del continente americano precedente al viaggio di Cristoforo Colombo. Per quanto originale e non priva di suggestioni, l’ipotesi è stata in seguito ridimensionata per l’interpretazione delle coordinate geografiche dove Antilia è comparsa nei secoli. Posta dai geografi del XVI secolo ad una latitudine compresa tra i 35° e i 39° N e, considerata la sottostima dell’estensione dell’Atlantico in quei tempi, avrebbe dovuto trovarsi rispetto al Continente americano all’altezza della Delaware Bay, mentre l’Isola di Cuba si trova a 21°30” N. Sarebbe stato un errore grossolano anche per i geografi del tempo dei grandi viaggi atlantici. Viva fino al XVI secolo, la leggenda della mitica isola dell’oro e delle città fu alimentata da varie testimonianze di presunti avvistamenti. Si disse anche che l’isola si potesse vedere da Madeira soltanto una volta all’anno. Ma ogni tentativo di raggiungerla sarebbe stato vano, poiché la sua sagoma scompariva all’avvicinarsi delle imbarcazioni intente a raggiungerla. 4. Satanazo (o Satanazes o Saluaga). L’isola del demonioPoche miglia nautiche a Nord avrebbero separato l’isola di Antilia da Satanazo (o Satanazes o Saluaga). Nata nello stesso periodo della leggenda dell’isola dei sette vescovi, quella dell’isola fantasma di Satanazo ne rappresentava una sorta di antitesi. Come Antilia, fu rappresentata come una terra dalla forma sostanzialmente rettangolare. Così la riportò Pizzigano nel suo portolano del 1424, sormontata a breve distanza da un’isola più piccola a forma di mezzaluna, chiamata Reylla o Roillo. Entrambe le isole comparvero nella carta disegnata dal cartografo anconetano Grazioso Benincasa nel 1470 anche se per un periodo nella prima metà del secolo XV sparirono dalle mappe. L’origine del nome, spesso associato alla contrapposizione tra il paradiso terrestre rappresentato da Antilia e dalle sue sette «città sante» e la presenza del maligno nell’isola gemella, potrebbe riferirsi invece ad una leggenda di origini nordiche. Data l’estrema incertezza nella localizzazione esatta nell’Atlantico e la possibilità che i cartografi italiani abbiano interpretato antiche notizie provenienti da Nord ma posizionando l’isola molto più a Sud, l’origine del mito di Satanazo e Reylla rimane difficilmente riconoscibile. L’isola del demonio fu tra le prime isole fantasma a scomparire dalle carte nautiche, appena dopo l’impresa di Cristoforo Colombo. Considerata nella sua ipotesi da William Babcock (vedi capitolo Antilia), Satanazo (o Saluaga) sarebbe stata la punta della Florida (identificata erroneamente come un’isola) mentre Reylla una delle isole dell’arcipelago delle Bahamas. Nei secoli comparve anche l’idea che il nome non si riferisse alla natura demoniaca degli abitanti, ma che il toponimo fosse di antica origine cristiana. Il nome Satanaxio o Satanazo fu indicato come una storpiatura di S.Anastasio, martire persiano del VII secolo, a cui sarebbe stato intitolato un antico monastero che si pensò fosse stato edificato sull’isola fantasma.5. Hy-Brasil o Brasil. L’isola magica circondata delle nebbieTra le isole fantasma dell’Atlantico è sicuramente quella più citata nei resoconti di navigazione per la sua natura «magica». Si diceva che quella terra sferzata dai marosi gelidi fosse sempre nascosta alla vista da una fitta coltre di nebbia, e che soltanto per un giorno ogni sette anni fosse visibile ai naviganti. Chi ebbe la fortuna (o l’illusione) di vederla, la descrisse come una landa montagnosa, verde di pascoli e abitata da un popolo di fate e maghi guaritori. Nella tradizione dell’antichità classica una descrizione simile si ritrova nel mito delle Esperìdi, tradotto poi nei racconti della tradizione irlandese in quello di «Tir Tairgen», o la «terra dei santi» forma di paradiso terrestre e aldilà dell’eterna giovinezza. Hy-Brasil comparve nelle carte nautiche localizzata al largo della costa Sud-occidentale dell’Irlanda già nel portolano di Pizzigano del 1347, ripresa da Guglielmo Solerio di Maiorca nel 1385, da Pareto nel 1455 e da Benincasa nel 1470. Di forma quasi perfettamente tonda, l’isola fantasma fu cercata nell’epoca delle grandi scoperte geografiche, in particolare dai navigatori britannici. Sono note le spedizioni (tutte naturalmente infruttuose) alla ricerca di un’isola che, oltre a richiamare il fascino del paradiso terrestre, avrebbe potuto rappresentare una terra di scalo sulla rotta verso le Indie. Nel 1480 Guglielmo di Worcestershire lasciò le cronache scritte della spedizione partita da Bristol sotto la guida di Thomas Lyde, durata due mesi senza che le nebbie si diradassero per mostrare ai naviganti l’isola del mito. Così nel 1481 e poi ancora nel 1491, le navi salparono da Bristol alla ricerca di Hy-Brasil. E nel 1498 Giovanni Caboto mise l’isola tra i suoi obiettivi della sua terza spedizione , ma fu un viaggio senza ritorno perché il navigatore scomparve con la sua nave mentre cercava il passaggio a Nord-ovest. Lungi dal tramontare a causa delle spedizioni infruttuose, la corsa per trovare l’isola delle nebbie riprese attorno alla metà del Seicento, quando una serie di presunti avvistamenti dell’isola fantasma popolarono le cronache. Fu il caso del 1636 quando un certo capitano Rich vide l’isola spuntare da una fitta nebbia e dichiarò di avere distintamente riconosciuto un centro abitato con un porto. Anche il navigatore, come vuole la leggenda, assistette alla sparizione improvvisa della terra nel momento in cui decise di fare rotta verso le sue sponde. Anche François de La Boullaye-Le Gouz, esploratore francese, nel 1644 sostenne di aver visto Hy-Brasil spuntare dalle nebbie e di aver riconosciuto un gregge pascolare sui suoi pianori erbosi prima che l’isola scomparisse di colpo avvolta dalla densa foschia. Gli avvistamenti (e addirittura alcune testimonianze di un fantomatico sbarco sulle coste di Hy-Brasil dove fu riportata la testimonianza dell’esistenza di un maniero) proseguirono fino ad Ottocento inoltrato. L’ultima apparizione reca la data del 1872, come riportato dagli scritti di Thomas.J. Westropp, archeologo e topografo inglese, che durante una navigazione al largo della costa irlandese sostenne di aver scorto al tramonto la sagoma di un’isola caratterizzata dalla presenza di due montagne, di cui una boscosa. Hy-Brasil rimase segnata sulle mappe fino al 1885, quando era già stata «declassata» a scoglio. Sulle ipotesi di una sua effettiva esistenza e successiva sparizione appare difficile ritenere che fosse sprofondata o sommersa per un innalzamento del livello del mare, dato che i fondali della zona non sono sufficientemente profondi per un simile fenomeno naturale. Piuttosto si ritiene che gli avvistamenti siano stati causati da un fenomeno di rifrazione particolare della luce sulle acque e che dunque Hy-Brasil fosse stato di fatto un miraggio ripetutosi nei secoli, mentre sull’origine del nome, il toponimo non ha nulla a che vedere con l’odierno Brasile. Si tratterebbe di una radice celtica riferita all’elemento del fuoco che deriverebbe dalla parola «breas» (braci) unita al suffisso Hy (isola). Infatti la leggenda narra che Hy-Brasil fosse stata colpita da una sorta di antico incantesimo che l’avrebbe resa invisibile e celata dalle nebbie. A meno che un fuoco di braci non fosse stato acceso sull’isola, allora in quell’occasione si sarebbe mostrata ai naviganti.6. Zanara: l’isola fantasma dell’arcipelago ToscanoAnche se il Mediterraneo era il «mare nostrum» ben conosciuto e navigato sin dai tempi antichi, di dimensioni molto inferiori all’ancora inesplorato Atlantico al di là delle colonne d’Ercole, ci fu un’isola fantasma che per lungo tempo comparve sulle carte nautiche del mar Tirreno. Nei portolani di Gerardo Mercatore fece la sua comparsa una piccola isola posta tra il Giglio e Giannutri nel 1589. Le ipotesi sulla sua reale esistenza sono in realtà di molto antecedenti il lavoro del cartografo fiammingo del Cinquecento e risalgono alla figura del santo palermitano Mamiliano, vissuto nel V secolo dopo Cristo ed eremita sull’isola di Montecristo. Attorno alla figura del beato che secondo la leggenda sconfisse un drago nell’isola che lo ospitava, nacque anche la leggenda di Zanara, posta in un tratto di mare noto come «Secca delle Vedove» a causa dei frequenti naufragi che causarono la morte di molti marinai. Probabilmente la presenza sulle mappe dell’ottava isola dell’Arcipelago toscano fu determinata dalla suggestione che venne dalla leggenda del Santo, ancora oggi oggetto di culto all’Isola d’Elba e al Giglio. Non si hanno segnalazioni di avvistamenti o di sbarchi sull’isola di Zanara, ma soltanto gli scritti che raccontano la vita del santo e che furono presi per veritieri dai geografi del Cinquecento, tanto che l’isola dell’arcipelago di fronte all’Argentario rimase segnata sulle carte nautiche fino almeno al 1720.7. Bermeja, l’isola messicana del complottoAl largo della costa dello Yucatàn, fino dal 1539 comparve sulle carte geografiche l’isolotto di Bermeja, situato nel mezzo delle 600.000 miglia quadrate del Golfo del Messico. Riportata nella carta di Alonso di Santa Cruz, l’isola ebbe il suo toponimo dalla descrizione di chi sostenne di averla vista caratterizzata da un terreno di colore rossastro, o vermiglio, da cui il nome spagnolo di Bermeja. Durante i secoli in cui l’isola fantasma comparve negli atlanti, fu disegnata con dovizia di particolari, con una superficie di circa 80 kmq. Anche Alonso de Chaves la incluse nei suoi portolani, indicando addirittura la distanza precisa tra l’isola e la costa messicana, stimata in «14 leghe» (circa 70 km) a Nord-ovest della penisola dell Yucatan. Bermeja rimase segnata sulle mappe per secoli, dall’era delle scoperte geografiche fino al Novecento inoltrato. Ma fu alla fine del secolo XX che l’isola fantasma fu riportata nelle cronache in quanto la sua posizione geografica avrebbe potuto modificare gli accordi del 1978 tra Stati Uniti e Messico in materia di diritti di estrazione del petrolio nel Golfo del Messico. Se Bermeja fosse stata trovata, il Messico avrebbe potuto vantare diritti in un tratto di mare estremamente ricco di giacimenti. Nonostante due spedizioni infruttuose promosse dalla Naum (Libera Università Nazionale Messicana) nel 1997 e nel 2009, l’isola contesa non fu mai trovata. Attorno a quel lembo di terra dal colore rossastro nacque anche una teoria cospirazionista, che ipotizzò un bombardamento di Bermeja da parte della CIA al fine di cancellarla dalle mappe e garantire il pieno diritto di trivellazione agli Usa. Le ipotesi più accreditate sulla scomparsa di un’isola che fu a lungo segnata sugli atlanti è quella dello sprofondamento dovuto all’erosione del fondale oppure ad una sommersione a causa dell’innalzamento del livello del mare. Inserendo le coordinate 22° 38′ 45.6″ N, 90° 51′ 18″ W su una mappa satellitare, si potrà notare una macchia scura nel punto esatto in cui l’isola fantasma fu segnalata al largo dello Yucatàn.
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Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.